Variazioni su Temi di Diritto del LavoroISSN 2499-4650
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo leggi articolo leggi fascicolo


"Fiducia" e libertà della persona nel licenziamento motivato dai così detti comportamenti "extra lavorativi" (di Fabio Pantano (Ricercatore di diritto del lavoro dell’Università di Parma))


Prendendo spunto da una recente pronuncia della Corte di Cassazione, il saggio analizza, in senso critico, gli orientamenti della giurisprudenza in materia di licenziamento per uso e commercio di sostanze stupefacenti, che, utilizzando l’ambigua nozione di “fiducia”, valorizza il disvalore etico che connota tali comportamenti al fine di verificare la legittimità del recesso datoriale. Secondo l’autore, i così detti comportamenti “extra lavorativi” sono idonei a giustificare il licenziamento soltanto laddove costituiscono un «notevole inadempimento» dell’obbligazione lavorativa, accertato dal giudice secondo una precisa ricostruzione del contenuto negoziale determinato dalle parti e della effettiva natura dell’attività resa del lavoratore nell’assetto organizzativo dell’impresa.

"Trust" and personal freedom in the dismissal for the so-called "extra-work" behaviors

Inspired by a recent judgment of the Supreme Court, the paper analyzes through a critical approach the Italian case-law on the termination of the employment contract for use and trade of drugs by the employee, which, through the use of the ambiguous notion of "trust", emphasizes the ethical social disapproval of such behaviors in order to verify the legitimacy of the dismissal. According to the author, the so-called “extra working behaviors” are capable of justifying the dismissal only where they constitute a “significant breach” of the work obligation, whose content is to be determined by the court on grounds of a precise identification of the contractual provisions, as established by the parties, and of the actual nature of the activity performed by the employee within the enterprise.

1. Il licenziamento irrogato per l’utilizzo o commercio di stupefacenti da parte del lavoratore: posizioni della giurisprudenza e problemi sistematici Il licenziamento irrogato a causa dell’utilizzo o del commercio di sostanze stupefacenti costituisce oggetto di un esteso numero di provvedimenti giurisprudenziali, di merito e di legittimità. Si tratta di un tema assai complesso, che riporta alla luce alcuni punti salienti del dibattito sul licenziamento nell’ordi­namento italiano. In particolare, tale tipologia di provvedimenti induce a riflettere sulla rilevanza attribuita dalla giurisprudenza prevalente a comportamenti non attinenti in senso stretto al contenuto dell’obbligazione lavorativa, ma che, comunque, giustificherebbero il recesso dell’imprenditore. La presente riflessione prende le mosse da una recente sentenza della Corte di Cassazione, la quale si confronta con l’argomento riproponendo i principali snodi argomentativi degli ormai consolidati orientamenti giurisprudenziali e le loro perduranti aporie sistematiche. Lo scopo è proprio quello di evidenziare i punti più problematici dell’iter logico-giuridico condotto dalla giurisprudenza, riportandolo nell’alveo di una ricostruzione più coerente con i principi sui quali si fon­da la teoria generale del licenziamento secondo gli attuali esiti del dibattito dottrinale. Nella decisione n. 4633, resa il 9 marzo 2016, la sezione lavoro della Corte di Cassazione si è pronunciata in merito a un licenziamento irrogato in ragione del coinvolgimento del lavoratore nel reato di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti e per aver egli sottaciuto la propria sottoposizione agli arresti domiciliari, rimanendo assente dal lavoro per malattia nel periodo corrispondente all’esecuzione della misura stessa. La Corte ha confermato le sentenze dei due giudici di merito che avevano rigettato il ricorso del prestatore di opere, sulla base del principio di diritto per il quale «anche una condotta illecita, estranea all’esercizio delle mansioni del lavoratore subordinato, può avere un rilievo disciplinare poiché il lavoratore è assoggettato non solo all’obbligo di rendere la prestazione, bensì anche all’obbligazione accessoria di tenere un comportamento extra lavorativo che sia tale da non ledere né gli interessi morali e patrimoniali del datore di lavoro né la fiducia che, in diversa misura e in diversa forma, lega le parti del rapporto di durata» [1]. La Corte, a conferma di quanto più volte già affermato [2], ribadisce che spetta al giudice del merito valutare se, in concreto, i comportamenti realizzati dal prestatore di opere siano idonei a «comprometterne il rapporto fiduciario» con l’imprenditore. La Cassazione non rinviene difetti di argomentazione nella pronuncia della corte [continua..]

» Per l'intero contenuto effettuare il login

inizio