Il contributo esamina le vicende traslative che, tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009, hanno interessato la compagnia di bandiera Alitalia.
Dopo aver ricostruito le operazioni di cessione, avvenute tra l’amministrazione straordinaria Alitalia e CAI, alla luce della disciplina giuslavoristica in materia di trasferimento d’azienda, l’Autore si sofferma sul problema della (in)compatibilità della disciplina speciale dell’amministrazione straordinaria delle imprese operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali con la disciplina europea in materia di trasferimento d’azienda nell’impresa in crisi.
The essay examines the transfer events occurring to the Italian flag enterprise Alitalia, between the end of 2008 and the beginning of 2009. The author reconstructs the transfer operations occurred between the Alitalia’s special management and CAI and then, in light of the labour law provisions about the transfer of undertaking, he lingers on the problem of the (in)compatibility of the specific provisions about special management of enterprises operating in the sector of essential public utilities with the European provisions in the field of transfer of undertaking in case of corporate crisis.
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1. Introduzione - 2. Le operazioni di cessione dei compendi aziendali, tra normativa concorsuale e disciplina lavoristica - 3. Da Alitalia a CAI: cessione di singoli beni e contratti o trasferimento d’azienda? - 4. La disciplina europea in materia di trasferimento d’azienda nell’impresa in crisi - 5. La disciplina dell’amministrazione straordinaria delle imprese operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali e la finalità perseguita dalla procedura - 6. Conclusioni - NOTE
A differenza di quello che si sarebbe potuto pensare, la “questione Alitalia” è tutt’altro che definita. Come già osservato due lustri fa, «con frequenza la vicenda Alitalia si arricchisce di un nuovo episodio che pare mettere nuovamente in discussione quanto accaduto prima, complicarne ulteriormente il quadro e infine pregiudicare gli esiti di una sua qualsiasi soluzione, positiva o negativa» [1]. A riprova di ciò, proprio nel momento in cui si scrive, sono diverse le agenzie di stampa che riportano indiscrezioni circa le ulteriori ipotesi di intervento che si starebbero valutando al fine di garantire la continuazione delle attività della compagnia [2]. Sebbene l’esame di tutti i complessi avvenimenti che hanno interessato la compagnia aerea “di bandiera” rappresenti un interessante contributo alla conoscenza di una delle più importanti vicende della storia economico-industriale del nostro Paese [3], in questa sede ci si “limiterà” ad analizzare la vicenda della cessione di compendi avvenuta tra l’amministrazione straordinaria Alitalia e CAI dal punto di vista dei suoi profili giuslavoristici, ponendo particolare attenzione alle questioni inerenti alla sorte dei rapporti di lavoro “interessati” dal trasferimento. Nonostante le premesse e senza che si cada in contraddizione con esse, sarà necessario, preliminarmente, ripercorrere gli ultimi avvenimenti attraverso i quali si è giunti alla vicenda in esame. Nel corso del 2008, l’ennesima situazione emergenziale, causata dal naufragio delle trattative con il Gruppo Air France-KLM, portava lo Stato ad intervenire nuovamente nella vicenda Alitalia, al fine di evitare il rischio del venir meno dei presupposti per la continuità aziendale. Così il Governo, “azionista di maggioranza di Alitalia”, il 23 aprile 2008 emanava il d.l. n. 80, attraverso il quale disponeva in favore della compagnia l’erogazione di un prestito di 300 milioni di euro, «della durata strettamente necessaria per non comprometterne la continuità operativa nelle more dell’insediamento del nuovo Governo» [4]. Infatti, «il ruolo di quest’ultima quale vettore che maggiormente assicura[va] il servizio pubblico di trasporto aereo» imponeva «la straordinaria necessità ed urgenza di [continua ..]
Che il trasferimento di assets da Alitalia a CAI si sia potuto realizzare, con le modalità e con gli effetti anzi visti, solo grazie alla modifica della disciplina dell’amministrazione straordinaria “speciale” [19], è affermazione che non dovrebbe destare alcuna sorpresa [20]. D’altronde, già nei primissimi commenti al d.l. n. 134/2008, si sottolineava come esso fosse «l’ennesima legge fotografia … per adattare l’amministrazione al salvataggio dell’Alitalia» [21], ovvero «l’ennesimo provvedimento normativo confezionato al modo di un abito sartoriale per raggiungere uno specifico risultato, che nel caso di Alitalia era niente altro che la cessione dell’azienda ad un soggetto ben determinato, ancorché formalmente non nominato nel decreto legge» [22]. Sebbene tali giudizi siano stati espressi soprattutto in riferimento ai profili di disciplina inerenti alla responsabilità degli organi societari [23], ai poteri del Commissario Straordinario e del Governo [24], ovvero al regime dei contratti pendenti [25], pare che anche le disposizioni aventi ad oggetto gli effetti della cessione sui rapporti di lavoro presentino una sorta di specialità ad hoc. Infatti, l’art. 5, comma 2-ter, d.l. n. 347/2003, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 39/2004, così come modificato dall’art. 1, comma 13, d.l. n. 134/2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 166/2008, prevede che nell’ambito delle consultazioni di cui all’art. 63, comma 4, d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270, ovvero esaurite le stesse infruttuosamente, il Commissario e il cessionario possano concordare il trasferimento solo parziale di complessi aziendali o attività produttive in precedenza unitarie e definire i contenuti di uno o più rami d’azienda, anche non preesistenti, con individuazione di quei lavoratori che passano alle dipendenze del cessionario, specificando altresì che i passaggi «anche solo parziali» di lavoratori alle dipendenze del cessionario possono essere effettuati anche previa collocazione in cassa integrazione guadagni straordinaria o cessazione del rapporto di lavoro in essere e assunzione da parte del cessionario. Tale impostazione regolatoria, già di per sé chiara, ha poi trovato conferma nel comma [continua ..]
In ossequio alla suddetta «“lettura” necessariamente integrata tra legge fallimentare e disciplina del rapporto di lavoro» [37], si dovrà dunque accertare se la cessione avvenuta tra l’amministrazione straordinaria Alitalia e CAI possa configurare, almeno potenzialmente, un trasferimento d’azienda o di ramo d’azienda, rectius più trasferimenti di aziende o di rami di aziende [38]. A tal fine, non pare risultino conferenti le conclusioni cui è giunta la Commissione europea nella Decisione del 12 novembre 2008 [39], poi confermata dal Tribunale dell’Unione europea con sentenza del 28 marzo 2012 [40], a sua volta confermata dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea con sentenza del 13 giugno 2013 [41]. Infatti, l’esclusione di una continuità economica tra Alitalia e CAI è stata enunciata dalla Commissione prima che avvenisse il trasferimento [42] e, per di più, nell’ambito di una procedura in materia di aiuti di Stato, cioè volta “solamente” a valutare la compatibilità con il mercato comune di una misura adottata da uno Stato membro. In particolare, alla Commissione era stato richiesto di confermare che la cessione non configurasse la concessione di aiuti di Stato a favore degli acquirenti (CAI) dei beni di Alitalia e che l’eventuale acquisto da parte di terzi (CAI) di alcuni beni di Alitalia, sulla base di un’offerta già formulata, non configurasse elementi di continuità economica con l’impresa posta in amministrazione straordinaria, tali da indurre il trasferimento in capo all’acquirente dell’obbligo di recupero degli aiuti di Stato illegali e incompatibili concessi ad Alitalia [43]. Come ricordato dalla stessa Commissione, nell’ipotesi in cui i beni dell’iniziale beneficiario dell’aiuto vengano trasferiti ad un terzo ad un prezzo inferiore al loro valore di mercato o ad una società creata al fine di eludere l’obbligo di restituzione, ciò può rappresentare un trasferimento del vantaggio indebito e l’obbligo di recupero deve essere esteso all’impresa che subentra. Nell’ipotesi in cui, invece, vengano acquistati al prezzo di mercato, per escludere che l’acquirente abbia a sua volta beneficiato dell’aiuto deve accertarsi che non esista una [continua ..]
Com’è noto, il cardine della disciplina lavoristica del trasferimento d’azienda (o di ramo d’azienda) è rappresentato dal principio di automatica prosecuzione con il cessionario dei rapporti di lavoro dei dipendenti impiegati nell’azienda (o nel ramo d’azienda) trasferita [61], con la precisazione che l’automatico effetto successorio coinvolge anche tutti i diritti che derivano dal rapporto di lavoro (art. 2112, comma 1, c.c., attuativo dell’art. 3, par. 1, prima parte, Dir. 2001/23/CE) [62]. A questo fanno da corollario ulteriori principi, i quali contribuiscono a rendere lo stesso effettivo [63] ovvero provvedono a integrare ed estendere la protezione della posizione dei lavoratori ceduti. Tra i primi si colloca il principio per il quale il trasferimento non può costituire di per sé motivo di licenziamento, fatta la salva la possibilità di esercitare il recesso ai sensi della normativa in materia di licenziamenti (art. 2112, comma 4, c.c., attuativo dell’art. 4 Dir. 2001/23/CE) [64]. Tra i secondi, invece, si inseriscono, da un lato, il principio per il quale il cedente e il cessionario sono solidalmente obbligati per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento (art 2112, comma 2, c.c., attuativo della facoltà prevista dall’art. 3, par. 1, seconda parte, Dir. 2001/23/CE) [65], dall’altro, il principio per cui il cessionario è tenuto a garantire ai lavoratori “trasferiti” il mantenimento dei trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi applicati alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, fatta salva la possibilità che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all’impresa del cessionario, con la precisazione che tale sostituzione è possibile solo fra contratti collettivi di uguale livello (art. 2112, comma 3, attuativo dell’art. 3, parr. 3 e 4, Dir. 2001/23/CE) [66]. Se questi sono i principi inderogabili nelle vicende circolatorie dell’imprea in bonis [67], quando le stesse si svolgono nell’ambito di imprese in stato di insolvenza, la disciplina garantistica subisce una rimodulazione ovvero un’attenuazione della sua rigidità [68]. Proprio questa diversa impostazione ha portato una parte degli [continua ..]
Alla luce delle riflessioni appena svolte, le norme derogatorie, contenute nella disciplina dell’amministrazione straordinaria delle imprese in crisi operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali, potrebbero ritenersi legittime solo a condizione di qualificare la procedura come principalmente liquidatoria [100]. A guardare la complessiva disciplina non sembra possibile giungere a tale conclusione, poiché sono diversi i profili che dimostrano come essa, perlomeno nella versione “speciale” per le imprese operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali, non sia finalizzata principalmente alla massima soddisfazione dei creditori. Innanzitutto la centralità che, all’interno della procedura, assume la tutela dell’“impresa”. Infatti, «appare francamente indubitabile che l’assetto voluto dal legislatore per questa tipologia di procedura concorsuale sia innegabilmente quello di riconoscere nell’impresa un autonomo centro di imputazione di attività commerciale, un’entità dinamica organizzata che – in quanto tale e al di là dell’imprenditore coinvolto nel dissesto – riceve una specifica e autonoma tutela» [101]. A tal proposito si è parlato di “oggettivazione” del diritto fallimentare [102], poiché i destini dell’impresa e dell’imprenditore possono divergere: «l’impresa, tramite la cessione dei complessi aziendali o tramite un processo di ristrutturazione economica e finanziaria, può essere salvata, mentre l’imprenditore può perdere tutto ed uscire di scena» [103]. Infatti, nell’amministrazione straordinaria «si assiste ad una piena e tipica sostituzione del soggetto cui competono i poteri gestori nell’esercizio dell’impresa, come situazione normale in conseguenza della finalizzazione dell’intero istituto alla continuità dell’organizzazione produttiva» [104]. Il “risanamento” ha ad oggetto l’impresa, non l’imprenditore, ed è finalizzato a conservarne l’idoneità a proseguire l’attività produttiva, «pertanto è irrilevante se siffatto obiettivo venga centrato attraverso una riattivazione dei processi produttivi o una cessione degli stessi a terzi» [105]; il [continua ..]
Alla luce dell’analisi condotta, sembrano trovare conferma i dubbi di non conformità alla direttiva europea della disciplina introdotta, rispettivamente, dal d.l. n. 134/2008, convertito dalla legge n. 166/2008, e dal d.l. n. 185/2009, convertito dalla legge n. 2/2009 [112]. Come si è visto, le disposizioni contenute nell’art. 5, comma 2-ter, d.l. n. 347/2003 e nel comma 3-bis dell’art. 56, d.lgs. n. 270/1999, prevedono una deroga totale alla disciplina di tutela apprestata dall’art. 2112 c.c. e dalla Direttiva n. 2001/23/CE, che non risulta ammessa dall’art. 5 della stessa Direttiva, come interpretato dalla Corte di Giustizia. La procedura di amministrazione straordinaria delle imprese operanti nei servizi pubblici essenziali non rappresenta una «procedura di insolvenza … aperta in vista della liquidazione dei beni del cedente», in quanto non può dirsi finalizzata principalmente a «massimizzare la soddisfazione collettiva dei creditori». Il legislatore, quindi, trattandosi di una procedura non liquidatoria, tuttavia sottoposta al controllo di un’autorità pubblica competente, avrebbe potuto prevedere solamente le deroghe previste dal par. 2, dell’art. 5. Avrebbe, cioè, potuto prevedere che gli obblighi del cedente nei confronti dei lavoratori impiegati nell’azienda o ramo ceduti, sorti prima del trasferimento o dell’apertura della procedura, non siano trasferiti al cessionario (a condizione che sia garantita ai lavoratori una protezione almeno equivalente a quella prevista dalla Direttiva n. 80/987/CE) [art. 5, par. 2, lett. a)], e che il cedente, il cessionario e i rappresentanti dei lavoratori possano convenire modifiche delle «condizioni di lavoro» dei lavoratori dell’azienda o del ramo oggetto del trasferimento, intese a salvaguardare le opportunità occupazionali [art. 5, par. 2, lett. b)]. Dunque, se queste disposizioni hanno reso possibile il passaggio degli assets da Alitalia a CAI, con le modalità e con gli effetti anzi visti, ciò non significa che gli esiti di tale vicenda possano dirsi del tutto conclusi. Infatti, sono diverse le azioni in giudizio promosse dai lavoratori esclusi dal passaggio. Secondo un primo orientamento, la non conformità delle suddette norme al diritto comunitario potrebbe condurre il giudice nazionale a [continua ..]