Il saggio analizza i limiti del diritto di sciopero, soffermandosi in particolare sui limiti interni e sulla critica alla tecnica definitoria ed alla teoria del danno ingiusto. Segue inoltre la disamina della giurisprudenza della Corte Suprema e dei giudici di merito sull’argomento, dandosi conto dell’evoluzione delle decisioni prima e dopo la famosa sentenza Cass. n. 711/1980 e della progressiva affermazione di un indirizzo che, pur dichiarando legittimi gli scioperi articolati, finisce per configurare in capo al datore un diritto di serrata non contemplato dal nostro ordinamento.
The inner limits to the right of strike. The rethinking of the case-law The essay analyzes the limits of the strike’s right, focusing in particular on its inner limits and on the censure about the defining technique and the unfair damage theory. It follows moreover the examination of both the Supreme Court’s case law and the merits’judges’one about the question, giving account of the judgements’evolution before and after the famous sentence Cass. n. 711/1980 and of the progressive achievement of a trend that, even though declaring lawful the staggered strike or the on-off one, ends by shaping upon the employer a right of lock-out which is not allowed by our legal system.
1. Il diritto di sciopero ed i suoi limiti
L’autotutela degli interessi collettivi costituisce uno degli aspetti più importanti – se non il più importante – dell’attività delle associazioni sindacali, e pur potendosi concretizzare in una varietà di comportamenti anche molto differenti tra loro, essa ha sempre il fine di esercitare una pressione sulla controparte per costringerla ad accogliere le richieste della coalizione sindacale [1].
Il nostro ordinamento ha, nei confronti dello sciopero, che rappresenta la massima espressione dell’attività di autotutela ed in definitiva del conflitto, optato per la posizione di garanzia, inserendolo come diritto all’interno della Carta costituzionale all’art. 40, anche se l’estrema laconicità della formula “il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano” ha dato non pochi grattacapi interpretativi, sia riguardo alla qualificazione del diritto di sciopero, sia all’individuazione dei suoi limiti.
Quanto al primo punto, dopo posizioni altalenanti [2], la dottrina oggi maggioritaria configura il diritto di sciopero come “diritto individuale ad esercizio collettivo” [3], anche se, sull’argomento, non manca chi, seppur minoritario, assegna la titolarità del diritto in questione non al singolo lavoratore, bensì al soggetto sindacale [4].
Quanto al secondo punto, posta sin da subito la precettività del dettato costituzionale, anche in mancanza delle leggi attuative, si è immediatamente capito come la fissazione dei limiti allo sciopero, vista la latitanza del legislatore, sarebbe stata a carico soprattutto della giurisprudenza [5]. E tali limiti sono stati infatti individuati sia dal punto di vista esterno, ossia come restrizioni che si trovano al di fuori della fattispecie del diritto di sciopero, sia dal punto di vista interno od intrinseco, ossia come connaturati alla stessa struttura del diritto.
La prima tipologia è stata così cristallizzata nell’esistenza di norme di rango costituzionale che tutelano diritti posti su un piano prioritario o quantomeno paritario allo sciopero. Detto in altri termini il diritto di sciopero, pur essendo un diritto di rango primario in quanto consacrato nella Carta fondamentale, deve cedere sicuramente il passo di fronte ai diritti assoluti della persona (es. vita, salute) e comunque trovare un contemperamento con quegli altri diritti primari riconosciuti – a loro volta – dalla Costituzione (es. la libertà di iniziativa economica) [6]. Tale principio, fissato in numerose sentenze della Corte Costituzionale [7], è stato poi trasfuso nella prima legge di disciplina del diritto di sciopero, ossia la l. 12 giugno 1990 n. 146 [8] che riguarda le astensioni collettive nell’ambito dei servizi [continua..]