Il contributo esamina l’attuale assetto regolativo ed applicativo della disciplina dei licenziamenti collettivi), per evidenziare le novità che, direttamente o indirettamente, tali riforme hanno prodotto sulla disciplina e gestione delle eccedenze definitive di personale ed i possibili riflessi sugli orientamenti interpretativi ed applicativi. Tale disamina evidenzia, secondo l’autore, in primo luogo che le recenti evoluzioni normative e giurisprudenziali ampliano l’ambito applicativo dei licenziamenti collettivi. Per altro verso, si assiste ad una forte riduzione delle tutele nel regime sanzionatorio. Sarebbe pertanto opportuno privilegiare soluzioni interpretative tali da bilanciare le innegabili riduzioni di tutele.
The essay examines the actual framework of collective dismissals discipline, to underline the novelties that the reforms have produced and the reflexes on the interpretative and application orientations. Such examination underlines, according to the author, that recent evolutions widen the area of application of the collective dismissals. For other verse, a strong reduction of the legal protection and normative guardianships sanctions. It would be therefore opportune to privilege such interpretative solutions to balance the undeniable reductions of guardianships.
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1. I licenziamenti collettivi nel nuovo diritto del lavoro (e della previdenza sociale) - 2. Ambito di applicazione e presupposti applicativi delle procedure di licenziamento collettivo - 3. Il profilo causale nel licenziamento collettivo alla luce delle recenti riforme - 4. Profilo causale e regime sanzionatorio - 5. Note conclusive - NOTE
Nel presente contributo ci si propone una verifica dell’assetto regolativo, interpretativo ed applicativo della disciplina dei licenziamenti collettivi, alla luce delle radicali riforme apportate tra il 2012 ed il 2015 dai governi Monti (prima) e Renzi (poi), per evidenziare le novità che, direttamente o indirettamente, tali riforme hanno prodotto sulla disciplina e gestione delle eccedenze definitive di personale ed i possibili riflessi sugli orientamenti interpretativi ed applicativi, con particolare riferimento alla questione della (ir)rilevanza del profilo causale; lasciando agli altri contributi di questo volume l’esame specifico dei diversi snodi della fattispecie normativa (procedure, criteri di scelta, etc.). In questo senso, evidentemente, la prima riforma che viene in considerazione è certamente quella dei licenziamenti (l. n. 92/2012, art. 1, commi 44-46; d.lgs. n. 23/2015), che come noto ha copernicamente rivoluzionato il quadro delle tutele contro i licenziamenti ingiustificati o comunque illegittimi: riforma che ha avuto ad epicentro il licenziamento individuale (“oggettivo” e “soggettivo”); ma che regola, sebbene marginalmente e “frettolosamente” [1], anche i licenziamenti collettivi. Prima, però, è opportuno accennare ad un’altra importante riforma di carattere generale, quella degli “ammortizzatori sociali” e dei trattamenti di disoccupazione, che per diversi profili si intreccia con quella dei licenziamenti collettivi, trattandosi in entrambi i casi di strumenti di gestione, previdenziale e non, delle “eccedenze di personale” e delle loro conseguenze. Il riferimento è, da un lato, alla riforma della Cassa integrazione Guadagni (per quanto qui interessa in particolare di quella straordinaria: d.lgs. n. 148/2015) dall’altro lato a quella della NASpI (d.lgs. n. 80/2015) [2]. Per quanto qui interessa, tali riforme hanno prodotto: a) Una riduzione delle ipotesi di intervento dei trattamenti Cigs: ciò sia a seguito della soppressione degli interventi della Cigs nelle procedure concorsuali – art. 3, l. n. 223/1991), sia della sostanziale soppressione delle ipotesi di interventi Cigs c.d. “in deroga”; b) Una riduzione del sostegno economico per i lavoratori “esuberati” a seguito di licenziamenti collettivi, a seguito della sostituzione della NASpI alla indennità di [continua ..]
Nel quadro siffatto, dal quale dunque risulta, anche a non voler tener conto del contesto socio-economico, un probabile aumento dei casi di ricorso alle procedure di licenziamento collettivo, occorre dunque andare a verificare l’attuale assetto della relativa disciplina, quale risulta dalle citate riforme dei licenziamenti, e dagli orientamenti interpretativi ed applicativi determinatisi di conseguenza a queste ultime; anche tenendo conto dei recenti orientamenti della giurisprudenza europea. In premessa, conviene evidenziare il denominatore comune tra licenziamenti collettivi e licenziamenti individuali “oggettivi”, che si rinviene nelle ragioni, in senso lato “economiche”, che in tali fattispecie risultano sottese al recesso (ai recessi) e dunque ne costituiscono la “giustificazione”. Come noto la direttiva europea individua, sul piano “qualitativo”, la sua area applicativa (dunque quella del licenziamento collettivo) in «ogni licenziamento effettuato per uno o più motivi non inerenti alla persona del lavoratore», cui coniuga il dato quantitativo (che siano cioè raggiunte specifiche soglie percentuali/numero di lavoratori in base anche alle dimensioni dell’azienda, con alcune specifiche esclusioni (lavoratori a termine, ecc.). Sul punto va ricordato che l’ambito applicativo è stato ampliato in sede di modifica della originaria direttiva, con inclusione anche delle ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro, formalmente non inquadrabili come licenziamenti (ad es. dimissioni o pensionamenti) ma che risultino causalmente connesse alla stessa vicenda aziendale, a condizione che i licenziamenti “veri e propri” siano almeno cinque (superando cosi l’orientamento della Corte Giust. 12 febbraio 1985, C-284/83) [6]. Si tratta, dunque, di una nozione estremamente ampia, che sostanzialmente include qualsiasi ragione riconducibile, direttamente ed indirettamente, alla organizzazione e gestione economico-produttiva dell’impresa e tale da escludere, pertanto, solo le cause invece riferibili alla persona del lavoratore, sia (come diremmo noi) in senso “soggettivo”, con riferimento cioè ai profili di inadempimento contrattuale, sia in senso “oggettivo” (ossia riferibili alla persona ma non connessi al suo corretto adempimento: ad es. impossibilità/inidoneità al lavoro). La latitudine e [continua ..]
Proprio su tale ultima complessa questione conviene ragionare dopo le importanti modifiche apportate dalle riforme dei licenziamenti Fornero (l. n. 92/2012) e Renzi (d.lgs. n. 23/2015). È noto che, nella disciplina del 1991, la sottovalutazione del profilo causale viene fatta discendere quasi ontologicamente dalla stessa impostazione “partecipativa” della normativa europea, trasposta nella l. n. 223/1991. La tutela dei diritti dei lavoratori, nella ratio della normativa europea, come in quella italiana, risiede, infatti, nella “procedimentalizzazione” dei poteri dell’imprenditore, «essenzialmente volta a garantire che nel formarsi di certe decisioni si tenga conto degli interessi antagonistici sui quali va ad incidere l’esercizio del potere» [20]. Pertanto, la considerazione degli interessi dei singoli lavoratori ed il contemperamento di questi ultimi con l’interesse dell’imprenditore-datore di lavoro restano affidati alla capacità dei rappresentanti dei lavoratori, titolari dei diritti di partecipazione (informazione/consultazione), di intervenire in modo sostanziale nel processo/percorso decisionale imprenditoriale, “alterando” il nesso consequenziale tra la decisione organizzativa (la riduzione di personale) ed il provvedimento di gestione del rapporto di lavoro (licenziamento), in modo da attenuarne le conseguenze negative per i lavoratori, mediante l’adozione condivisa di soluzioni alternative [21]. Nella sostanza, ed in estrema sintesi, si affida al confronto con le rappresentanze dei lavoratori l’esame della situazione aziendale che determina l’eccedenza di personale e la verifica della possibilità di rinvenire/elaborare rimedi totali o parziali alla eccedenza. In quest’ottica, dunque, il diritto dei singoli lavoratori è “recessivo”/cedevole rispetto al diritto del soggetto collettivo sindacale: «emerge dal tenore letterale e dall’impianto sistematico della direttiva 98/1959 che il diritto all’informazione e consultazione da esso previsto è destinato ai rappresentanti dei lavoratori, e non ai lavoratori considerati individualmente» e «occorre pertanto constatare che il diritto all’informazione e alla consultazione previsto dalla direttiva 98/1959, segnatamente al suo art. 2, è concepito a favore dei lavoratori intesi come [continua ..]
Da ultimo, dunque, e rinviando per un esame più approfondito del sistema sanzionatorio allo specifico contributo in questa rivista, conviene verificare i possibili effetti della auspicata rivalutazione del profilo causale sul regime delle sanzioni, a valle delle riforme Fornero e Renzi. Nella prima fase della riforma (l. n. 92/2012) [34], il legislatore ha ridotto per quest’ultima area l’incidenza della tutela reale, ma lo ha fatto con modalità tali da lasciare adito a significative perplessità. In primo luogo, e per quanto qui interessa, sul piano delle patologie dell’atto di recesso, se non residuano dubbi sul fatto che la mancanza di forma scritta, come nel caso del licenziamento individuale, dia luogo ad un’ipotesi di inefficacia/nullità dell’atto (e dunque all’applicazione dell’art. 18, comma 1, St. lav), nel caso invece di vizi procedurali che, si badi bene, sono vizi relativi alla mancanza o più spesso carenza delle comunicazioni, il legislatore, senza qualificare la patologia dell’atto, equipara la fattispecie a quella di cui al quinto comma art. 18, e dunque ad ipotesi in cui il giudice accerta un vizio “causale” («[...]accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro[...]»), ossia un vizio sostanziale; laddove, invece, la fattispecie integrerebbe sostanzialmente gli estremi del sesto comma dell’art. 18 (inefficacia per violazione del requisito della comunicazione o delle procedure [...]), relative ad un vizio, per l’appunto, procedurale. Sul piano invece del regime sanzionatorio, a parte le incongruenze conseguenti a quanto appena rilevato (nel caso dei licenziamenti collettivi, rispetto a quelli individuali, viene applicata cioè una sanzione diversa per fattispecie sostanzialmente equivalenti), la previsione della mera tutela risarcitoria nel caso della violazioni delle procedure (comunicazioni), produce un’inevitabile incoerenza anche rispetto all’ipotesi in cui lo stesso vizio venga fatto valere, in quanto condotta antisindacale, non dal singolo lavoratore ma dal soggetto collettivo, con ricorso ai sensi art. 28 St. lav. [35]. Infine, nel caso di violazione dei criteri di scelta, resta la tutela reale (sebbene “attenuata”), scelta comprensibilmente giustificata, sul piano della ratio legislativa, [continua ..]
Con riferimento ai limitati profili considerati in questa sede, si è evidenziato come le recenti evoluzioni normative e giurisprudenziali paiono ampliare, più meno indirettamente, l’ambito applicativo di licenziamenti collettivi; ciò sul piano sia dei presupposti giuridici (nozione) che su quello dei presupposti aziendali e delle (minori) possibili alternative (anche in considerazione del contingente contesto economico-finanziario). A tale potenziale “aggravamento” delle condizioni dei lavoratori (in eccedenza), corrisponde un ulteriore indiscutibile riduzione delle tutele “ex post”, sul versante del regime sanzionatorio, a valle delle riforme del 2012 e 2015. Ciò considerato, vanno attentamente ponderate, a mio parere, quelle possibili interpretazioni, in questo contributo evidenziate con riferimento ad alcuni profili delle procedure ed al rilievo dei motivi (cause delle eccedenze/licenziamenti), che in qualche modo possono ridurre l’impatto delle predette riduzioni di tutele anche in termini di opportuno bilanciamento tra interessi collettivi (sindacali) ed interessi individuali (dei singoli lavoratori).