Variazioni su Temi di Diritto del LavoroISSN 2499-4650
G. Giappichelli Editore

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Pubblica amministrazione e attività di impresa (di Stefania Pedrabissi. Ricercatore di diritto amministrativo nell’Università di Parma)


Le pubbliche amministrazioni ricorrono allo strumento dell’impresa pubblica e, pertanto, a quel modello di impresa il cui capitale o patrimonio è conferito in tutto o in parte dallo Stato o altro ente pubblico, per esercitare attività imprenditoriale finalizzata alla produzione di beni e servizi destinati alla vendita, ovvero per conseguire finalità extraeconomiche. Attualmente il modello tipico di impresa pubblica è costituito dalla società per azioni con capitale pubblico, aperta all’ingresso del capitale privato. L’«azionariato pubblico» è una figura organizzativa particolarmente diffusa nell’economia nazionale, seppur in assenza di un quadro legislativo organico e ordinato. Si tratta di realtà tra loro profondamente eterogenee, per genesi, caratteristiche economiche e fondamento giuridico. Di recente, le società a partecipazione pubblica sono state oggetto di un rinnovato interesse da parte del legislatore che ha rivisitato integralmente la disciplina, nel tentativo di operare una ricognizione organica e innovativa. Ciò che emerge con chiarezza dal nuovo corpus normativo è il tentativo di riportare l’azione dei soggetti pubblici entro binari precisi e ben determinati, attraverso un significativo ridimensionamento della loro autonomia negoziale. Il ruolo dello Stato nell’economia assume una differente veste, rispetto al passato. Lo scritto ricostruisce il percorso storico – giuridico che ha portato all’odierna nozione di impresa pubblica, soffermandosi sui principali modelli organizzativi presenti nel nostro diritto positivo e riconducibili al modello di azienda pubblica, ente pubblico economico e società a partecipazione pubblica, nel tentativo di fornire un quadro organico che tenga conto delle principali novità legislative.

Public administration and business activities

The Public administrations resort to the instrument of the public undertaking and, therefore, to that model of undertaking whose capital or assets is conferred wholly or in part by the State or other public body, in order to engage in entrepreneurial activity aimed at production of goods and services for sale, or to achieve non-economic purposes. Currently the typical model of public enterprise is constituted by the company for shares with Public capital, open to the entrance of the private capital. The ‘public shareholding ‘is an organizational figure particularly widespread in the national economy, albeit in the absence of an organic and orderly legislative framework. These are profoundly heterogeneous realities, for genesis, economic characteristics and legal basis. Recently, public-participation companies have been the subject of renewed interest on the part of the legislature which has fully revisited the discipline, in an attempt to operate a organic framework that takes into account the main legislative changes.

SOMMARIO:

Il punctum quaestionis - 1. L’impresa pubblica nel profilo diacronico - 2. L’intervento dello Stato nell’economia: da Stato «imprenditore» a Stato «regolatore» - 3. L’impresa pubblica tra l’autonomia privata della P.A. e il revirement legislativo - 3.1. La nozione di impresa pubblica nel Codice dei contratti pubblici - 3.2. La capacità di diritto privato della P.A. - 4. I modelli organizzativi dell’impresa pubblica: aziende autonome ed enti pubblici economici … - 5. Segue: ... le società a partecipazione pubblica - 6. Le società c.d. miste - 6.1. La nuova disciplina delle società c.d. miste - 7. Le società in house nella dimensione europea - 7.1. Le peculiarità del modello in house nel nostro ordinamento … - 7.2. Segue: ... e la nuova disciplina nazionale dell’in house providing - NOTE


Il punctum quaestionis

Sul piano delle notazioni di inquadramento generale, il modello della «società a partecipazione pubblica» [1] rientra tra le figure organizzative, previste dal nostro diritto positivo, per la gestione di imprese pubbliche, unitamente all’azienda autonoma e all’ente pubblico economico [2]. Consultando l’Enciclopedia giuridica alla voce «Partecipazioni pubbliche» si rinviene la seguente definizione: «La società con partecipazione pubblica è società di capitali di diritto comune, di cui lo Stato o altro ente pubblico detiene una partecipazione che può essere totalitaria (azionariato di Stato), di maggioranza o di minoranza (società mista). In tutti i casi l’impresa si presenta formalmente come un’impresa societaria privata e soggiace alla relativa disciplina in quanto i tratti pubblicistici si fermano a livello di enti di gestione, senza concernere le strutture operative attraverso le quali agiscono» [3]. Detto altrimenti, la partecipazione pubblica è una partecipazione di controllo in una società di diritto comune inserita nella sfera pubblica come uno degli strumenti utilizzabili per un tipo di sviluppo, denominato in dottrina «equilibrato», nel senso che è quello che il «politico» ritiene conveniente ed è diverso da quello che avrebbe luogo se sul mercato fossero presenti solo imprese mosse, come le imprese a partecipazione statale, dal profitto ma non assoggettabili a condizionamenti particolari come lo sono le imprese a partecipazione statale [4]. Il fenomeno della «partecipazione pubblica» consente allo Stato, o altro ente pubblico, di detenere una partecipazione che può essere totalitaria, di maggioranza o di minoranza in società di capitali di diritto comune [5]. Sotto il profilo formale le società partecipate, dallo Stato o da altri enti pubblici, sono soggetti privati sottoposti alla disciplina civilistica con riferimento sia ai rapporti esterni di impresa, sia ai rapporti di organizzazione interna. Precipitato logico di tale impostazione è l’applicazione, all’istituto in esame, della disciplina dettata dal Codice civile in materia di società e impresa e quella specifica relativa al tipo societario prescelto [6]. Si applicano, inoltre, le norme sul fallimento [7]. L’unica deroga, [continua ..]


1. L’impresa pubblica nel profilo diacronico

L’esercizio di attività di impresa da parte delle pubbliche amministrazioni nella forma di società per azioni non rappresenta né una novità assoluta né un fenomeno sporadico; in Italia la prima impresa pubblica è stata la Cassa Depositi e Prestiti istituita nel 1863 come grande banca del Ministero delle finanze in un contesto storico-economico improntato ai principi del liberismo e, pertanto, in assenza di meccanismi preordinati di intervento dello Stato nell’eco­nomia [29]. Nel periodo che va dalla fine dell’Ottocento sino ai primi anni Venti, al­l’inedita esperienza della Cassa Depositi e Presiti ha, poi, fatto seguito un importante momento di crescita delle forme di intervento pubbliche, seppur in un contesto ancora propriamente liberista. Sono gli anni dell’economia mista, dell’intervento diretto dello Stato gestore di imprese e produttore di beni e servizi, del progressivo abbandono dell’i­deologia minimale. L’evoluzione del successivo fenomeno della partecipazione azionaria è correlata al verificarsi di tre condizioni storico-economiche: l’affermarsi dello Stato imprenditore, in particolare a partire dagli anni Trenta del secolo scorso; la privatizzazione formale di enti pubblici, che ha preso avvio dagli anni Novanta del secolo scorso [30]; l’esternalizzazione di attività svolte da apparati am­ministrativi [31]. I primi due eventi sono l’espressione diretta di quel percorso evolutivo che ha condotto, prima, al passaggio dallo Stato «liberista» di fine Ottocento allo Stato «interventista» di inizio Novecento e, in conseguenza, dalla concezione minimalista dell’azione pubblica (ideologia liberista) allo Stato attore (ideologia socialista); poi allo Stato «regolatore». La scelta dell’intervento diretto dello Stato nell’economia è il risultato della necessaria convergenza tra l’assenza di una macchina statale di governo dell’economia di fine Ottocento e l’esigenza, sempre più impellente, avvertita dai primi del Novecento di garantire alla collettività beni e servizi non rinvenibili nel mercato. Con la prima industrializzazione aumentano in maniera esponenziale gli interventi diretti dello Stato nell’economia; le imprese pubbliche si sviluppano principalmente in due settori fondamentali della vita [continua ..]


2. L’intervento dello Stato nell’economia: da Stato «imprenditore» a Stato «regolatore»

 Nel nostro Paese, come nella gran parte degli Stati industriali dell’oc­ci­dente, l’inizio del secolo scorso ha coinciso con l’emersione, sempre più impellente, della necessità di garantire alla collettività quei servizi, propri di una politica sociale, non presenti né reperibili nel mercato. Lo Stato si ritaglia uno spazio rilevante dapprima in funzione di assistenza al settore industriale privato, fortemente indebolito dal primo conflitto mondiale e, successivamente, per soccorrere il sistema bancario ed industriale duramente colpito dalla crisi del 1929. Ma è solo nel 1933 – con la nascita dell’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale r.d.l. n. 5/1933) istituito come ente provvisorio di salvataggio delle imprese in crisi e di lì a poco trasformato in ente permanente – che lo Stato individua lo strumento per operare direttamente nell’economia decidendo di impiegare il patrimonio industriale proveniente dalla gestione della crisi per conseguire obiettivi politico economici [48].  L’intervento dell’IRI è, inizialmente, preordinato al risanamento del sistema economico italiano basato sul ruolo promiscuo delle principali banche dell’epoca [49] che, da un lato partecipavano alle più produttive imprese del settore industriale, e dall’altro finanziavano le stesse imprese. Per fronteggiare la crisi l’IRI diviene coattivamente proprietario delle Banche e dell’imprese controllate dalle stesse, trasformandosi in holding di controllo del sistema bancario e industriale italiano. A seguito dell’intervento nel sistema bancario, la funzione dell’IRI è rivalutata sino a divenire il modello sistematico per conseguire finalità istituzionali. Negli anni Cinquanta sorgono nuovi enti: l’ENI (Ente nazionale idrocarburi), ente pubblico per la gestione, in regime di esclusiva, della ricerca e delle coltivazioni di giacimenti di idrocarburi al nord. All’ENI sono affidate le partecipazioni azionarie statali nell’AGIP e il patrimonio dell’Ente nazionale metano. Segue, temporalmente, la costituzione dell’ENEL (Ente nazionale per l’e­nergia elettrica) e la nazionalizzazione dell’industria elettrica [50]. In quegli anni lo Stato interviene nell’economia ricorrendo ai due grandi enti pubblici, IRI ed ENEL, detentori [continua ..]


3. L’impresa pubblica tra l’autonomia privata della P.A. e il revirement legislativo

L’intervento dello Stato nell’economia può avvenire mediante il ricorso a strumenti tipici della finanza pubblica, si pensi ai tributi e agli incentivi, ovvero attraverso l’esercizio di impresa e la produzione di beni e servizi destinati alla vendita. Tralasciando la prima forma di intervento pubblico, nell’eco­no­mia generale dello scritto appare utile soffermarsi sul significato di impresa pubblica. L’impresa pubblica è l’impresa il cui capitale o patrimonio sia stato conferito in tutto o in parte dallo Stato o da altro ente pubblico. Più precisamente, dà luogo a impresa pubblica «l’attività svolta da un ente pubblico in regime di concorrenza, effettiva o potenziale, qualora sia rivolta al perseguimento di uno scopo di lucro e non costituisca diretta e immediata realizzazione di un fine pubblico [64]». L’impresa pubblica è riconducibile alla categoria delle aziende di produzione, venendo meno l’attributo di imprenditorialità quando essa si limita a erogare beni e servizi per il soddisfacimento diretto di finalità di natura pubblicistica. Come già ricordato, nel nostro Paese, pur in assenza di un principio legislativo fondante l’intervento dello Stato nella forma dell’impresa pubblica per ragioni di interesse pubblico [65], per lungo tempo le imprese sono state create da soggetti pubblici per far fronte a specifiche esigenze sociali, intervenendo in particolar modo nel settore dei servizi pubblici [66]. Il sistema delle imprese pubbliche nel tempo si è profondamente evoluto: da iniziali organi dotati di parziale autonomia si è passati alla forma organizzativa degli enti pubblici economici per poi divenire società di capitali c.d. in mano pubblica [67]. Ad oggi il modello tipico dell’impresa pubblica è la società per azioni con capitale pubblico, aperta anche all’ingresso del capitale privato [68]; formula organizzativa per il perseguimento di fini pubblici che, seppur molto diffusa, conserva molteplici aspetti irrisolti sotto il profilo dogmatico.


3.1. La nozione di impresa pubblica nel Codice dei contratti pubblici

Per lungo tempo il nostro ordinamento è risultato privo di un riferimento legislativo recante una definizione esaustiva di impresa pubblica e della disciplina ad essa ascrivibile. A tale lacuna legislativa ha posto parziale rimedio il Codice dei contratti pubblici, d.lgs. n. 50/2016 [69]che, recependo integralmente gli stimoli comunitari [70], all’art. 3, lett. t) definisce le imprese pubbliche nel seguente modo: «le imprese pubbliche sono le imprese su cui le amministrazioni aggiudicatrici possono esercitare, direttamente o indirettamente, un’in­fluenza dominante o perché ne sono proprietarie, o perché vi hanno una partecipazione finanziaria, in virtù delle norme che disciplinano le imprese. L’in­fluenza dominante è presunta quando le amministrazioni aggiudicatrici, direttamente o indirettamente, riguardo all’impresa, alternativamente o cumulativa­mente: a) detengono la maggioranza del capitale sottoscritto; b) controllano la maggioranza dei voti cui danno diritto le azioni emesse dall’impresa; c) hanno il diritto di nominare più della metà dei membri del consiglio di amministrazione, di direzione o di vigilanza dell’impresa». Emerge, dunque, come debbano considerarsi imprese pubbliche non solo quelle imprese che, sotto il profilo soggettivo, siano riconducibili alla responsabilità di un soggetto pubblico ma, altresì, tutte quelle imprese verso le quali le autorità possono esercitare direttamente o indirettamente un’influenza dominante. La definizione contenuta nel Codice dei contratti pubblici è la traduzione letterale dell’influenza del diritto europeo sul diritto nazionale; il settore delle società pubbliche rientra tra quegli ambiti in cui il diritto comunitario (prima) europeo (oggi) ha maggiormente imposto la sua presenza. Il legislatore delegato ha ben recepito gli impulsi sovranazionali allineandosi appieno agli atti normativi di diritto derivato. In senso finanziario, pertanto, lo Stato o altro ente pubblico deve partecipare alla gestione societaria e deve poter esercitare particolari poteri di controllo. D’altro canto l’impresa dovrebbe perseguire finalità di interesse pubblico ovvero finalità complementari alla tradizionale attività finanziaria [71]. La qualificazione di impresa sotto il profilo soggettivo, e in conseguenza la [continua ..]


3.2. La capacità di diritto privato della P.A.

Le imprese pubbliche, al pari di quelle private, svolgono attività economica finalizzata al conseguimento di profitti nell’ambito di un mercato aperto alle regole della libera concorrenza [73]. Impresa pubblica e impresa privata dispongono di un’organizzazione preposta alla produzione di beni e di servizi; lo svolgimento di una determinata attività produttiva o di servizi impone, pertanto, la verifica della corrispondenza tra costi e ricavi. Indipendentemente dalla specifica ragione che conduce lo Stato, o altro ente pubblico, a dar vita a una impresa pubblica, le imprese possono essere qualificate come tali solo in ragione dell’influenza pubblica dal controllo da parte dello Stato. L’ampio impiego del modello societario in questione mantiene vivace il dibattito in dottrina circa la sussistenza o meno di una capacità ascrivibile alle pubbliche amministrazioni di costituire, o partecipare, a società di capitali [74]. Il dibattito, mai sopito, ruota intorno all’interrogativo circa la necessarietà o meno che l’opzione organizzativa in forma societaria, esercitata dallo Stato o altro ente pubblico, avvenga solo in presenza di una norma che lo consenta ovvero se l’utilizzo sia ascrivibile alla più generale capacità di diritto privato della pubblica amministrazione [75]. Questione di certo non marginale, la cui soluzione necessita l’analisi di dati empirici. Nel nostro ordinamento sono, indubbiamente, rinvenibili numerose norme che contemplano espressamente la possibilità per le pubbliche amministrazioni di costituire o partecipare a società: basti pensare all’art. 4 del d.l. n. 138/2011 in materia di servizi pubblici locali ovvero all’obbligo di costituzione di una società a partecipazione pubblica sancito dall’art. 10, comma 13, della legge n. 537/1993 in materia di gestioni aeroportuali [76]. Occorre, pertanto, chiedersi se sia sempre necessaria una norma autorizzatoria che consenta il ricorso al modello societario o se, invece, ciò possa avvenire in virtù della generale capacità di diritto privato della pubblica amministrazione, ribadita anche dall’art. 1, comma 1-bis, legge n. 241/1990 [77]. Si fronteggiano, pertanto, da un lato la tesi dell’eccezionalità del modello societario, dall’altro quella della generale capacità di diritto privato [continua ..]


4. I modelli organizzativi dell’impresa pubblica: aziende autonome ed enti pubblici economici …

Nel nostro ordinamento, i primi modelli organizzativi per la gestione di imprese pubbliche, sono riconducibili alla figura dell’azienda autonoma e del­l’ente pubblico economico. L’istituto dell’azienda autonoma rappresenta il primo e dominante schema organizzativo delle imprese pubbliche [83]. Nel modello organizzativo dell’azienda autonoma l’attività è affidata alla responsabilità di un organo dello Stato o dell’ente locale. L’organo gestore dell’azienda può avere un certo grado di autonomia d’im­presa rispetto all’amministrazione in cui è incardinato, e allora si parla di a­zienda o amministrazione autonoma [84]. Si utilizza la locuzione «impresa-organo», proprio, per indicare il legame tra l’apparato statale e l’attività di impresa svolta. Tuttavia, il modello «azienda autonoma» risente della limitata possibilità di agire secondo regole dell’impresa e difetta di autonomia reale, posto che i poteri decisionali sono comunque devoluti al Ministro. Fattori che ne hanno determinato la crisi. Questa soluzione di impresa è stata impiegata ogniqualvolta fosse impraticabile conciliare l’attività economica con i modelli tipici dell’azione amministrativa. Uno degli esempi più duraturi di azienda autonoma è stata quella delle Ferrovie dello Stato, che ha conservato tale forma dal 1905 al 1985, data di trasformazione in ente pubblico. Negli anni Ottanta il legislatore, dopo un primo tentativo di risanamento dell’istituto [85], abbandona lo schema dell’azienda autonoma a favore della partecipazione societaria. A oggi si tratta di un modello recessivo che nel tempo ha subito molteplici trasformazioni strutturali, la gran parte di aziende autonome è stata trasformata in enti pubblici.  L’ente pubblico economico è il modello che segue, con riferimento al fattore temporale, l’esperienza (fallimentare) delle aziende autonome. La figura organizzativa in esame si differenzia dalla precedente poiché agisce con gli strumenti del diritto privato. Gli enti pubblici economici sono dotati di personalità giuridica, di un proprio patrimonio e di un proprio personale dipendente. Gli enti pubblici economici sono, pertanto, entità distinte dall’apparato burocratico della pubblica [continua ..]


5. Segue: ... le società a partecipazione pubblica

Sul piano delle ricostruzioni dogmatiche le società pubbliche si distinguono in società a totale partecipazione pubblica, le c.d. società in house [86], e in società a partecipazione mista pubblica-privata, le c.d. società miste, che rappresentano una forma di partenariato pubblico-privato [87]. L’espressione partenariato pubblico-privato indica forme di cooperazione tra poteri pubblici e soggetti privati con l’obiettivo di finanziare, costituire e gestire infrastrutture o fornire servizi di interesse pubblico [88]. Il partenariato pubblico-privato trova oggi una puntuale definizione, all’art. 3, lett. eee), d.lgs. n. 50/2016, che testualmente definisce: «il contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto con il quale una o più stazioni appaltanti conferiscono a uno o a più operatori economici per un periodo determinato in funzione della durata dell’ammortamento o delle modalità di finanziamento fissate, un complesso di attività consistenti nella realizzazione, trasformazione, manutenzione e gestione operativa di un’opera in cambio della sua disponibilità, o del suo sfruttamento economico, o della fornitura di un servizio connesso al­l’utilizzo dell’opera stessa, con assunzione di rischio secondo le modalità individuate nel contratto, da parte dell’operatore». Il d.lgs. n. 50/2016, sotto l’egida dei criteri contenuti nella legge delega n. 22/2016 [89], all’art. 180 disciplina l’istituto del partenariato pubblico-privato delineando una tipologia contrattuale aperta, nella quale confluiscono figure contrattuali e modelli societari stipulabili tra soggetti pubblici e soggetti privati; una sinergia tra poteri pubblici e privati che ha lo scopo di finanziare, costruire e gestire infrastrutture o fornire servizi di interesse pubblico. In particolare, per i progetti complessi e innovativi la cooperazione tra pub­blico e privato consente all’amministrazione di reperire le risorse necessarie e acquisire soluzioni innovative. Si distinguono due tipologie di partenariato; la prima è quella contrattuale, in cui l’amministrazione e i privati regolano i loro impegni unicamente su base convenzionale. La seconda è il partenariato istituzionalizzato, in cui la cooperazione avviene attraverso un soggetto giuridico distinto, in genere una società di [continua ..]


6. Le società c.d. miste

Per società miste si intendono quei modelli societari al cui capitale concorrono sia soggetti pubblici che privati. A seconda dell’entità della partecipazione pubblica, si distingue tra società a partecipazione pubblica maggioritaria o di minoranza [101]. È riscontrabile, a far data dagli anni Novanta del secolo scorso, una decisiva tendenza nazionale a implementare la costituzione di società c.d. miste finalizzate al coinvolgimento di altri soggetti, pubblici e privati, per il finanziamento di servizi pubblici e la gestione imprenditoriale mediante società per azioni. Negli anni, nel nostro ordinamento (ma anche in Spagna e Francia) si sono moltiplicate – talvolta in maniera contraddittoria – le differenti soluzioni di gestione di società a partecipazione pubblica. Le motivazioni che hanno spinto gli enti pubblici ad adoperare il modello societario in questione sono molteplici: talvolta l’impiego di strumenti privatistici è legato alla necessità contingente di far fonte al reperimento di nuove risorse a fronte dei vincoli stringenti imposti dalla finanza pubblica. In altri casi l’utilizzo del modello societario pare dipendere proprio dall’intenzione degli enti locali di «aggirare» i limiti di spesa previsti da leggi statali [102]; in altri casi ancora, la costituzione di una società mista deriva dalla trasformazione di società pubbliche a seguito di parziale privatizzazione. Indubbiamente, il modello di società c.d. mista consente di limitare gli svantaggi dipendenti dalla gestione privata e da quella pubblica e di conseguire la realizzazione di public utilities di lungo periodo. Lo strumento della società mista da un lato, rispetto alla gestione privatistica, garantisce una rinegoziazione delle clausole contrattuali più agevole (e affidata all’organo di gestione); dall’altro la presenza di un socio privato, rispetto a una gestione esclusivamente pubblicistica, assicura nuovi investimenti e valide conoscenze specialistiche [103]. In ogni caso la scelta organizzativa, afferente al perseguimento dell’inte­resse pubblico, di costituire – e in conseguenza mantenere – una società di capitali rientra tra gli atti di «scelta organizzativa discrezionale» che si esercita mediante un atto di natura pubblicistica [104]. Gli enti [continua ..]


6.1. La nuova disciplina delle società c.d. miste

Com’è noto il 23 settembre 2016 è entrato in vigore il d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175 (come modificato nel 2017) che ha operato un significativo riordino in materia di società a partecipazione pubblica. Il legislatore al fine di «assicurare la chiarezza della disciplina, la semplificazione normativa e la tutela per la promozione della concorrenza» (criteri di delega) ha messo mano alla disciplina delle società c.d. miste. La novità legislativa più significativa è ravvisabile nell’art. 17, comma 1, T.U, che testualmente prevede: «Nelle società a partecipazione mista pubblico-privata, la quota di partecipazione del soggetto privato non può essere inferiore al trenta per cento e la selezione del medesimo si svolge con procedure di evidenza pubblica (…)». Il legislatore fissa la quota del trenta per cento come limite minimo per la partecipazione del privato, quindi con possibilità di diverse soluzioni anche con partecipazione pubblica minoritaria. La ratio della disposizione va ravvisata nell’intento di evitare potenziali effetti distorsivi della concorrenza e la violazione del principio di parità degli operatori connessi all’operare delle società a partecipazione pubblica. L’obiettivo di porre rimedio al fenomeno di scorretta gestione delle società partecipate è, altresì, ben evidente laddove si consideri l’ulteriore passaggio esplicitato dall’art. 17, comma 2, che pare voler disciplinare la necessaria natura industriale (e non meramente finanziaria) del socio privato. Il socio privato deve «possedere i requisiti di qualificazione previsti da norme legali o regolamentari in relazione alla prestazione per cui la società è stata costituita» e il bando per la sua selezione deve indicare «necessari requisiti di qualificazione generali e speciali di carattere tecnico ed economico-finanziario». La scelta del socio deve avvenire mediante procedura di selezione pubblica nelle modalità descritte dall’art. 5, comma 9, del d.lgs. n. 50/2016, e che «ha .a oggetto, al contempo, la sottoscrizione o l’acquisto della partecipazione societaria da parte del socio privato e l’affidamento al contratto di appalto o di concessione oggetto esclusivo dell’attività della società mista». Si [continua ..]


7. Le società in house nella dimensione europea

Il termine in house providing compare per la prima volta nel Libro Bianco sugli appalti pubblici del 1998 [118], quale espressione impiegata dalla Commissione europea per indicare quegli appalti aggiudicati all’interno della pubblica amministrazione, ad esempio «tra amministrazione centrale e locale o, ancora, tra un’amministrazione e una società interamente controllata». Appare da subito come il velato riferimento della Commissione agli appalti in house descriva un modello di affidamento del servizio in assenza di terzietà del soggetto aggiudicatario rispetto all’amministrazione aggiudicatrice. In altri termini, la ricorrenza di una delega interorganica tra due pubbliche amministrazioni oppure tra una pubblica amministrazione e un modulo societario pubblico consente di affidare il servizio in deroga ai principi generali dell’evidenza pubblica [119]. Successivamente l’istituto è stato meglio delineato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che in numerose pronunce ne qualifica i tratti essenziali [120]. I giudici della Corte Lussemburghese cercano, con il maggior rigore possibile, di delimitare i casi in cui sia possibile eludere l’applicazione delle norme europee in materia di concorrenza. Per lungo tempo il modello dell’in house providing ha stigmatizzato l’ec­cezionalità societaria. Oggi, questa tipologia speciale di società è stata definitivamente positivizzata dalle direttive 23 e 24/2014/UE in materia di appalti pubblici e concessioni [121]. Le direttive del 2014 confermano la legittimità del modello in house, considerandolo uno strumento alternativo alla procedura ad evidenza pubblica. Le pubbliche amministrazioni ricorrono al modello societario in house quando, al fine di acquisire una public utilities, si rivolgono ad una persona giuridica che, seppur formalmente provvista di autonoma personalità giuridica, risulti essere assoggettata a tali penetranti controlli e ingerenza da parte dei soggetti pubblici da far considerare la società in house alla stregua di un organismo strumentale e servente ai fini della amministrazione committente, proprietaria e controllante [122]. Il modello in house providing si configura legittimamente solo in presenza di precisi requisiti (si veda il Considerando n. [continua ..]


7.1. Le peculiarità del modello in house nel nostro ordinamento …

La locuzione «in house providing» è impiegata per indicare quelle ipotesi nelle quali la pubblica amministrazione decide di ricorrere all’autoproduzione di beni, servizi e lavori, anziché rivolgersi al mercato rispettando procedure di evidenza pubblica (c.d. esternalizzazione,contracting out o out sourcing) [132]. Negli affidamenti in house non vi è, pertanto, l’attribuzione di compiti o servizi a soggetti operatori economici privati, ne consegue che le regole sulla concorrenza, applicabili agli appalti pubblici e agli affidamenti dei pubblici servizi a terzi, non vengono applicate. L’affidamento in house costituisce un’eccezione al «tradizionale» affidamento mediante procedura ad evidenza pubblica. Procedura, quest’ultima imposta ai soggetti pubblici al fine di rispettare i principi di trasparenza e di imparzialità presenti, in primis nella Carta costituzionale, e in molte altre disposizioni normative. La scelta dell’ente locale, o di altro ente pubblico, di ricorrere ad un modello organizzativo che consenta di «provvedere da sé» al perseguimento di scopi pubblici muove entro binari ben delimitati. Per le ragioni che conosciamo il modello dell’in house providing presuppone la sussistenza di tre requisiti, di elaborazione giurisprudenziale comunitaria. A siffatta ricostruzione non è, però, estranea la giurisprudenza nazionale che ha molto contribuito a definire il modello qui in esame. In particolare, i giudici amministrativi si sono concentrati su due requisiti: quello del «controllo analogo» ossia il grado di ingerenza, controllo e direzione esercitato dagli enti pubblici sulle società in house; e quello della «strumentalità» della società in house rispetto agli enti pubblici. Quanto al primo requisito, dall’elaborazione giurisprudenziale nazionale emerge, che per essere effettivo, deve assicurare a tutti gli enti locali un’effet­tiva possibilità di prendere parte alle decisioni strategiche della società, così da poterne indirizzare le politiche di intervento [133]. Con riferimento al presupposto della «strumentalità», in termini di attività prevalente svolta dalla società in house a favore della pubblica [continua ..]


7.2. Segue: ... e la nuova disciplina nazionale dell’in house providing

Il d.lgs. n. 50/2016 [135], meglio noto come Codice dei contratti pubblici, e il d.lgs. n. 175/2016 T.U. sulle società a partecipazione pubblica, hanno contribuito a fare maggiore chiarezza in ordine alla disciplina applicabile alle società in house. Il T.U. in materia di società partecipate, innovando in parte quanto già contenuto nel d.lgs. n. 50/2016, stabilisce i requisiti in presenza dei quali una società in house possa essere considerata tale. L’art. 16, d.lgs. n. 175/2016, confermando la previsione già contenuta nel d.lgs. n. 50/2016, stabilisce che gli statuti delle società in housedebbano prevedere che oltre l’80% del loro fatturato sia effettuato nello svolgimento di compiti a esse affidati dall’ente pubblico dagli enti pubblici soci. Il T.U. in materia di società partecipate precisa, a modifica di quanto già previsto dall’art. 5 del Codice dei contratti, che la produzione ulteriore rispetto al suddetto limite di fatturato sia consentita solo a condizione che la stessa permetta di conseguire economie o altri recuperi di efficienza sul complesso dell’atti­vità principale della società. La nuova disciplina conferma che la pubblica amministrazione debba esercitare verso la società in house il controllo analogo, anche congiunto e conferma, altresì, la regola secondo cui le società in house sono tenute all’ac­qui­sto di lavori, beni e servizi secondo la disciplina prevista dal d.lgs. n. 50/2016. Costituisce, invece, una parziale novità l’eccezione che consente l’ingresso di capitali privati nel modello in house, in attuazione della normativa unionista [136]. Ai sensi dell’art. 16, d.lgs. n. 175/2016 le società in house possono essere destinatarie di affidamenti diretti da parte delle amministrazioni partecipanti solo se non vi è partecipazione di capitali privati «ad eccezione di quella prescritta da norme di legge e che avvenga in forme che non comportino controllo o potere di veto, né l’esercizio di un’influenza determinante sulla società controllata». La previsione di ingresso di capitali privati nelle società in house, già presente nel Codice dei contratti, subordinata alla presenza di una previsione normativa che espressamente ne imponga [continua ..]


NOTE