Il saggio analizza la disciplina del licenziamento nella convenzione OIL n. 158/1982 e la sua possibile efficacia negli ordinamenti degli Stati aderenti, alla luce degli orientamenti del CEACR e del CEDS, anche in relazione all’art. 24 della Carta Sociale Europea. L’A. si occupa, in particolare, della giustificazione del licenziamento e delle sanzioni applicabili al licenziamento illegittimo, alla luce della giurisprudenza delle corti italiane e francesi più recenti.
The essay analyzes the regulation of dismissals in the ILO convention n. 158/1982 on termination of employment and its possible effectiveness in the legal systems of the member States, in the light of the guidelines of the CEACR and the CEDS, also in relation to art. 24 of the European Social Charter. The A. deals, in particular, with the justification of the dismissals and the remedies applicable to the unfair dismissal, in the light of the most recent jurisprudence of Italian and French courts.
Keywords: dismissals - ILO convention - European Social Charter - effectiveness - interpretation
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1. L'Organizzazione Internazionale del Lavoro e la tutela contro il licenziamento illegittimo: tra convenzione n. 158 e decent work agenda - 2. Il principio della giustificazione del licenziamento - 3. La questione delle sanzioni per il licenziamento illegittimo - 3.1. L'art. 10 della convenzione n. 158/1982 - 3.2. L'art. 10 della convenzione n. 158 alla prova della giurisprudenza delle Corti francesi - 3.3. La Corte Costituzionale italiana tra convenzione OIL e Carta Sociale Europea - NOTE
La recente sentenza della Corte costituzionale italiana in materia di sanzioni contro il licenziamento illegittimo ha riportato all’attenzione degli interpreti il ruolo e la funzione dei principi dell’OIL in materia di lavoro. Sul punto si tornerà più avanti; per il momento, si può anticipare che la questione dell’applicazione della convenzione OIL n. 158/1982, anche nell’interpretazione datane dalla stessa Organizzazione attraverso i suoi organi, avrebbe meritato un maggior approfondimento. Si tratta, certamente, di una questione molto complessa, dal momento che l’introduzione di regole espresse in materia di licenziamento ha visto un’evoluzione piuttosto lenta e ancor oggi oggetto di numerosi contrasti, anche all’interno della stessa Organizzazione, come si vedrà. Lo stato della convenzione, al momento ratificata “solo” da 36 Stati, tra i quali non sono presenti alcuni dei Paesi europei con una legislazione del lavoro molto avanzata, come l’Italia, la Germania e il Belgio, ne è una dimostrazione eclatante. Eppure la protezione contro il licenziamento illegittimo può essere ricondotta ai diritti fondamentali dei lavoratori, come strumenti necessari al conseguimento della giustizia sociale, che costituisce, come risulta dalla stessa Costituzione dell’OIL, il primario obiettivo dell’Organizzazione [1]. La tutela contro il licenziamento, infatti, è finalizzata ad assicurare il godimento dei diritti collegati al rispetto della libertà, della sicurezza e della dignità umana nell’ambito del rapporto di lavoro [2] ed è dunque una pre-condizione dell’esercizio di detti diritti. Da questo punto di vista, il rapporto elaborato dalla Commissione di esperti sull’applicazione delle convenzioni e delle raccomandazioni (d’ora in avanti CEACR) del 1995 sottolinea con forza come la protezione contro il licenziamento illegittimo attraversi trasversalmente diverse altre convenzioni (alcune delle quali ratificate dall’Italia) considerate “strumenti fondamentali in materia di protezione dei diritti umani” [3], come la convenzione n. 98/1949 in materia di organizzazione sindacale e contrattazione collettiva, che peraltro rientra tra quelle considerate fondamentali ai sensi della dichiarazione del 1998 [4]. La tutela contro il [continua ..]
La previsione cardine della convenzione è senza dubbio il principio della necessaria giustificazione nel licenziamento [17], già riconosciuto nella Raccomandazione n. 119/1963 e ripreso nei medesimi termini dalla Carta Sociale Europea (d’ora in avanti CSE). Si può anticipare che tra gli interventi dell’OIL sui licenziamenti e la CSE, come si vedrà, esiste un rapporto di influenza reciproca, anche quanto alla loro interpretazione, che deve essere sempre tenuto presente nell’affrontare la questione della loro portata giuridica [18]. L’art. 4 della convenzione stabilisce infatti che i lavoratori non possono essere licenziati senza che sussista un motivo legato all’attitudine o alla condotta del lavoratore o fondato sulla necessità di funzionamento dell’impresa, dello stabilimento e del servizio, gli stessi presupposti previsti dall’art. 24 della CSE [19]. Il rapporto del CEACR precisa altresì che la previsione esclude che il preavviso di licenziamento possa sostituire la giustificazione, come avveniva del resto in Italia nelle ipotesi in cui continuava ad applicarsi il recesso ad nutum [20]. La convenzione, insomma, non consente che la previsione della corresponsione di una somma a titolo di preavviso, ma anche altre forme di indennizzo previste dalle legislazioni nazionali in caso di licenziamento, nonché eventuali forme di protezione del reddito per il periodo di disoccupazione, possano sostituire la giustificazione del licenziamento, per la quale è prevista una sanzione distinta, come si può ricavare dalla combinazione delle previsioni degli artt. 10, 11 e 12 della convenzione. Una simile osservazione porta ad concludere, tra l’altro, che nella valutazione dell’adeguatezza delle sanzioni previste per il licenziamento illegittimo non possa avere rilievo alcuno l’attribuzione al lavoratore di somme e altri benefici in relazione alla cessazione del rapporto di lavoro, dal momento che detti benefici hanno causa e titolo diversi (si pensi alla competenze di fine rapporto, alla possibile percezione di un’indennità legata alla disoccupazione, ecc.). Sul punto si tornerà più avanti; si può però fin d’ora osservare come il principio della necessaria giustificazione del licenziamento sia volto a presidiare diritti fondamentali del lavoratore, primo tra tutti il diritto al [continua ..]
La previsione senz’altro più discussa della convenzione n. 158/1982 è quella contenuta nell’art. 10, che obbliga gli Stati aderenti a prevedere sanzioni adeguate in caso di licenziamento illegittimo. La disposizione, di recente oggetto di due importanti pronunce della nostra Corte costituzionale e della Corte di Cassazione francese in materia di licenziamento, è formulata in termini analoghi all’art. 24 della CSE e prevede il diritto dei lavoratori ingiustamente licenziati a “un indennizzo adeguato o ogni altra forma di riparazione considerata come appropriata”. Rispetto all’art. 24 della CSE, l’art. 10 precisa che le suddette conseguenze devono applicarsi se gli organi giurisdizionali o amministrativi degli Stati aderenti “non hanno il potere di annullare il licenziamento e/o di ordinare o proporre la reintegrazione del lavoratore”. Sebbene gli Stati aderenti abbiano la possibilità di scegliere il rimedio applicabile in caso di illegittimità del licenziamento [33], non c’è dubbio che la convenzione privilegi la sanzione della reintegrazione o della ricostituzione del rapporto di lavoro conseguente all’annullamento del licenziamento, come si legge anche nel rapporto del CEACR [34] che sottolinea, peraltro, come nel caso di previsione di un’indennità risarcitoria questa debba essere distinta dalle altre spettanze di fine rapporto e che, nel caso di violazione dei diritti fondamentali della persona, detta indennità debba avere come obiettivo la riparazione integrale del danno subito dal lavoratore [35]. Una simile posizione ha influenzato anche l’interpretazione dell’art. 24 della CSE, in particolare nel caso Finnish Society [36], sul quale si tornerà a breve. Per il momento si può segnalare come il rapporto tra i due provvedimenti sia, anche alla luce della recente giurisprudenza, sempre più stretto.
L’applicazione dell’art. 10 della convenzione n. 158/1982 è stata oggetto di una recente sentenza della Corte costituzionale italiana e di una sentenza della Cour de Cassation francese in materia di indennità conseguenti al licenziamento illegittimo. La questione posta aveva ad oggetto, in entrambi i casi, la determinazione delle somme da corrispondere al lavoratore nel caso di accertamento del licenziamento ingiustificato e la comparazione tra le conclusioni cui pervengono i giudicanti è particolarmente interessante perché nel caso italiano la convenzione n. 158/1982 non è stata ratificata, mentre la Francia l’ha ratificata il 16 marzo 1989. Per meglio comprendere la portata delle pronunce in parola è opportuno riepilogare brevemente i termini della questione. Per quanto riguarda l’Italia, oggetto di contestazione è stata la disciplina introdotta dal d.lgs. n. 23/2015 che, com’è noto, ha ridotto ulteriormente l’ambito di applicazione della reintegrazione nel posto di lavoro nel caso di licenziamento ingiustificato, già confinata a poche ipotesi, peraltro di non facile interpretazione, dalla legge n. 92/2012. La previsione senz’altro più discussa del d.lgs. n. 23/2015 è quella che quantifica l’indennità dovuta in caso di licenziamento ingiustificato in due mensilità di retribuzione per ogni anno di servizio, con un minimo di 4 e un massimo di 24 mensilità, elevate a 6 e 36, nelle more del giudizio davanti alla Corte Costituzionale, dal c.d. Decreto Dignità (d.l. n. 86/2018, conv. in legge n. 97/2018). In Francia la riforma della disciplina del licenziamento individuale introdotta dal Governo Macron ha viaggiato, per questo aspetto, su binari paralleli [37]. L’ordinanza n. 2017-1387 del 22 settembre 2017, ratificata dalla legge n. 217/2018 del 29 marzo 2018 ha modificato l’art. L. 1235-3 del Code du travail, introducendo una forfettizzazione (barémisation) dell’indennità dovuta nel caso di licenziamento illegittimo [38], per l’ipotesi in cui le parti non si accordino sulla reintegrazione nel posto di lavoro [39], calcolata in ragione dell’anzianità di servizio del lavoratore e delle dimensioni dell’impresa [40], tenendo conto, ove il giudice lo ritenga opportuno, delle somme versate in occasione della [continua ..]
La sentenza della Corte Costituzionale italiana sull’art. 3 del d.lgs. n. 23/2015 è stata oggetto di grande attenzione, come si è visto, da parte della dottrina francese soprattutto per la posizione assunta in relazione alla CSE, ma anche per non aver ritenuto applicabile la convenzione n. 158/1982 dell’OIL esclusivamente a causa della mancata ratifica da parte dell’Italia. La pronuncia è stata approfonditamente analizzata dalla dottrina italiana [57]; in questa sede è però opportuno svolgere alcune considerazioni sulla portata della convenzione per l’ordinamento italiano. Com’è noto, nella valutazione della legittimità costituzionale dell’art. 3, la Corte esamina anzitutto l’efficacia delle norme che potrebbero venire in considerazione. Il giudice rimettente [58], infatti, aveva individuato come possibili riferimenti la convenzione n. 158/1982 dell’OIL, l’art. 24 CSE e l’art. 30 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, in relazione agli artt. 76 e 117 della Costituzione italiana, che impongono allo Stato di esercitare il potere legislativo nel rispetto, oltre che delle norme costituzionali, dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Tutti gli atti appena citati prevedono, come si è detto, il diritto dei lavoratori alla giustificazione del licenziamento e a un congruo indennizzo o altra forma di riparazione in caso di licenziamento ingiustificato. In particolare, la convenzione n. 158/1982, così come interpretata dal CEACR, privilegia, come si è visto, la reintegrazione nel posto di lavoro o, in subordine, una sanzione economica effettiva, cioè “idonea a garantire un ristoro effettivo e adeguato del danno subito dal lavoratore in conseguenza della lesione del suo diritto fondamentale”. La Corte sottolinea però che la convenzione n. 158/1982 non è stata ratificata dall’Italia e, pertanto, non può considerarsi applicabile al giudizio perché la sua osservanza non può considerarsi oggetto di un “obbligo internazionale”. In realtà, la questione è molto più complessa, dal momento che sull’efficacia delle convenzioni OIL non ratificate il dibattito è tuttora aperto [59]; vi sono infatti sentenze della Corte europea dei diritti [continua ..]