Il contributo ha ad oggetto gli strumenti con cui i datori di lavoro manifestano lo spontaneo adempimento degli obblighi di diritto del lavoro; quelli con cui sono incentivati ad adempiervi; quelli con cui sono indotti a garantire prestazioni ulteriori rispetto a quelle prescritte da norme inderogabili.
La proliferazione di tali istituti denota, non solo la pluralità e la comunicazione tra gli ordinamenti giuridici, o comunque la relazione biunivoca tra l’ordinamento statuale e l’autonomia negoziale, ma anche il passaggio da un approccio meramente repressivo dell’inadempimento a uno anche persuasivo e incentivante, che si sostanzia nell’integrazione tra strumenti di hard e di soft law. Il quadro attuale appare tuttavia disorganico, il che dipende dalla stessa natura, volontaria e non coercibile, delle soluzioni adottate.
L’ordinamento statuale tenta di rimediare al conseguente disorientamento dei portatori di interesse nei confronti degli imprenditori attraverso la selezione delle migliori prassi e l’obbligo di comunicazione trasparente delle informazioni pure non finanziarie. Inoltre, tende a valorizzare le esperienze volontarie non meramente unilaterali, ma sottoposte a un controllo sociale.
Le scelte regolative delle pubbliche istituzioni, a tal proposito, non sono tuttavia esenti dal limite del corretto bilanciamento tra diritti sociali e di libera concorrenza.
This essay concerns the tools with which employers express the labor law obligations’ spontaneous fulfillment; those with which they are incentivized to fulfill them; those with which are induced to guarantee additional services compared to those prescribed by mandatory norms.
The proliferation of those principles denotes, aside from the plurality and communication between the legal systems, or in any case the bi-univocal relationship between the state system and the negotiation’s autonomy, but also the transition from a merely repressive approach to the fulfillment to a system that is persuasive and incentive, which is based on the integration between hard and soft law instruments. However, the current framework appears to be disorganized, which depends on the same voluntary and non-coercible nature of the solutions adopted.
The state system tries to remedy the stakeholders’ consequent disorientation through the selection of best practices and the obligation of transparent communication of pure non-financial information. Furthermore, it tends to incentivate voluntary experiences that are not merely unilateral, but subject to social control.
In this regard, the regulatory choices of the public institutions are not exempt from the limit of the correct balance between social rights and free competition.
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1. Repressione, dissuasione e persuasione nell'adempimento datoriale agli obblighi di diritto del lavoro - 2. Il rapporto tra la responsabilità sociale dell'impresa e gli strumenti pubblicistici incentivanti - 3. L'integrazione tra la dimensione volontaria degli adempimenti giuslavoristici e quella precettiva - 4. L'osmosi tra la dimensione internazionale della promozione della legalità e quella domestica in materia di lavoro - NOTE
Indagini istituzionali e riflessioni della dottrina, anche recenti, hanno evidenziato il persistere di luoghi ad alto tasso di ineffettività del diritto del lavoro. Si pensi, sul piano internazionale, alla tutela degli stessi diritti fondamentali, particolarmente in Paesi in via di sviluppo, anche nell’ambito di filiere di produzione facenti capo a imprese multinazionali operanti in Paesi economicamente progrediti [1]. Si tratta di violazioni in senso tecnico quando commesse nell’ambito di ordinamenti di Stati che, quantomeno, abbiano ratificato strumenti di diritto internazionale [2]. In mancanza, essendo controversa la soggettività giuridica internazionale delle imprese [3], le condotte degli operatori economici non potranno che riprovarsi sotto profili diversi da quelli di diritto positivo, e correggersi, in carenza di misure sanzionatorie, attraverso approcci altri da quelli, più familiari, di tipo repressivo. Sul piano interno, si pensi agli ampi strati, tuttora, di lavoro sommerso o irregolare e alla intermediazione illecita di manodopera. Gli inadempimenti sono sì presidiati da apparati sanzionatori articolati, anche severi, ma non sempre idonei a contenere i fenomeni di illegalità in misura soddisfacente [4]. Le ragioni dell’ineffettività variano in relazione ai piani considerati. L’inadempimento di obblighi relativi alla protezione di diritti fondamentali del lavoro può dipendere dall’inerzia delle autorità pubbliche locali, dovuta vuoi a fenomeni corruttivi, vuoi al timore di disincentivare gli investimenti nel territorio, vuoi ancora alla arretratezza dei sistemi di sorveglianza. Per non dire delle difficoltà di accesso alla giustizia ordinaria da parte dei danneggiati [5]. L’inadempimento, invece, di obblighi riferibili a situazioni giuridiche soggettive tipicamente di diritto interno può correlarsi – a ben vedere, oltre alle motivazioni dette – a una strutturale inidoneità dei servizi ispettivi e della funzione giurisdizionale ordinaria a governare e giudicare in modo tempestivo ed efficace realtà sociali complesse, specie in periodi di risorse pubbliche limitate [6]. Ne sono sintomo, da un lato, i nuovi strumenti coercitivi in mano agli ispettori pubblici, che consentono e incentivano la regolarizzazione [7]; dall’altro, la tendenza alla flessibilizzazione dei poteri [continua ..]
La consapevolezza di una quota rilevante di diritto del lavoro ineffettivo, ma anche il riconoscimento del valore positivo della regolazione dei corpi intermedi per il governo della complessità sociale, spiegano anzitutto le numerose e diversificate iniziative spontanee, con cui i datori di lavoro manifestano la volontà di uniformare la propria condotta a principi di legalità e di tutela dei soggetti deboli e dell’ambiente, e che di regola sono riconducibili all’autonomia negoziale entro i vincoli eteronomi [29]. Ma, nella misura in cui possano concorrere a una più efficace ed effettiva regolazione di interessi generali, esse giustificano pure l’attenzione che le istituzioni pubbliche riservano al tema c.d. della responsabilità sociale d’impresa (RSI) offrendone definizioni, monitorandone le prassi, selezionandone alcune meritevoli di evidenza o misure incentivanti [30]. A tal proposito, se è vero che l’impresa può avere un privato interesse a intraprendere simili iniziative, vuoi per convinzioni assiologiche [31], vuoi per favorire la propria legittimazione sociale anche in chiave economica [32], vi è pure l’interesse pubblico, da un lato, alla comunicazione trasparente, non ingannevole e verificabile [33]; dall’altro, a favorire condotte ritenute socialmente responsabili incentivando l’adozione, pur sempre volontaria, degli strumenti a ciò necessari, superando la remora del costo iniziale della RSI [34], potenzialmente dissuasivo particolarmente per le piccole e medie imprese [35]. Il raccordo tra l’autonomia e l’intervento eteronomo tuttavia non è privo di vincoli precettivi di diritto costituzionale o sovranazionale. Per vero, ciò non costituisce una novità per i cultori del diritto del lavoro, attenti ai nessi tra l’ordinamento statuale e quello intersindacale, con particolare riguardo alle scelte regolative del primo circa la selezione non solo dei soggetti collettivi cui imputare peculiari prerogative, ma anche dei prodotti dell’autonomia negoziale al fine della garanzia di trattamenti economici e normativi ritenuti adeguati per il contraente debole. Come noto, le soluzioni del legislatore devono salvaguardare, insieme, la libertà sindacale ex art. 39, comma 1, Cost., che potrebbe essere significativamente condizionata, seppure non [continua ..]
Sin qui si è trattato, indifferentemente, di strumenti volontari adottati dagli imprenditori per manifestare lo spontaneo adempimento degli obblighi di diritto del lavoro e di strumenti, sempre volontari, di RSI. E ciò al fine, in particolare, di considerare i nessi tra l’autonomia privata e l’intervento eteronomo incentivante e i limiti di questo. Occorre tuttavia qualche precisazione distintiva tra ciò che può considerarsi precettivo per diretta imposizione di una norma esterna al soggetto vincolato e ciò che, al più, lo è per un titolo costituito dalla stessa manifestazione di volontà del datore di lavoro. Solo nella prima ipotesi, a rigore, può infatti parlarsi di strumenti volontari di adempimento della norma; mentre, nella seconda, è la stessa autoposizione di una norma a far scaturire un impegno eventualmente vincolante sul piano giuridico. Nella accezione fatta propria dai documenti istituzionali dell’Unione europea, la RSI implica non solo l’osservanza degli obblighi – giuslavoristici, per quanto qui di interesse – derivanti dalla legge e dai contratti collettivi, ma l’impegno – a prescindere dalla sua giustiziabilità nelle sedi ordinarie – a garantire trattamenti ulteriori, derogativi in melius rispetto a quelli esigiti dalle norme di tutela dei prestatori di opere [61]. In quest’ottica, il diritto del lavoro è presupposto dalla RSI, che dovrebbe invece apprezzarsi per la potenzialità integrativa, suppletiva o anticipatrice delle garanzie poste dal hard law [62]. In questa funzione complementare [63], la RSI non potrebbe dunque considerarsi pericolosamente alternativa, o concorrente al ribasso, del diritto del lavoro [64], ma anzi un ausilio alla promozione di una economia sociale di mercato e di uno sviluppo sostenibile. Questa definizione di responsabilità sociale non è tuttavia l’unica: dagli stessi documenti europei ne emerge una, metodologica, per la quale la RSI costituisce l’integrazione, in negativo, di preoccupazioni socio-ambientali nella conduzione dell’attività d’impresa [65] o, in positivo, il contributo delle imprese per una maggiore equità sociale [66]. Questo metodo, a prescindere dagli standard di trattamento considerati [67], si estrinseca particolarmente [continua ..]
Il problema dell’ineffettività del diritto del lavoro è ovviamente proporzionale alla diffusione e alla qualità delle violazioni. È pertanto massimo quando si tratta di gross violations, di infrazioni cioè alle norme contenenti diritti fondamentali del lavoro [106]. Sul piano etico e fattuale, va da sé che la gravità delle condotte imprenditoriali contrastanti con gli standard del decent work [107] non è diminuita dalla mancata ratifica di convenzioni internazionali o dalla mancata applicazione – per i motivi più svariati – del diritto internazionale da parte degli Stati [108]. Altresì, non v’è dubbio che la questione si ponga soprattutto per i Paesi in via di sviluppo. Infatti, il divario dei livelli delle tutele è alla base del dumping sociale e delle conseguenti delocalizzazioni opportunistiche [109], ciò che ha avviato il dibattito sulle tecniche di controllo delle c.d. global value chains [110]. Di qui la distinzione tra le dimensioni rispettivamente “interna” ed “esterna” della RSI, di cui agli stessi documenti istituzionali dell’Ue [111], essendo diverse le priorità delle prassi volontarie in materia sociale a seconda del contesto ordinamentale (ma v., infra, sulla possibile integrazione delle due dimensioni). La difficoltà di attuazione e sanzione del diritto internazionale del lavoro, almeno in alcune aree del pianeta, è all’origine dell’utilizzo del soft law anche nei confronti degli Stati: si pensi al sistema delle preferenze generalizzate, inclusivo della previsione di clausole sociali come condizione dei rapporti commerciali tra Unione europea e Stati terzi [112]; alla stessa apertura dell’Organizzazione mondiale del commercio all’utilizzo di clausole non products related negli accordi tra Stati [113]; al nuovo approccio dialogico dell’Oil nei confronti dei Paesi membri [114]. Ma se nei confronti degli Stati il soft law costituisce una scelta strategica, con riguardo agli imprenditori multinazionali rappresenta una via necessitata, comunque non priva di effetti pratici. Gli atti internazionali rivolti ad essi, non a caso, configurano al più raccomandazioni o esortazioni [115], ma anche l’esplicita adesione volontaria dei [continua ..]