Il contributo analizza la disciplina del lavoro professionale esercitato in forma autonoma, in considerazione dell’entrata in vigore della l. n. 81/2017, meglio nota come Jobs Act degli autonomi.
Dopo aver individuato la normativa preesistente sulla quale la novella è intervenuta, se ne è indagato il campo di applicazione con il particolare intento di definirne l’applicabilità oltre che al lavoro professionale esercitato individualmente anche al lavoro professionale esercitato in forma associata e sociale, tenendo in considerazione le novità introdotte dalla l. n. 124/2017 in materia di società professionali.
L’analisi si è rivolta prevalentemente alle norme che in maniera diretta o mediata abbiano apportato o tentato di apportare modifiche alla disciplina del lavoro libero-professionale, ponendo in evidenza l’inefficacia di alcune disposizioni dovuta anche alla mancata attuazione delle deleghe ivi contenute.
The study analyzes the discipline of professional work exercised autonomously, in consideration of the entry into force of the Law 81/2017, better known as Jobs Act of self-employed.
After having identified the pre-existing legislation on which the news has intervened, the field of application has been investigated with the particular intent to define its applicability as well as to professional work exercised individually also to professional work exercised in an associate and social form, taking into considering the changes introduced by the 124/2017 law on professional companies.
The analysis focused mainly on the direct or mediated rules that have made or attempted to make changes to the discipline of free-professional work, highlighting the ineffectiveness of some provisions, also due to the failure to implement the delegations contained therein.
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1. Introduzione - 2. Disciplina del lavoro autonomo e professionale su cui interviene il Jobs Act degli autonomi - 3. Ambito di applicazione del Jobs Act degli autonomi - 3.1. Segue: l'applicabilitą al lavoro professionale in forma associata e societaria - 4. Le novitą introdotte dal Jobs Act degli autonomi - 4.1. Le norme indirizzate ai professionisti intellettuali: deleghe sulle professioni organizzate - 4.2. Tutela giusprivatistica-diritto dei contratti commerciali - 4.3. Disposizioni fiscali - 4.4. Tutela nel mercato del lavoro - NOTE
Il presente contributo si propone il fine di analizzare l’attuale disciplina dell’attività professionale esercitata nella forma di lavoro autonomo, in considerazione dell’entrata in vigore della l. 22 maggio 2017, n. 81 dai più appellata “Jobs Act degli autonomi” [1]. Il diritto del lavoro, nato principalmente per il bisogno di proteggere il lavoratore subordinato dalla sostanziale disuguaglianza dei contraenti nel rapporto di lavoro, si è sviluppato lasciando qualche vuoto normativo con riferimento alla tutela del lavoratore autonomo [2], sempre considerato dall’ordinamento quale parte economicamente – ma anche socialmente – forte del contratto d’opera e dunque non bisognoso di particolari tutele, invece riservate al committente. Non può certo negarsi che la tutela riservata al lavoratore subordinato sia di consistenza diversa, e per taluni aspetti superiore, rispetto a quanto previsto per il lavoratore autonomo [3]. In un contesto economico fondato prevalentemente sull’industria e sul prestatore di lavoro subordinato quale collaboratore dell’impresa, non era stringente la necessità di fornire tutele specifiche al lavoratore autonomo. Tuttavia, con l’affermarsi di nuovi sistemi di produzione e nel mutato assetto del mercato del lavoro, l’ampia diffusione [4] e differenziazione del lavoro autonomo ne ha fatto emergere tutte le criticità derivanti dall’insufficiente regolamentazione [5]. Con la l. n. 81/2017 sembra si sia finalmente introdotto, per la prima volta nel nostro Paese, un positivo riconoscimento normativo alle istanze provenienti dal mondo del lavoro autonomo [6], mediante un complesso di disposizioni, da alcuni [7] perfino chiamato “Statuto del lavoro autonomo” [8]. Anche a non volerne riconoscere la natura di “Statuto”, poiché trattasi in effetti di una serie di interventi che necessitano di implementazione, va in ogni caso ammesso che la l. n. 81/2017 costituisce un quadro regolatorio idoneo a ricondurre ad equilibrio il sistema, riconoscendo pari dignità al lavoro autonomo e subordinato. Benché strutturato in soli 17 articoli, il capo I, dedicato al lavoro autonomo, nella sua snellezza sembra disciplinarne tutti gli aspetti peculiari. E così tratta della disciplina delle transazioni commerciali e del [continua ..]
Ogni intento di analisi delle novità normative non può prescindere da una sintetica considerazione del quadro giuridico preesistente. Una prima riflessione va fatta con riguardo all’opportunità di considerare le professioni come “attività di lavoro personale” o come “iniziativa economica privata” e, dunque ricondurne la disciplina alle previsioni di cui all’art. 4 piuttosto che all’art. 41 Cost.; sempre che si vogliano ritenere le due previsioni alternative. L’esercizio dell’attività professionale in forma autonoma trova senza dubbio fonte nell’art. 4 Cost. che, adottando una definizione piuttosto ampia di lavoro inteso quale «attività o funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società», è diretto alla tutela di tutte le «espressioni della vita umana activa» [10]. Viceversa, con riferimento all’art. 41 Cost. [11], si è assistito ad un confronto dottrinale fondato su opposte visioni del concetto di “iniziativa economica privata”. Parte dalla dottrina riteneva dovesse ricomprendersi in tal concetto qualunque attività tesa al vantaggio economico, nella quale rientrano quindi, senza dubbio, anche le professioni intellettuali [12]; altra parte invece [13] escludeva in radice l’applicazione dell’art. 41 alle libere professioni intellettuali senza, peraltro, circoscriverla all’impresa in senso stretto. La Corte costituzionale si è allineata a questo secondo orientamento, rilevando che detta disposizione ben difficilmente si presta ad essere adottata a parametro della legittimità costituzionale di norme disciplinanti l’attività dei professionisti intellettuali che risulta essere differenziata da quella imprenditoriale [14]. Tuttavia, una tale osservazione venne fatta tenendo a mente un ordinamento vigente ben diverso da quello attuale. La visione tradizionale delle professioni intellettuali è ormai superata. Basti considerare che anche la professione intellettuale può essere esercitata in forma societaria [15] e che la legislazione speciale, soprattutto di derivazione europea, tende ad assimilare il professionista all’imprenditore [16]. E, allora, se la conformazione dell’attività professionale tende ad approssimarsi [continua ..]
Prima di entrare nel dettaglio delle novità introdotte con la l. n. 81/2017 è opportuno svolgere qualche riflessione in merito al suo campo di applicazione. Secondo l’art. 1 le disposizioni del capo I si applicano «ai rapporti di lavoro autonomo di cui al titolo III del libro V del codice civile, ivi inclusi i rapporti di lavoro autonomo che hanno una disciplina particolare ai sensi dell’art. 2222 del codice civile». Il comma 2 precisa che «sono esclusi dall’ambito di applicazione del presente capo gli imprenditori, ivi compresi i piccoli imprenditori di cui all’art. 2083 del codice civile» [33]. Il richiamo al titolo III del libro V del codice civile vuole ricondurre sotto disposizioni comuni tutti (o quasi) i lavoratori non subordinati: non solo i prestatori d’opera ex art. 2222 c.c., ma anche i professionisti intellettuali ex art. 2229 c.c. e tutte le altre figure di lavoro autonomo dotate di una disciplina speciale [34]. Dunque la norma ha carattere generale, con la sola esclusione esplicita degli imprenditori, grandi o piccoli che siano [35]. In concreto, tuttavia, l’effettivo ambito di applicazione della disciplina in esame sembra essere molto più contenuto: dipende in grande misura dall’interpretazione che si scelga di dare alla nozione di imprenditore e in particolare a quella di piccolo imprenditore [36]. Vale la pena premettere che l’applicazione della norma non può ritenersi esclusa sul solo presupposto della definizione di impresa offerta del diritto comunitario, che abbraccia qualsiasi entità che eserciti attività economica, a prescindere dal suo status giuridico e delle sue modalità di finanziamento [37]. Una tale interpretazione, valevole nella disciplina concorrenziale di derivazione comunitaria, non può trovare generica applicazione nel diritto interno [38]. Se così fosse dovrebbero ritenersi superate tutte le disposizioni codicistiche e di legislazione speciale che individuano una differenziata disciplina per il lavoro imprenditoriale ed il lavoro autonomo e professionale, finendo per imporre all’imbianchino o al medico la stessa disciplina dell’imprenditore commerciale [39]. Fatta questa precisazione, deve ora chiarirsi il concetto di piccolo imprenditore. Distinguere il lavoratore autonomo dal piccolo [continua ..]
Si è detto che la l. n. 81/2017 si applica, ai sensi del suo primo articolo, ad ogni forma di lavoro autonomo ad eccezione del lavoro autonomo imprenditoriale. Dunque, la norma trova, senza dubbio alcuno, precisa applicazione con riferimento alle professioni intellettuali di cui all’art. 2229 c.c. Tuttavia, in concreto, anche l’esercizio della professione intellettuale potrebbe assumere le caratteristiche proprie del lavoro imprenditoriale. Invero, già l’art. 2238 c.c. prevede che nel caso in cui l’esercizio della professione costituisca elemento di un’attività organizzata in forma d’impresa, debbano applicarsi anche le norme codicistiche di cui al Titolo II del libro V, dedicate al lavoro nell’impresa. Benché non sia sempre agevole comprendere quando l’attività imprenditoriale possa ritenersi assorbente dell’attività professionale, può in ogni caso farsi riferimento al dettato della Corte di legittimità che, in varie pronunce in materia tributaria, ha chiarito che è necessario che il professionista eserciti la professione nell’ambito di un’attività organizzata in forma di impresa mediante «una distinta ed assorbente attività che si differenzia da quella professionale». È necessario, quindi, che l’apporto del professionista involga una prevalente azione di organizzazione che oltrepassi la prestazione di opera intellettuale, la quale ultima diviene componente non essenziale del processo operativo [43]. Vista la dichiarata incompatibilità tra la disciplina del lavoro imprenditoriale ed il Jobs Act degli autonomi, esplicitata nell’art. 1 della l. n. 81/2017, quest’ultima non potrà trovare applicazione ogniqualvolta il professionista possa considerarsi assoggettato anche alla disciplina dell’impresa risultando, dunque, ulteriormente ristretto il campo di applicazione della novella in parola. Ulteriori ed importanti considerazioni in merito al campo di applicazione vanno fatte con riferimento all’esercizio dell’attività professionale in forma associata o sociale. Noto è che nel nostro ordinamento già con la l. 23 novembre 1939, n. 1815 si consentiva alle persone munite dei necessari titoli di abilitazione, l’esercizio in forma associata delle professioni o delle altre attività per cui [continua ..]
Ai lavoratori così individuati, la l. n. 81/2017 assicura una serie di tutele confezionate sulle peculiarità del “moderno” lavoratore autonomo, ben diverso dal prestatore d’opera del 1942 e sovente minacciato dalla forza contrattuale della committenza e dalle politiche di mercato. Alcune di queste tutele hanno natura “privatistica-commerciale”, altre natura welfaristica ed altre ancora si occupano di sostenere il lavoratore autonomo nel mercato del lavoro. Per la maggior parte rivolte al lavoratore autonomo tout court – secondo la definizione datane dall’art. 1 – in alcuni casi sono espressamente riservate ai professionisti organizzati in ordini e collegi e in altri casi dirette ai solo iscritti alla Gestione Separata Inps.
Sebbene ciascuna della disposizione contenute nel capo I del Jobs Act possa trovare applicazione per i professionisti (quantomeno con riferimento ad alcune vicende particolari), appare congruo iniziare la trattazione da quelle che il legislatore ha esplicitamente riservato a detta categoria di lavoratori. Si tratta delle deleghe al Governo contenute negli artt. 5, 6 e 11. Il legislatore, consapevole della complessità della materia, su cui continua ad incidere la regolamentazione propria di ciascuna categoria professionale ordinistica, ha ritenuto opportuno rimette al Governo l’adozione di una disciplina di dettaglio [50], mediante l’adozione di uno o più decreti legislativi da adottarsi entro dodici mesi/un anno dal 14 giugno 2017, data di entrata in vigore della l. n. 81/2017. Tuttavia, il suddetto termine è trascorso senza che alcun decreto attuativo sia stato adottato e neppure nel d.l. 25 luglio 2018, n. 91, cosiddetto “Milleproroghe 2018” è stato previsto alcunché a riguardo. Non è dato sapere se il legislatore interverrà per riattivare le deleghe ma, per la rilevanza dei contenuti, si ritiene opportuno darne comunque conto. In primo luogo, al dichiarato fine di semplificare l’attività delle pubbliche amministrazioni e di ridurre i tempi di produzione, con l’art. 5, il legislatore delegava il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi in materia di remissione di atti pubblici alle professioni organizzate in ordini e collegi [51]. La norma, che si inquadra nel processo di privatizzazione e liberalizzazione di alcune funzioni pubbliche, se attuata, avrebbe avuto un duplice effetto positivo: da un lato, in ossequio al principio di sussidiarietà di cui all’art. 118 Cost. avrebbe reso i cittadini-professionisti partecipi dell’attività pubblica, così snellendo e semplificando l’attività amministrativa che spesso è causa di dilazione ed inconvenienti nell’attività produttiva; d’altro avrebbe creato nuove opportunità di lavoro per i professionisti, riservando loro un ruolo di supplenza della pubblica amministrazione. Pure esplicitamente riservato ai professionisti iscritti in ordini e collegi è l’art. 6, comma 1, mentre la restante disposizione è riservata i lavoratori autonomi iscritti alla Gestione Separata Inps [52]. Per [continua ..]
Sin qui si è detto delle disposizioni destinare direttamente ai professionisti, ora è il momento di trattare delle altre disposizioni che rivolgendosi indistintamente ai lavoratori autonomi, coinvolgono anche i professionisti. L’art. 2 opera l’estensione delle disposizioni di cui al d.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, relativo alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, anche alle transazioni commerciali di cui siano parte i lavoratori autonomi [56]. A dire il vero, la norma non ha carattere innovativo per i professionisti i quali, ai sensi della definizione di imprenditore di cui all’art. 2 del d.lgs. 231/2002, sono già soggetti alla disciplina delle transazioni commerciali [57]. Viceversa, è per alcuni aspetti innovativo l’art. 3 che, allo scopo di tutelare il lavoratore autonomo, individua al primo comma tre tipi di clausole abusive: quelle che attribuiscono al committente la facoltà di modificare unilateralmente le condizioni del contratto, quelle che nell’ambito di un contratto con prestazione continuativa consentono al committente di esercitare il diritto di recesso senza congruo preavviso e quelle con cui le parti concordano termini di pagamento superiori a 60 giorni (dalla data di ricevimento, da parte del committente, della fattura o della richiesta di pagamento); mentre al comma 2 etichetta come condotta abusiva il rifiuto del committente di stipulare il contratto in forma scritta. Tuttavia, debbono farsi alcune considerazioni. Innanzitutto, a guardare alla prima tipologia di clausole abusive ivi indicate, cioè a quelle relativa allo ius variandi del committente, salta all’occhio l’eccessiva genericità della formula utilizzata. Considerare abusiva ogni e qualunque pattuizione contrattuale che riconosca al committente il potere di variare, senza il consenso dell’altra parte, una o più condizioni del contratto potrebbe risultare eccessivo. E così alcuni [58] suggeriscono una revisione della norma in chiave più selettiva: classificando come abusive solo quelle clausole che nell’attribuire lo ius variandi al committente possano creare delle condizioni di effettivo svantaggio per il professionista. In ogni caso, lodevole è l’impegno legislativo nel voler apprestare piena tutela al professionista coinvolto nel c.d. terzo contratto [59] ed [continua ..]
Il Jobs Act degli autonomi interviene, seppur marginalmente, anche in materia fiscale e lo fa per mezzo degli artt. 8 e 9 con cui novella l’art. 54, comma 5, del Testo Unico delle imposte sui redditi di cui al d.p.r. n. 917/1986. La prima novità apportata mediante l’art. 8 riguarda la deducibilità delle spese relative a prestazioni alberghiere e di somministrazione di alimenti e bevande. Queste, in generale deducibili nella misura del 75 per cento e, in ogni caso, per un importo complessivamente non superiore al 2 per cento dell’ammontare dei compensi percepiti nel periodo di imposta, se sostenute dall’esercente un’arte o una professione per l’esecuzione di un incarico e se addebitate analiticamente in capo al committente sono ad oggi deducibili per l’intero. La condizione che esclude l’applicazione dei limiti di deducibilità risiede nel fatto che siano state analiticamente addebitate al committente, cioè fatturate come parte del compenso; in caso contrario, continueranno a trovare applicazione i limiti di cui al primo periodo dell’art. 54, comma 5, prescritti al fine di evitare condotte abusive. La seconda novità riguarda, invece, le spese relative all’esecuzione di un incarico conferito e sostenute direttamente dal committente che – sempre per la novella introdotta dall’art. 8, comma 1 – non costituiscono più compensi in natura per il professionista. Già l’art. 10 del d.lgs. 21 novembre 2014, n. 175 e poi l’art. 7-quater, comma 5, del d.l. 22 ottobre 2016, n. 196, convertito in l. 1° dicembre 2016, n. 225, modificando ed integrando il citato art. 54, comma 5, T.U. delle imposte sui redditi, disponevano, per le prestazioni alberghiere e di somministrazione di alimenti e bevande – il primo – e per le spese di trasporto – il secondo – acquisite direttamente del committente, che non dovessero costituire compensi in natura per il professionista. Ad oggi, tale regime viene definitivamente consolidato ed esteso a «tutte le spese relative all’esecuzione di un incarico e addebitate analiticamente in capo al committente», senza distinzione di sorta. Ciò consente di superare, risolutivamente, il precedente regime che fino al 2014 imponeva l’adozione di un farraginoso meccanismo di accollo delle spese [64]. Si è detto delle modifiche apportate [continua ..]
Con la l. n. 81/2017 il legislatore, conscio delle mutate prospettive socio-economiche, dimostra di avere cura oltre che della formazione anche della collocabilità dei lavoratori autonomi. Lo fa con la deducibilità delle spese per la formazione e la certificazione di competenze, secondo il già esaminato art. 9 e lo fa mediante la previsione di nuovi “servizi per l’impiego per il lavoratore autonomo” [70], ovvero mediante la previsione di nuove opportunità di impiego. Se, per quanto sino ad ora esaminato, il Jobs Act degli autonomi ha avuto una funzione, in certi casi, meramente riorganizzativa del sistema (l’esempio è quello della sicurezza negli studi professionali) o di esplicitazione normativa di principi già ampiamente applicati dalla giurisprudenza (l’esempio è quello del principio di divieto di abuso di posizione dominante), l’art. 10 ha invece portata realmente innovativa. Per la prima volta, il legislatore predispone anche per il lavoratore autonomo una gamma di servizi di politica attiva per il lavoro. Il primo comma dell’articolo in parola dispone che i centri per l’impiego e gli organismi autorizzati alle attività di intermediazione in materia di lavoro ai sensi della disciplina vigente debbano dotarsi, in ogni sede aperta al pubblico, di uno sportello dedicato al lavoro autonomo. Il riferimento è, oltre che ai centri per l’impiego di competenza regionale, sia alle agenzie per il lavoro autorizzate a svolgere attività di intermediazione ai sensi degli artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 276/2003, sia ai soggetti pubblici e privati abilitati ad operare nel mercato del lavoro ai sensi dell’art. 6 del medesimo d.lgs. n. 276/2003 [71]. Al fine di rendere effettiva l’operatività degli sportelli, la norma prevede che gli stessi possano costituirsi anche mediante la stipulazione di convenzioni (non onerose) con ordini e collegi professionali, con le associazioni delle professioni non organizzate [72], o con le associazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale dei lavoratori autonomi iscritti e non ad albi professionali. L’elenco delle convenzioni dovrà poi essere pubblicato dall’ANPAL nel proprio sito internet. Gli sportelli così costituiti dovranno essere in grado di erogare quantomeno i servizi espressamente elencati nel terzo comma [continua ..]