L’articolo si occupa del tema del reclutamento del personale nelle società controllate da pubbliche amministrazioni. Partendo da un breve esame della disciplina vigente prima dell’entrata in vigore del T.U. del 2016, l’autore si sofferma soprattutto sull’analisi della natura giuridica delle procedure selettive previste per le assunzioni, sulle conseguenze nelle ipotesi di violazione di tali procedure e sulla convertibilità in contratti a tempo indeterminato dei contratti di lavoro flessibili illegittimi.
The article deals with the theme of employee recruitment in government-controlled companies. Starting from a brief examination of the law provisions in force before the Legislative Decree no. 175/2016 entered into force, the author analyses the legal nature of the selection recruitment process, the consequences in case of violation of these process and the possibility of conversion of unlawful flexible employment contract into employment contract of indefinite duration.
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1. Premessa - 2. La disciplina sul reclutamento del personale nelle società pubbliche nel vigore della normativa del 2008 - 3. I vincoli di spesa per il reclutamento del personale - 4. Le procedure selettive: il campo di applicazione - 5. La natura giuridica delle procedure di selezione e le conseguenze in caso di violazione - 6. Sulla convertibilità dei contratti di lavoro flessibili stipulati dalle società controllate dalla P.A. - NOTE
La riforma della pubblica amministrazione introdotta dalla legge n. 124/2015 (c.d. Riforma Madia) ha previsto all’art. 18 una delega al Governo in materia di partecipazioni societarie delle amministrazioni pubbliche [1]. Oggetto della delega era la semplificazione e il riordino della disciplina delle società a controllo pubblico costituita, fino a quel momento, da norme succedutesi nel tempo, per far fronte a esigenze estemporanee, dislocate in diverse fonti normative e prive di una visione di insieme. Il d.lgs. n. 175/2016, attuativo della suddetta delega, si è mosso in tale direzione e ha quantomeno il pregio di offrire una visione organica della materia. Tuttavia, il riordino e la razionalizzazione della disciplina non è l’unica finalità perseguita dal legislatore delegato. Traspare, infatti, in modo evidente una sfiducia nel coinvolgimento delle pubbliche amministrazioni nella gestione dell’attività di impresa, che culmina nel divieto per le P.A. di costituire, acquisire o mantenere partecipazioni (anche di minoranza) in «società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali» (art. 4, d.lgs. n. 175/2106). Il divieto per le pubbliche amministrazioni di assumere la qualità di socio nelle società di capitali è probabilmente una reazione ai problemi emersi con riferimento a tali modelli societari. Infatti, le incertezze derivanti dal frastagliato quadro normativo di riferimento hanno favorito una proliferazione incontrollata delle società partecipate a cui è seguito un sensibile aumento dei costi, spesso accompagnato anche da una gestione non efficiente dei servizi pubblici affidati alle suddette società [2]. La diffusione di questi modelli ha rappresentato solo in parte «la risposta ad esigenze reali della collettività, più spesso (…) sono stati utilizzati per eludere i vincoli all’attività amministrativa, sia con riguardo alle procedure di evidenza pubblica (…) che ai vincoli di bilancio, alle stringenti regole del patto di stabilità e della contabilità pubblica» [3]. Da qui la scelta di limitare la partecipazione pubblica nelle società alle sole ipotesi in cui ciò sia necessario per il perseguimento delle finalità [continua ..]
L’art. 18 della legge n. 133/2008, di conversione del d.l. n. 118, prevedeva un sistema di reclutamento per le società partecipate simile a quello in vigore per il rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni. La disciplina, però, non era unica per tutte le società pubbliche, ma articolata su più livelli. Il primo comma della norma, infatti, sanciva che le società a totale partecipazione pubblica e che gestivano servizi pubblici locali dovessero adottare, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi di cui al comma 3 dell’art. 35 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165. Per tali società, quindi, era esclusa in radice la possibilità di assunzione diretta e, sebbene attraverso provvedimenti propri, potevano reclutare il personale o conferire incarichi di lavoro autonomo solo attraverso un sistema se non del tutto coincidente quantomeno molto simile a quello in vigore per le Pubbliche Amministrazioni [6]. Il Consiglio di Stato con riferimento a tale disciplina aveva precisato che per l’assunzione del personale aveva valenza pregnante il rispetto dei principi di cui agli artt. 97 e 98 Cost. Pertanto, le società controllate da enti pubblici e che erogano servizi pubblici dovevano «impiegare selezioni imparziali, trasparenti, pubbliche, ancorate a sistemi oggettivi e predeterminati, a garanzia non solo di chi vi partecipa(va), ma anche dei terzi, destinatari dell’attività societaria. In sostanza anche per le società a partecipazione pubblica che erogano servizi di interesse generale si pone(va) l’esigenza di adottare procedure di assunzione idonee a selezionare secondo criteri di merito e di trasparenza i soggetti chiamati allo svolgimento dei compiti loro affidati» [7]. Parzialmente diversa, almeno sulla carta, la disciplina riservata alle “altre” società a partecipazione pubblica che, ai sensi del secondo comma del citato art. 18, avevano l’obbligo di adottare con propri provvedimenti «criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi, anche di derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità e imparzialità». Mancava, quindi, un rinvio esplicito all’art. 35 del d.lgs. 165/2001 [continua ..]
La disciplina sul reclutamento del personale nelle società a partecipazione pubblica è oggi contenuta all’art. 19 T.U. n. 175/2016. La norma prevede due blocchi di previsioni, i primi quattro commi dedicati alle procedure selettive vere e proprie e i commi da 5 a 7 riguardanti il contenimento degli oneri contrattuali e delle assunzioni. Infatti, è necessario chiarire in primo luogo che le società controllate da pubbliche amministrazioni oltre all’obbligo di adottare specifiche procedure di selezione sono soggette ai vincoli imposti dal socio pubblico. Se le società private possono decidere se e quanto assumere senza alcun vincolo di legge, le società a controllo pubblico devono garantire, tramite propri provvedimenti, il concreto perseguimento degli obiettivi «sul complesso delle spese di funzionamento, ivi comprese quelle per il personale, delle società controllate, anche attraverso il contenimento degli oneri contrattuali e delle assunzioni di personale», fissati dalle amministrazioni pubbliche socie. Sebbene l’art. 19 parli genericamente di “amministrazioni socie” deve ritenersi che il legislatore intenda riferirsi alle sole amministrazioni che detengono il controllo della società pubblica, in caso contrario la disposizione non avrebbe senso [11]. Parte della dottrina ha rilevato che la formulazione del comma 5 dell’art. 19, d.lgs. n. 175/2016 che fa riferimento a obiettivi quantitativi predeterminati dalla P.A. controllante in luogo degli atti di indirizzo previsti invece dall’art. 18, comma 2-bis, d.l. n. 112/2008 sembra attribuire alle pubbliche amministrazioni «un dovere/potere di ingerenza nella gestione societaria che, secondo il diritto societario comune, non potrebbe essere esercitato dal socio che si trovi nella stessa situazione» [12]. Tale orientamento non sembra però condivisibile. Ai sensi del comma 6 dell’art. 19 le società partecipate devono recepire gli obiettivi fissati dalla P.A. controllante attraverso propri provvedimenti. Ciò sembra garantire uno spazio di discrezionalità per la società controllata. Infatti, garantire «la realizzazione di un obiettivo sembra essere una formula elastica che impone un vincolo di risultato e non un’attuazione diretta e rigida dei provvedimenti dell’amministrazione socia» [13]. Ciò, [continua ..]
Il secondo comma dell’art. 19 T.U. in materia di società a partecipazione pubblica impone alle società controllate di stabilire, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale nel rispetto dei principi di trasparenza, pubblicità e imparzialità e dei principi di cui all’art. 35 del d.lgs. n. 165/2001. Nel caso in cui la società partecipata ometta l’adozione dei suddetti provvedimenti trova diretta applicazione il suddetto art. 35. Il legislatore ha scelto di prevedere un unico sistema di reclutamento senza più distinguere tra società totalmente partecipate che gestivano servizi pubblici locali e le altre società partecipate superando, quindi, i problemi interpretativi sorti durante la vigenza della precedente disciplina. La scelta è caduta sul modello più rigido di selezione (previsto dal primo comma dell’art. 18 della legge n. 133/2008) valido oggi per tutte le assunzioni nelle c.d. società pubbliche. A differenza della precedente disciplina viene affrancato dal rispetto di procedure selettive l’affidamento di incarichi di lavoro autonomo che, semmai, saranno vincolati al rispetto delle disposizioni contenute nel codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 50/2016). Il legislatore, confermando quanto già previsto nel 2008, ha scelto un modello di reclutamento che ricalca quello applicabile alle pubbliche amministrazioni controllanti. Anzi, per certi versi ancora più rigido perché non prevede eccezioni. La disposizione di cui all’art. 19, infatti, trova applicazione a tutte le categorie di lavoratori e per tutti i tipi di assunzione, anche a tempo determinato [15]. Il vincolo della procedura selettiva non si estende al contratto di somministrazione dal momento che non si tratta in questo caso di una assunzione diretta [16]. La previsione di un’unica procedura selettiva per qualsiasi tipologia di assunzione comporta che anche per il reclutamento del personale dirigenziale è necessario il ricorso a procedure di selezione rigorosamente impersonali: tale modalità determina la nascita di una forma di dirigenza apicale che agisce autonomamente e a prescindere da qualsiasi vincolo fiduciario nei confronti dell’organo di gestione [17]. Ciò, secondo parte della dottrina, sarebbe coerente con la ratio restrittiva [continua ..]
Una delle questioni teoriche più significative in materia di reclutamento è l’indagine sulla natura giuridica delle procedure selettive. Più precisamente è necessario stabilire se le stesse siano da qualificarsi come pubbliche e quindi attuative dei principi di cui all’art. 97 Cost. La Corte costituzionale [28], con riferimento alla disciplina di cui all’art. 18, comma 1, d.l. n. 112/2008, sostanzialmente ripresa dall’art. 19 T.U. sulle società partecipate, ha espressamente qualificato il suddetto art. 18 come norma interposta rispetto al parametro costituzionale di cui all’art. 97. Tale pronuncia ha portato la giurisprudenza a ritenere che «il solo mutamento della veste giuridica dell’ente non è sufficiente a giustificare la totale eliminazione dei vincoli pubblicistici ove la privatizzazione non assuma anche connotati sostanziali, tali da determinare l’uscita delle società derivate dalla sfera della finanza pubblica» [29]. Tuttavia, si deve tener conto che la nota pronuncia della Corte costituzionale del 2011 riguardava un caso in cui non si controverteva sull’applicazione della regola del concorso, ma sull’illegittimità dei meccanismi automatici di stabilizzazione disciplinati da una legge regionale in favore del personale di una precedente impresa o società affidataria dell’appalto, senza alcuna forma selettiva [30]. Il legislatore del 2016 non impone alle società partecipate l’adozione delle procedure selettive del settore pubblico, ma rinvia ai principi di trasparenza, imparzialità, pubblicità e a quelli previsti dall’art. 35 T.U. sul pubblico impiego, che però devono essere recepiti in provvedimenti, di natura privatistica, della stessa società controllata. Si tratta, quindi, di procedure selettive che delle regole sul reclutamento nel settore pubblico mutuano soltanto i principi al fine di rendere le stesse «idonee a contemperare esigenze di pubblicità e trasparenza che assicurino la scelta sulla base del merito, con quelle di economicità ed efficacia delle selezioni» [31]. Del resto anche quella parte della dottrina [32] che ritiene, in conformità ai principali orientamenti giurisprudenziali, che le procedure selettive di cui all’art. 19 rappresentino un’interposta applicazione dei [continua ..]
Uno dei problemi principali al centro del dibattito dottrinario e giurisprudenziale riguarda la convertibilità o meno dei contratti di lavoro flessibili illegittimi stipulati dalle società partecipate. Come è noto, infatti, mentre nel lavoro privato la sanzione prevista per i contratti non standard illegittimi è la conversione degli stessi in contratti a tempo indeterminato, nel pubblico impiego tale soluzione è espressamente esclusa dall’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001. Sotto la vigenza della vecchia disciplina si erano formati tre diversi orientamenti, soprattutto nella giurisprudenza di merito [39]. Secondo un primo orientamento la sanzione della conversione non poteva trovare applicazione alle società pubbliche perché le stesse sarebbero ascrivibili alla categoria degli enti pubblici [40]. Sulla base di questa premessa, quindi, avrebbe trovato diretta applicazione l’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001 [41]. Un altro indirizzo, invece, pur non negando la natura privatistica delle società partecipate riteneva comunque non applicabile l’istituto della conversione perché la società controllata sarebbe tenuta ad adeguare le proprie politiche di gestione del personale alle disposizioni vigenti per l’ente controllante. Quindi, l’applicazione dell’art. 35 del d.lgs. n. 165/2001 avrebbe portato di conseguenza all’applicazione, in questo caso in via analogica, anche dell’art. 36 [42]. Mentre i primi due orientamenti, sebbene attraverso percorsi argomentativi diversi, giungevano a conclusioni analoghe, il terzo invece arrivava a risultati opposti. Partendo da una interpretazione più formalista, parte della giurisprudenza di merito ha ritenuto che le norme sul reclutamento nelle società pubbliche si limitassero a estendere a queste ultime i criteri e le modalità per il reclutamento ma non la previsione di carattere eccezionale di cui all’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001 in materia di divieto di costituzione di rapporti a tempo indeterminato [43]. Secondo questa tesi, la conversione del rapporto non inerisce alle modalità di assunzione ma costituisce una «sanzione per la violazione delle disposizioni sulle assunzioni di personale pacificamente vigenti sia per le amministrazioni pubbliche, che per le aziende private» [44]. Il T.U. del 2016 pur prevedendo [continua ..]