Il saggio analizza l’istituto della risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro del dipendente pubblico prima del raggiungimento dell’età pensionabile, disciplinato dall’art. 72, comma 11, della l. n. 133/2008. L’A. ricostruisce la tormentata evoluzione legislativa della norma in un arco temporale quasi decennale e si sofferma su un profilo particolarmente controverso in sede applicativa, ossia l’obbligo di motivazione dell’atto di risoluzione, oggetto di recenti pronunce della Corte di Cassazione.
The "forced" retirement of the public employee between instability of the rules and application uncertainty: some answer from the recent jurisprudence of legitimacy The essay analyzes the unilateral resolution of employment relationship of the public employee before reaching retirement age, disciplined from article 72, comma 11, law no. 133 of 2008. The A. reconstructs the tormented legislative evolution of the norm in a nearly ten-year time span and focuses on a particularly controversial application profile, that is, the obligation to state the reasons for the resolution, object to recent judgments of the Court of Cassation.
1. Il “lungo” e “tormentato” cammino dell’art. 72, comma 11, l. n. 133/2008
Tra le misure dirette alla stabilizzazione della finanza pubblica, nell’ambito del progetto di razionalizzazione e riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, da realizzare attraverso interventi di riduzione degli organici e operazioni di “svecchiamento” del personale per favorire il ricambio generazionale, il legislatore, nel 2008, ha introdotto una specifica «causale legale di risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro» [1] alla quale si può ricorrere «prima e a prescindere dal raggiungimento dell’età pensionabile» [2] dei dipendenti pubblici. Ci si riferisce all’inedito istituto del pensionamento “forzato” del personale che abbia maturato l’anzianità contributiva richiesta per l’accesso al trattamento pensionistico, disciplinato dall’art. 72, comma 11, d.l. n. 112/2008, conv. in l. n. 133/2008, la cui applicazione è stata tutt’altro che pacifica, com’è testimoniato dalla pluralità di contenziosi instaurati da dipendenti (anche con qualifica dirigenziale) di enti pubblici collocati forzatamente in quiescenza in attuazione della norma citata.
In effetti, oltre alle perplessità sollevate, sin da subito, in relazione all’adeguatezza di questa misura previdenziale (alla luce della Direttiva 78/2000/CE) rispetto alle finalità fissate dal legislatore al momento della sua introduzione, ossia il contenimento della spesa pubblica e il ricambio generazionale (infra), le modalità di esercizio di tale «potere di recesso (...) extra ordinem» [3] attribuito al datore di lavoro pubblico, sono risultate particolarmente controverse, soprattutto a causa delle continue operazioni di restyling della norma intervenute nel corso degli anni. Risulta, quindi, imprescindibile procedere, in via preliminare, ad una ricognizione del quadro normativo, attraverso la ricostruzione della tormentata evoluzione legislativa della norma in un arco temporale quasi decennale, ai fini di un corretto inquadramento sistematico dell’istituto.
Giova, innanzitutto, ricordare che la misura in esame si inseriva nell’ambito di un disegno regolativo più ampio riguardante i c.d. pensionandi pubblici. Infatti, la l. n. 133/2008 (art. 72) prevedeva anche due altre tipologie di interventi, attivabili a richiesta del dipendente, ossia l’esonero dal servizio nel corso del quinquennio antecedente la data di maturazione dell’anzianità massima contributiva di 40 anni (commi 1-6) e il trattenimento in servizio per un biennio oltre i limiti di età per il collocamento a riposo, in presenza di determinati parametri soggettivi ed oggettivi (commi 7-10) [4].
Dunque, tre [continua..]