Il saggio analizza la nuova formulazione dell’art. 2103 c.c., offrendo una ricostruzione della evoluzione della disciplina limitativa del potere del datore di imporre al prestatore di lavoro mansioni diverse da quelle pattuite. In particolare, si sofferma sugli aspetti relativi ai presupposti legali del demansionamento disposto in via unilaterale dal datore di lavoro, alle ipotesi di mutamento di mansioni affidate alla contrattazione collettiva e ai limiti che incontra il potere derogatorio unilaterale. L’indagine è completata dall’esame della tutela contro la illegittima modificazione delle mansioni e delle diverse tipologie di danno e di eventuali risarcimenti.
The unilateral demotion within the new regulation of tasks The paper analyzes the new structure of article 2103 c.c., offering a reconstruction of the evolution of the rules restricting the possibility for employers to impose tasks different than those agreed to the worker. In particular, it focuses on aspects related to legal requirements of de-skilling unilaterally decided by the employer, on aspects related to cases of change of tasks provided by collective bargaining and the limits of the power of unilateral immunity. The research is completed by examining the protection against illegal modification of tasks and different types of damage and possible compensations.
1. La nuova formulazione dell’art. 2103 c.c.: le ipotesi di legittima adibizione a mansioni inferiori
L’art. 3 (“Disciplina delle mansioni”) del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, riscrive integralmente l’art. 2103 c.c. [1], oggi rubricato “Prestazione del lavoro” [2], come nella versione della norma ante Statuto [3].
La norma amplia notevolmente, con alcune specifiche limitazioni, la possibilità dello spostamento del lavoratore a mansioni inferiori rispetto a quelle precedentemente svolte [4]: le nuove ipotesi di legittimo demansionamento sono disciplinate nei commi 2, 4, 5 e 6 dell’art. 3, d.lgs. n. 81/2015, a cui si aggiunge il comma 3, sull’“assolvimento dell’obbligo formativo”. Il legislatore infine conferma, sebbene notevolmente ridimensionata, la regola della nullità dei patti contrari (comma 9).
In proposito, è opportuno osservare come già la giurisprudenza aveva gradualmente ridimensionato il principio della inderogabilità sancito dal secondo comma dell’art. 2103 c.c. nella versione modificata dall’art. 13 St. lav. [5].
Per un verso, essa aveva ritenuto di potere ammettere mutamenti peggiorativi delle mansioni per serie e ragionevoli esigenze di efficienza aziendale [6]. Per altro verso, si segnalano significative aperture che hanno ritenuto ammissibile una interpretazione più elastica del divieto di patti contrari [7], introducendo deroghe nei casi in cui la dequalificazione professionale rappresenti per il lavoratore il “male minore” [8].
In una prospettiva collettiva poi la giurisprudenza aveva individuato ulteriori ipotesi che si sottraggono alla sanzione della nullità, attraverso il riconoscimento di significativi spazi di intervento all’autonomia collettiva [9]. In particolare, l’autonomia collettiva, pur nel rispetto di limiti ben precisi, può porre clausole di fungibilità di due tipi [10]: il primo riguarda “meccanismi di fungibilità” per i quali il lavoratore può essere adibito a mansioni “in ipotesi anche di livello diverso”, purché le stesse siano collocate nella medesima qualifica dall’autonomia collettiva, abbiano carattere temporaneo e siano giustificate da “contingenti esigenze aziendali” [11]; il secondo concerne invece clausole di fungibilità che prevedono “meccanismi di scambio o di avvicendamento o di rotazione” a mansioni anche diverse, purché queste siano collocate nella stessa qualifica dal contratto collettivo e siano finalizzate alla “valorizzazione della professionalità potenziale di tutti i lavoratori inquadrati in quella qualifica”.
Inoltre, alcuni interventi legislativi, sempre nella logica di una interpretazione attenta agli interessi in gioco [continua..]