Variazioni su Temi di Diritto del LavoroISSN 2499-4650
G. Giappichelli Editore

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I criteri di scelta, tra incertezze passate, presenti e future (di Giulio Centamore (Assegnista di ricerca dell’Università di Bologna))


Il saggio affronta il tema, tradizionale e al tempo stesso estremamente attuale in periodi di crisi economica, dei criteri di scelta dei lavoratori nel licenziamento collettivo. L’autore, sia pur prendendo le mosse da una ricostruzione delle principali questioni che, nel tempo, hanno interessato l’istituto dei criteri di scelta, prova a confrontarsi con le problematiche indotte dall’attualità: segnatamente, quelle derivanti dalla revisione della disciplina dei rimedi per il licenziamento (anche collettivo) illegittimo, auspicando, in chiusura del lavoro, un mutamento nell’atteggiamento della giurisprudenza, per via di una valorizzazione degli istituti del diritto civile, in grado di recuperare maggiori spazi di tutela per il prestatore di lavoro.

Issues about the criteria for selection of employees for collective dismissal

The essay deals with the issue of the selection criteria for collective dismissals; it is, without a doubt, a traditional issue as well as a current and burning one, especially since the economic crisis. As such, the author cannot but start his investigation with the main questions raised and discussed in the literature over time; furthermore, he specifically addresses the effects of the recent reforms of the legal remedies for unfair dismissal (so-called Jobs act of 2015), suggesting a new approach in the case law on the issue, with a view to increase protection for employees.

SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. I criteri di scelta nel prisma dei poteri del datore di lavoro - 3. L'ambito di comparazione - 4. I criteri legali, e qualche notazione a margine di un dibattito aperto - 5. Il rinvio all'autonomia collettiva - 6. «Fuggire, ma nel fuggire cercare un'arma» - NOTE


1. Introduzione

La disciplina dettata dall’art. 5, l. n. 223/1991 in tema di criteri di scelta nei licenziamenti collettivi è stata, dapprima, novellata dalla riforma Fornero (art. 1, comma 46, l. n. 92/2012) e, in seguito, per così dire, aggirata, per i lavoratori assunti dal 7 marzo 2015, mediante la controversa tecnica dei due binari di regolazione sperimentata dal Jobs act (art. 10, d.lgs. n. 23/2015). Per quanto tali modifiche – adottate, sembra, senza la necessaria ponderazione [1] e quale mero portato degli interventi sul licenziamento individuale [2] – abbiano interessato il regime rimediale [3], non è fuori luogo ipotizzarne una ricaduta sulla tenuta complessiva della disciplina. Per vagliare la fondatezza di questa ipotesi, e capire verso quale meta possa condurre l’interprete, è necessario riprendere i termini del dibattito che, in questi anni, ha interessato il tema dei criteri di scelta [4]. Si tratta di un segmento centrale [5] della disciplina promulgata nel 1991 in tardivo [6] adempimento degli oneri imposti dalla partecipazione alla (allora) comunità europea: un insieme di regole dettate per comporre i delicatissimi conflitti che, a valle di una decisione imprenditoriale di ridurre l’organico, possono insorgere, e normalmente insorgono, tra razionalità capitalistica e fattore lavoro [7], ma anche all’interno della collettività di lavoratori o persino dell’intera collettività di lavoratori subordinati [8]. Ma v’è di più. La disciplina sui criteri di scelta si pone al crocevia di una serie di tematiche centrali per il diritto del lavoro. Essa incrocia il fondamento, l’estensione e, a un tempo, i limiti dei poteri che il datore di lavoro esercita nell’amministrazione del rapporto [9]; in misura non minore, anche la sfera di contropotere che i lavoratori e le loro organizzazioni esercitano motu proprio e per effetto di un rinvio legale generoso ma foriero di tensioni interpretative [10]; non ultimo (anzi), su entrambi i profili, a essere chiamati in causa sono il quomodo e l’an stesso del sindacato del giudice, costretto a muoversi con estrema circospezione tra i molti e confliggenti valori in gioco [11].


2. I criteri di scelta nel prisma dei poteri del datore di lavoro

Non è in dubbio che le scelte fondamentali che concernono l’avvio, la prosecuzione, il dimensionamento, le strategie e gli scopi, fino alla cessazione di un’iniziativa privata economica siano ricomprese nella sfera di libertà espressa dall’art. 41, comma 1, Cost. [12]. Coerentemente, la determinazione di procedere con un licenziamento collettivo è attratta nella «zona» di opportunità dell’impresa [13]. Eppure, in forza di direttive di solidarietà sociale [14], nel tempo che intercorre tra il momento in cui la determinazione è assunta e quello in cui è attuata [15], si possono frapporre ad essa ostacoli di diversa natura e intensità, per legge o da parte dell’autonomia collettiva. Se è tramontata la stagione in cui i licenziamenti collettivi furono definiti impossibili [16], è pur vero che la legge n. 223 ha intessuto una fitta trama procedimentale [17], che pone gli attori interessati in condizione di poter orientare le valutazioni aziendali [18]; è inteso che qualora il soggetto collettivo ne abbia la forza la scelta organizzativa può essere messa in discussione [19]. Diversamente, il sindacato è sollecitato comunque a sporcarsi le mani, entrare nella vicenda e mediare tra gli interessi e i soggetti coinvolti [20]. Via via che la decisione imprenditoriale fuoriesce dalla dimensione di libertà, per farsi atto di esercizio di un potere contrattuale [21], con l’invio della comunicazione iniziale e lo svolgimento della procedura, per volgere infine verso le posizioni individuali, aumenta il condizionamento dell’iniziativa privata economica [22]. La discrezionalità d’impresa, massima nel momento in cui è pianificata l’operazione commerciale (non potrebbe essere altrimenti) [23], si riduce sino a (tendenzialmente) scomparire nella fase di selezione dei lavoratori, per non lasciare «neanche in via marginale la possibilità al datore di lavoro di una scelta cd. personalizzata» [24]; anche per coerenza con la disciplina UE, che delimita la fattispecie in negativo con la formula dei «motivi non inerenti alla persona del lavoratore». I dispositivi della l. n. 223 (art. 5) garantiscono che la scelta sia obbiettiva, imparziale e trasparente, quasi con gli automatismi di [continua ..]


3. L'ambito di comparazione

Uno degli aspetti su cui ha più insistito il sindacato giudiziale è la delimitazione dell’ambito di comparazione [42], che per ragioni di logica e di aderenza alla lettera dell’art. 5 [43] è un prius rispetto all’applicazione dei criteri di scelta [44]; invero, imprecisioni o leggerezze nell’individuazione della platea dei lavoratori licenziabili dilaterebbero oltremisura i margini di discrezionalità del datore di lavoro, pregiudicando in apicibus l’applicazione in concreto dei criteri di scelta. A venire in rilievo è il primo dei due riferimenti che, senza che vi sia contraddizione, il comma 1 dell’art. 5, cit. dedica alle «esigenze tecnico-produttive ed organizzative del complesso aziendale» [45]. La delimitazione dell’ambito di selezione deve essere operata, dal datore di lavoro, in corrispondenza con le caratteristiche della ristrutturazione, come delineata nella comunicazione iniziale [46]. Peraltro, non è da escludere un intervento chiarificatore o specificativo dell’autonomia collettiva; la giurisprudenza ha interpretato, infatti, estensivamente il disposto dell’art. 5 [47], che parrebbe, a rigore, investire le parti negoziali della (sola) competenza a individuare criteri di scelta diversi da quelli legali, senza incidere sull’attività prodromica di individuazione dell’ambito di selezione. Nella prassi, è frequente che, se le parti abbiano optato per il criterio unico delle esigenze organizzative (v. infra), sia previsto altresì un restringimento dell’ambito di comparazione a un certo reparto, settore o unità (da ristrutturare); questa combinazione, apertamente volta ad agevolare il risanamento-rilancio del complesso produttivo, incontra il favore di un orientamento consolidato, fermo, almeno sulla carta, nel censurare solo operazioni spregiudicate, prive di coerenza interna e razionalità [48]. Si giunge a una conclusione opposta, secondo la giurisprudenza più recente, nel caso in cui il restringimento della platea dei licenziabili si accompagni al criterio unico della prossimità alla pensione (o della pensionabilità, infra § 5) [49]; in effetti, questo revirement (melius, affinamento) del diritto vivente è condivisibile, atteso che non sarebbe logico mettere in [continua ..]


4. I criteri legali, e qualche notazione a margine di un dibattito aperto

Le basi della rivoluzione copernicana [68] avviata dalla legge n. 223/1991 sono comunemente identificate nella procedimentalizzazione dei poteri datoriali; d’altra parte, la previsione, ripresa dal testo degli A.I. [69], di criteri legali di scelta riveste un’importanza forse non minore, nella misura in cui affianca, alla giustizia procedurale, un’ideale di giustizia sostanziale in grado di porre limiti (sulla carta, altrettanto) severi alla posizione datoriale [70]. Graduare le situazioni personali dei lavoratori in funzione dei loro «carichi di famiglia», dell’«anzianità» (oltre che) delle «esigenze tecnico-produttive ed organizzative», altro non vuol dire se non distinguere tra, e far cadere la scelta di recesso su, coloro che più di altri possono sopportare la perdita del lavoro e l’interruzione della fonte di reddito [71]. Questo principio-guida della disciplina, che si riassume nella formula del male minore [72], deve orientare le determinazioni dei soggetti che «partecipano» a questa delicata fase dei rapporti tra impresa e personale: il datore di lavoro è tenuto a non pretermettere (del tutto) le ragioni «sociali» dei lavoratori [73]; ferma la natura suppletiva – secondo la lettura più diffusa – della norma di legge, neanche l’autonomia collettiva, in caso di accordo sui criteri di scelta, potrà allontanarsi (troppo) dalla «zona» valoriale individuata dal legislatore, sia pure nell’esercizio di prerogative di libertà costituzionalmente tutelate [74]. Benché la più parte dei dubbi sia stata ormai dissipata, si discute ancora del significato esatto da attribuire ai singoli criteri. Con riferimento ai carichi di famiglia, non v’è certezza circa gli elementi da tenere in considerazione per graduare le singole posizioni. Si potrebbe adottare una prospettiva solo quantitativa (il numero di persone effettivamente a carico), oppure affiancarvene una anche qualitativa, dando rilievo alla complessiva situazione socio-economica del prestatore. Non senza qualche forzatura [75], parrebbe preferibile la seconda soluzione [76], più attenta all’effettiva condizione personale e, dunque, più vicina alla ratio della disposizione [77]. Tuttavia, al riguardo si è obiettato, pour [continua ..]


5. Il rinvio all'autonomia collettiva

La «partecipazione» sindacale nel licenziamento collettivo rinviene nella possibilità di concordare i criteri di scelta uno dei momenti più alti, ma al tempo stesso delicati, per i rischi di frammentazione dell’interesse collettivo [110] e di tenuta della rappresentatività di fronte alla comunità di lavoro [111]. Eppure, non si può porre in dubbio l’opportunità di rimettere, in prima battuta, i criteri di scelta all’accordo tra le parti, che (sole) dovrebbero avere contezza della situazione contingente e di come gestirla; (anche) da ciò deriva la rilevanza della comunicazione iniziale (alla quale spetta di compensare l’asimmetria informativa tra le parti) e dell’esame congiunto. All’autonomia collettiva sono attribuite ingenti risorse normative [112], tali da (poter) graduare il peso dei criteri legali, puntualizzarne il significato, accordare preferenza a uno di essi (nella prassi, le esigenze organizzative) o sostituirli con altri alieni all’elenco tipico [113]. Peraltro, a quest’ultimo proposito, la creatività sindacale ha lasciato spazio al pragmatismo: oltre a quello della “non opposizione al recesso”, l’unico criterio “nuovo” è (da sempre) quello della prossimità al pensionamento, o della maturazione dei requisiti per fruire del relativo trattamento [114]; al riguardo, la giurisprudenza è ferma, in principio, nel considerare legittimo tale criterio [115], purché la sua formulazione (nell’accordo) o la sua applicazione pratica non conducano a esiti arbitrari-irrazionali [116]. Ironia della sorte, l’unico criterio “nuovo” potrebbe essere diventato “vecchio”, con l’allungamento dell’età pensionabile e il superamento del sistema di mobilità lunga, che aveva consentito, negli anni, di completare rilevanti processi di riconversione-ristrutturazione a costi sociali contenuti [117]; i frequenti interventi del legislatore sul tema delle pensioni priverebbero, peraltro, tali accordi collettivi delle necessarie garanzie di stabilità. È pacifico che l’autonomia collettiva possa intervenire (anche) a livello aziendale, con un contratto collettivo (che regoli il trattamento economico e normativo dei lavoratori) o con un accordo concluso [continua ..]


6. «Fuggire, ma nel fuggire cercare un'arma»

 [136] Le parole del filosofo francese Gilles Deleuze sono state spesso riprese, dalla dottrina critica, per alludere allo stato in cui versano le forze della sinistra dopo le sconfitte storiche subite dagli apparati dello Stato e dalle organizzazioni del capitalismo. Compromessa la situazione sul terreno del confronto diretto con il potere, l’idea, in sostanza, è di aggirarlo, schivarne i dispositivi, ma allo stesso tempo attivarsi per rinnovare gli strumenti di opposizione [137]. Riavutasi dopo il secco uno-due della riforma Fornero e del Jobs act, la dottrina giuslavoristica più progressista perde campo, ma, al contempo, batte nuove strade per ampliare i risibili margini di tutela (nel rapporto) [138]. Ne va dell’effettività del diritto del lavoro [139]; per essere precisi, dell’efficacia delle «tecniche procedimentali di limitazione del potere imprenditoriale», la quale è condizionata dalle sanzioni per la loro inosservanza, «in particolare – visto che esse attengono prima di tutto alla sfera dei rapporti collettivi – dalla possibile incidenza di un non conforme esercizio del potere anche sul terreno del rapporto individuale, con conseguenze di tipo invalidante» [140]. Oggi il sistema rimediale per il licenziamento intimato in violazione dei criteri di scelta consiste, per i lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015, nella reintegrazione con indennità dimidiata, ex artt. 5, comma 3, l. n. 223/1991 e 18, comma 4, l. n. 300/1970; per quelli assunti dopo tale data, in un’indennità pari a 2 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del t.f.r. per ogni anno di servizio, in misura compresa tra 4 e 24 mensilità, ex artt. 3, commi 1 e 10, d.lgs. n. 23/2015 (dirigenti esclusi) [141]. Questa divaricazione genera aporie sia nella dimensione temporale (la data d’inizio del rapporto, come nel licenziamento individuale), sia in quella spaziale, atteso che lavoratori impiegati presso la stessa azienda, licenziati all’esito di una stessa procedura, in applicazione di uno stesso catalogo di criteri, potrebbero essere sottoposti a regimi processuali e rimediali diversi; oltre ai dubbi di legittimità costituzionale [142], il rischio è che le valutazioni aziendali ne siano influenzate, orientandosi sistematicamente [continua ..]


NOTE