La crescita continua del lavoro autonomo in Italia è stata accompagnata dall’introduzione di forme di tutela specifiche con l’emanazione della legge n. 81/2017, che si colloca nel solco della robusta riforma del lavoro voluta dal Governo Renzi. Oltre a disposizioni volte a bilanciare gli equilibri contrattuali, si segnala la creazione di servizi personalizzati di orientamento, riqualificazione e ricollocazione in favore dei lavoratori autonomi, che dovrebbero contribuire al migliore incontro tra domanda e offerta di lavoro
The continuous growth of self-employment in Italy has been accompanied by the introduction of specific forms of protection, contained in law no. 81/2017, which is placed in the wake of the robust regulatory reform desired by the Renzi government, better known as "Jobs Act". In addition to provisions aimed at balancing the contractual imbalances, we note the creation of personalized guidance, retraining and relocation services for self-employed workers, which should contribute to the best match between job demand and supply.
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1. Premessa - 2. Il lavoro autonomo nel mercato del lavoro italiano - 3. L'accesso alle informazioni sul mercato e i servizi personalizzati di orientamento, riqualificazione e ricollocazione - 4. Le misure specifiche per i disabili - 5. Qualche osservazione conclusiva - NOTE
Al Jobs Act del lavoro subordinato (l. n. 183/2014 e connessi decreti attuativi) ha fatto seguito a distanza di circa due anni la l. 22 maggio 2017, n. 81 [1], recante «Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato», meglio nota come «Jobs Act del lavoro autonomo» o «Statuto del lavoro autonomo» [2]. L’epigrafe della l. n. 81/2017 è paradigmatica della volontà del Governo Renzi di introdurre forme di tutela anche per il lavoro autonomo, alla luce della significativa metamorfosi dei processi produttivi, riconducibile non solo a nuovi strumenti (e modi) di produzione, ma anche ad una evoluzione dell’impresa, che tende a reticolarsi, con innovative forme di coordinamento tra operatori economici [3]. Il Sistema – Paese a sua volta risente degli effetti della new economy [4] e della rivoluzione digitale [5], in grado di influenzare non solo l’organizzazione del lavoro, ma anche il modo di fare impresa [6], con importanti effetti sul mercato del lavoro e delle professioni, emergendo così nuove professionalità, il cui esercizio avviene solitamente in modo autonomo, ovvero mediante “piattaforma elettronica” oppure “logaritmo” [7]. Questi fenomeni non solo determinano l’emersione di una nuova geografia del lavoro, ma contribuiscono alla riconfigurazione del mercato del lavoro, con la necessità di articolare tutele in favore dei lavoratori autonomi ad ampio spettro, che non riguardino solo il rapporto. I lavoratori autonomi sono parte del fenomeno della flessibilità [8], talvolta subendola, ad esempio quando sono l’oggetto delle politiche di “buy” realizzate dalle grandi imprese, talaltra agendola, quando ad esempio producono o acquistano essi stessi fattori produttivi, divenendo parte del complesso quadro della frammentazione organizzativa [9]. La crescita continua e progressiva del lavoro autonomo in Italia [10] ha indotto quindi il legislatore ad approntare nel 2017 tutele che non agiscono solo sul versante del rapporto, ma anche su quello processuale, previdenziale [11] e del mercato, così da porre rimedio ad una «condizione di debolezza contrattuale ed economica che colpisce anche molti [continua ..]
La tutela nel mercato del lavoro, approntata dalla l. n. 81/2017 in favore del lavoro autonomo, si innesta sulla riforma operata dal d.lgs. n. 150/2015 e deve tener conto della mancata approvazione del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, che avrebbe dovuto completare il processo di ricentralizzazione avviato con il Jobs Act, nel tentativo di rimediare alla patologica condizione operativa dei servizi per il lavoro. Le ataviche difficoltà di matching tra domanda e offerta che caratterizzano il nostro mercato hanno alimentato significativi bacini disoccupazionali, e non è ragionevole ipotizzare che la panacea per le storiche difficoltà dei centri per l’impiego possa essere costituita dall’ennesima riforma della disciplina e dell’organizzazione del mercato del lavoro, dovendosi valorizzare a monte il contributo che le politiche attive potrebbero offrire per favorire l’incontro tra domanda e offerta. Peraltro, pur ipotizzando che modifiche normative possano giovare al Sistema – Paese, non va dimenticato che tuttora v’è un rapporto asimmetrico tra politiche passive e attive, specie in termini di risorse utilizzate a loro sostegno, confermandosi un approccio affatto lungimirante e non orientato alla soluzione dei problemi del mercato del lavoro [13], ai quali bisogna guardare da un punto prospettico eccentrico rispetto a quello tradizionale, radicato sulla posizione del lavoratore subordinato a tempo indeterminato, alle dipendenze di un’impresa medio grande. Orbene, il peso specifico raggiunto dal lavoro autonomo nell’economia italiana offre una imperdibile occasione per approcciarsi al mercato del lavoro in modo differente, scansando quello dogmatico alla crescita dell’“esercito delle Partite IVA”, sovente caratterizzato da preconcetti e pregiudizi, in ragione dello strisciante parassitismo fiscale che lo caratterizzerebbe, dell’incapacità del sistema produttivo di esprimersi in forme più strutturate ed a causa del fenomeno del “falso lavoro autonomo” [14]. Il lavoro autonomo, invece, può rappresentare una possibile modalità di ingresso nel mercato del lavoro in presenza di una saturazione temporanea della domanda di lavoro dipendente, agevolata a sua volta da forme di incentivazione all’avvio di attività imprenditoriali, così da contrastare inoccupazione o [continua ..]
Elementi di tutela mercatistica anche al lavoro autonomo sono reperibili nell’art. 10, l. n. 81/2017, caratterizzato da una formulazione di maggior respiro e da una più attenta articolazione nei contenuti rispetto al correlato art. 6, d.d.l. n. 2233 [16], ferma restando l’assoluta novità nel panorama normativo italiano delle tutele ivi apprestate [17]. In tempi non sospetti e dal punto di vista dogmatico, però, una embrionale forma di tutela mercatistica era già stata ipotizzata quasi vent’anni fa nello Statuto dei lavori a cura di Marco Biagi e Michele Tiraboschi, collocando nel nucleo di diritti fondamentali «indisponibile in sede di negoziazione amministrativa dei contenuti del contratto» l’accesso gratuito alle informazioni del mercato del lavoro e ai servizi per l’impiego. A sua volta «Al di sopra di questo nucleo minimo di norme inderogabili sembra opportuno lasciare ampio spazio all’autonomia collettiva e individuale, ipotizzando una gamma di diritti inderogabili relativi, disponibili a livello collettivo o anche individuale se concordati nella apposita sede amministrativa. A ciò dovrà accompagnarsi (…) E) un potenziamento dei servizi per l’impiego e delle strutture informative sul mercato del lavoro (attraverso un eventuale intervento sulle strutture e sulle funzioni degli uffici del collocamento)» [18]. Più recentemente, anche la Carta dei diritti universali del lavoro della CGIL sembra offrire una qualche forma di tutela mercatistica al lavoratore autonomo, sebbene ricostruita sotto forma di divieto di discriminazione, tutela comunque sostanzialmente ricostruita sul modello del lavoro dipendente (art. 11). La predisposizione di forme di tutela nel mercato in favore degli autonomi, poi, sembra trovare più di un addentellato normativo a livello europeo, come evidenzia chi colloca la l. n. 81/2017 nel solco delle indicazioni eurounitarie, segnalando quali riferimenti normativi gli artt. 14, 29 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea [19]. Sotto il profilo attuativo, poi, rafforza lo stretto collegamento tra l’aquis communitarie e la l. n. 81/2017 l’istituzione del c.d. pilastro europeo dei diritti sociali, confluito nella correlata raccomandazione della Commissione europea del 26 aprile 2017, ivi includendosi «il diritto di ogni persona ad una [continua ..]
Nello svolgimento delle attività proprie dello sportello del lavoro autonomo, i centri per l’impiego, al fine di fornire informazioni e supporto ai lavoratori autonomi con disabilità, si avvalgono dei servizi per il collocamento mirato delle persone con disabilità di cui all’art. 6, l. n. 68/1999. Sul punto giova evidenziare che la tutela del lavoratore autonomo disabile nel mercato del lavoro è appannaggio esclusivo dei centri per l’impiego, non essendo annoverati i soggetti autorizzati, gli ordini, i collegi professionali, le associazioni costituite ex artt. 4, comma 1, e 5, l. n. 4/2013, ovvero le associazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale dei lavoratori autonomi iscritti e non iscritti ad albi professionali. In sintesi, il legislatore ha attribuito al solo organo pubblico le funzioni di informazione e supporto a questa peculiare utenza, dimenticando gli spazi di azione già concessi dall’art. 12, l. n. 68/1999 agli «altri soggetti pubblici e privati idonei a contribuire alla realizzazione degli obiettivi della presente legge», in materia di convenzioni di integrazione lavorativa. Invero, la disposizione prevede che i centri per l’impiego si avvalgano «dei servizi per il collocamento mirato delle persone con disabilità di cui all’articolo 6 della l. 12 marzo 1999, n. 68», rinviando così ad una disposizione che, da un lato, individua genericamente [49] («uffici competenti») gli organi investiti delle funzioni del collocamento dei disabili e, dall’altro delinea, in modo esaustivo, le attività, indicando le modalità operative con cui provvedere alle stesse [50]. La genericità del dato positivo innanzi indicato non è d’aiuto a risolvere il problema rappresentato dall’individuazione dei citati «uffici competenti», emerso a seguito della riforma del mercato del lavoro operata dal d.lgs. n. 150/2015, nella misura in cui si attribuisce ad ANPAL il coordinamento del collocamento dei disabili, all’INAPP (ex ISFOL) il monitoraggio e la valutazione delle politiche attive, ivi comprese quelle relative all’utenza disabile, mentre la prassi ministeriale [51] affida alle Regioni l’individuazione di almeno un ufficio, su base territoriale provinciale, che si occupi degli interventi funzionali a [continua ..]
I circa vent’anni di vigenza del decentramento dei servizi per l’impiego (d.lgs. n. 469/1997) e la conclamata inefficienza (con qualche isolata eccezione) dei centri per l’impiego di promanazione provinciale non possono che indurre al pessimismo circa l’attuazione delle misure in esame, in un’area che necessita di ben altre competenze. Probabilmente, la “collaborazione” tra centri per l’impiego ed ordini/associazioni professionali va, per così dire, invertita, valorizzando il ruolo di questi ultimi e relegando i primi al ruolo di collaboratori, quanto meno per minimizzare i danni di cui sono stati capaci nel ventennio di loro (in)operatività.