L’articolo offre un’analisi di sistema del rapporto tra lavoro autonomo, legge e contrattazione collettiva nell’ordinamento giuridico italiano. L’analisi muove dalla presa d’atto di un avvicinamento delle situazioni giuridiche dell’autonomia e della subordinazione: aumentano gli spazi di autonomia nella subordinazione; emergono forme di subordinazione nell’autonomia. Da qui l’importanza di recuperare una riflessione sul ruolo del contratto collettivo e della rappresentanza degli interessi nella prospettiva di riconfigurare i confini dell’autonomia e della subordinazione secondo le astratte qualificazioni codicistiche. L’analisi si arricchisce di una ricognizione sistematica degli attuali interventi della contrattazione collettiva nell’area del lavoro autonomo, cui segue una riflessione sui limiti dell’attuale sistema di contrattazione collettiva nel rappresentare e ricomporre i molteplici interessi che connotano gli attuali assetti del mercato del lavoro. Limiti in larga parte riconducibili alla crisi più generale del diritto del lavoro italiano, articolato attorno alla dicotomia secca tra autonomia e subordinazione e sbilanciato sulla tutela della persona nel rapporto anziché nel mercato e nella società nel suo complesso. Nella direzione di una moderna rete di tutele rivolta al lavoratore come soggetto, subordinato o autonomo che sia, si suggerisce l’importanza di riconsiderare il ruolo che la bilateralità può svolgere, in ottica di capability, nel costruire i presupposti per rendere effettivamente libera la persona di esprimere a pieno la propria professionalità, da intendersi quale equivalente funzionale del pieno sviluppo della persona umana e quale chiave di accesso all’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
The article analyses the relationship between the law and collective bargaining on self-employment in Italy. The analysis begins with acknowledging that the categories of employment and self-employment tend to overlap: within traditional, salaried jobs, workers’ autonomy increases; within the area of self-employment, workers’ autonomy reduces. This necessitates the rethinking of the role of collective bargaining and representation of interests towards a system where the boundaries between autonomy and subordination as legal categories are redefined. The analysis focuses on contents and limits of existing collective agreements on self-employment. These limits are linked to the overall crisis of the traditional idea of labour law, articulated around the dichotomy between autonomy and subordination with an unbalanced focus on the workers’ position in the employment relationship rather than in the labour market and in the society at large. In tune with a modern idea of protection that looks at the worker as a subject, whatever it is salaried or self-employed, the article stresses the importance to consider the role that bilateralism can play in terms of capability, to make people free to express their professionality, regarded as a functional equivalent of a full human development and as a key to access the effective participation of all workers to the country’s political, economic and social organisation.
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Introduzione - 2. Rappresentanza degli interessi e contrattazione collettiva oltre il binomio autonomia-subordinazione - 3. Segue: contratto collettivo, lavoro autonomo e normativa antitrust: cenni - 4. Lavoro autonomo e contrattazione collettiva nella prassi - 4.1. Gli accordi economici collettivi - 4.2. Convenzioni a valenza sindacale per la disciplina di attività libero professionale in favore di funzioni pubbliche - 4.3. La disciplina delle collaborazioni etero-organizzate - 4.4. La contrattazione di transizione dall'autonomia alla subordinazione - 4.5. Tra autonomia e subordinazione: il caso del c.d. ibrido bancario - 4.6. Casi di estensione del welfare bilaterale ai lavoratori autonomi - 5. Conclusioni - NOTE
La crisi del criterio della subordinazione e l’avvicinamento delle situazioni giuridiche del lavoratore subordinato e di quello autonomo hanno suscitato, non da oggi [1], profonde riflessioni sulla necessità di riconsiderare le categorie fondamentali del diritto del lavoro, nell’ambito di un più generale ripensamento del diritto civile, anch’esso scosso dalla inedita frammentazione che connota l’intera realtà socio-economica, con un “aumento vertiginoso del grado di complessità dell’esperienza” [2]. Non è facile né peraltro utile, difronte alla profonda disarticolazione degli interessi nel mercato del lavoro post-industriale, tracciare linee di demarcazione astratte, destinate presto o tardi ad innestarsi su un discorso – quello della vera essenza della subordinazione – mai veramente concluso, né forse concludibile [3]. Soprattutto se il tema che ci si propone di trattare, a distanza di vent’anni dalle proposte di elaborazione di uno Statuto dei lavori [4], è quello della centralità del contratto collettivo nel processo di modernizzazione del mercato del lavoro [5], nella prospettiva di superare quella irriducibile tensione che designa il rapporto tra “la luminosa linearità del criterio e la complessa oscurità dell’esperienza” [6]. Il che in larga parte significa, per la nostra disciplina, assegnare all’autonomia collettiva il compito di accompagnare il superamento del confine tra autonomia e subordinazione secondo la qualificazione codicistica, categoria sempre più inappagante [7], falsamente rassicurante [8], “irrazionale” sotto il profilo assiologico [9], da tempo considerata non più in grado di rappresentare la natura ambivalente del diritto del lavoro [10], inteso come diritto del contraente debole [11] e, al tempo stesso, come diritto della concorrenza [12]. Può dirsi però con convinzione, quale premessa di carattere generale all’analisi che si intende svolgere, che “nessuna ragione osta a riconoscere il beneficio della tutela autonoma a categorie estranee al lavoro subordinato” [13]. E ciò in quanto non c’è alcun nesso di natura giuridico-positiva tra art. 39 Cost. e subordinazione secondo la qualificazione codicistica, [continua ..]
Se il punto di partenza dell’analisi è che la sfera di competenza contrattuale che la Costituzione riconosce all’autonomia collettiva non sia circoscrivibile, aprioristicamente, all’area del lavoro subordinato identificata dall’articolo 2094 del codice civile, si tratta allora di recuperare il discorso sui parametri identificativi dell’aggettivo “sindacale” dai quali può derivarsi la tutela rafforzata, rispetto ai canoni della libertà di associazione di cui all’articolo 18 Cost., degli interessi sottesi alla rappresentanza collettiva (e negoziale) del lavoro declinato al plurale [53]. E ciò posto che, come noto, solamente al contratto collettivo che si faccia carico di regolare interessi di natura sindacale l’ordinamento, interpretato alla luce dei principi costituzionali, attribuisce una rilevanza speciale, tale da elevarlo “a negozio assumibile, per definizione, nel quadro dei limiti che l’utilità sociale può porre all’esercizio della libertà economica” [54]. La letteratura sul punto è tanto ampia da rendere inappropriato, nell’economia di questo scritto, un richiamo sistematico [55]. Meritano però di essere ripercorse per sommi capi le considerazioni espresse da Ubaldo Prosperetti in merito al senso da attribuire all’aggettivo “sindacale”, non solo e non tanto per l’autorevolezza scientifica dell’autore o per una questione di primogenitura dottrinale, quanto in ragione dell’oggetto della monografia nella quale sono state formulate [56], riguardante la posizione professionale del lavoratore (subordinato), la cui figura viene ad assumere una diretta rilevanza giuridica anche al di fuori dell’attualità del rapporto di lavoro [57]. Fra gli effetti predisposti dall’ordinamento in funzione strumentale rispetto al rapporto di lavoro, nel senso che ad esso preesistono e succedono, venivano identificati quelli connessi alla posizione di lavoratore quale partecipe dell’interesse collettivo e delle relative forme di autotutela. Nel sostenere questo argomento, Prosperetti concludeva che il sindacato, secondo il significato del termine nell’esperienza sociale moderna, non possa essere caratterizzato diversamente che dallo scopo di tutela dell’interesse professionale mediante l’azione collettiva degli interessati [continua ..]
La questione ora discussa non ha una mera valenza teorico-ricostruttiva. È dirimente sul piano giudiziale e della prassi delle relazioni di lavoro perché la prospettiva del contratto collettivo come fonte di regolamentazione della concorrenza, apre problemi di non poco conto quando l’autonomia collettiva espleta una funzione normativa su fattispecie di rapporti di lavoro non riconducibili allo schema di cui all’art. 2094 c.c., che vale ad identificare, a priori, il carattere di subordinazione della prestazione e il relativo statuto protettivo. Nel caso della prestazione d’opera o servizio, diversamente, il deficit di potere contrattuale del collaboratore non può essere presunto. Il che implicherebbe, caso per caso, una valutazione analitica sulla fattispecie specifica di lavoro autonomo interessata dall’intervento della contrattazione collettiva, il quale diverrebbe giustificabile, ai fini della libera iniziativa economica (art. 41, comma 1, Cost.), prim’ancora che del necessario contemperamento tra diritto della concorrenza e diritto del lavoro [68], solo in quanto espletato in funzione degli obiettivi di cui all’art. 2 Cost., all’art. 3, comma 2, Cost., all’art. 4 Cost. e all’art. 41, comma 2, Cost. [69]. Il contratto collettivo che regolasse i profili normativi della prestazione di lavoro autonomo dovrebbe, cioè, sorreggere quella nozione di utilità sociale (art. 42, comma 2, Cost.) che, a mente dell’interpretazione sistematica del disegno Costituzionale proposta da Luciano Micco, conforma sul piano giuridico-funzionale il carattere della economicità che deve qualificare l’iniziativa privata, la quale è libera in tanto quanto concorre allo sviluppo della persona e al progresso materiale o spirituale della società [70]. Va rilevato tuttavia che, quantomeno nell’ordinamento giuridico italiano, il problema della compatibilità del contratto collettivo (di settore) con la normativa antitrust può essere in larga parte ridimensionato, se non del tutto superato, laddove si adotti quale prospettiva di analisi del problema quella della mancata attuazione della seconda parte dell’art. 39 Cost. e della conseguente limitazione dell’efficacia soggettiva (e oggettiva) delle disposizioni contrattuali alle sole aziende che conferiscano liberamente mandato alle associazioni [continua ..]
A questo punto della trattazione appare chiaro che, a prescindere dalla qualificazione del tipo di lavoro che si intende disciplinare, nel sistema italiano di relazioni industriali il contratto collettivo assume una rilevanza specifica “anche e soprattutto in ragione del proprio contenuto, giacché è attraverso questo che esso si integra nei principi generali di tutela del lavoro, come sono esplicitati dalla Costituzione” [79]. Il che implica la necessità di esaminare come, nel concreto, l’autonomia collettiva è intervenuta a regolare specifiche fattispecie di lavoro autonomo, per poi procedere, nella parte conclusiva dello scritto, all’analisi del raccordo tra l’evidenza empirica e i profili teorico-ricostruttivi finora trattati. Nella variegata realtà che si offre all’osservazione, le misure contrattuali di carattere collettivo in tema di lavoro autonomo possono distinguersi in tre macro-tipologie: accordi economici collettivi (infra, § 4.1); atti amministrativi con valenza sindacale per la disciplina dei rapporti di lavoro autonomo riguardanti talune figure professionali (infra, § 4.2); contratti collettivi di ambito nazionale, territoriale e aziendale, a loro volta classificabili in ulteriori quattro fattispecie: (a) accordi sindacali ex art. 2, comma 2, d.lgs. n. 81/2015 per la disciplina delle collaborazioni etero-organizzate (infra, § 4.3); (b) accordi sindacali per la transizione da forme contrattuali non-standard, ascrivibili all’area del lavoro c.d. parasubordinato, a rapporti di lavoro dipendente (infra, § 4.4); (c) misure contrattuali che disciplinano rapporti contrattuali tra azienda e prestatore di lavoro eseguiti in parte in forma di lavoro dipendente, in parte in forma di lavoro autonomo (infra, § 4.5); (d) misure contrattuali di estensione ai lavoratori autonomi delle prestazioni di welfare derivanti dagli enti bilaterali istituiti nell’ambito dei tradizionali sistemi di relazioni industriali (infra, § 4.6).
Una prima fattispecie di regolazione del lavoro autonomo si riconosce, storicamente, negli accordi economici collettivi per la disciplina del rapporto di agenzia e rappresentanza commerciale fra le aziende mandanti ed i rispettivi agenti e rappresentanti di commercio [80]. Trattasi, come noto, di uno dei più chiari esempi di collaborazione autonoma [81], che vede “la costante appropriazione da parte del committente (preponente) dell’utilitas della prestazione eseguita dall’agente in conformità alle istruzioni ricevute, assurgendo quindi ad emblema dell’“illusorio miraggio dell’indipendenza e dell’autonomia giuridica” a dispetto dell’impiego legislativo di una struttura giuridico-contrattuale profondamente diversa da quella del contratto di lavoro” [82]. La dottrina che di recente è tornata ad occuparsi degli accordi economici collettivi ci ricorda come nell’ordinamento corporativo questa forma di negozio concernesse due tipologie di rapporti: quelli di lavoro autonomo caratterizzati da asimmetria contrattuale tra le parti e quelli di natura commerciale tra imprese operanti in settori produttivi connessi, finalizzati a regolare la distribuzione nel mercato delle merci prodotte. Nella trattazione del rapporto di agenzia e rappresentanza commerciale da parte dell’autonomia collettiva il riferimento è stato, tradizionalmente, solo alla prima categoria di rapporti. Con la conseguenza che l’accordo economico collettivo opera alla stregua di un vero e proprio contratto collettivo, con funzione di porre rimedio alla debolezza contrattuale dell’agente che gli impedirebbe, sul piano delle trattative individuali, il soddisfacimento dei relativi interessi [83]. Al pari della disciplina codicistica, la regolazione contrattuale del rapporto di agenzia ha avuto un notevole impulso in conseguenza dell’attuazione della direttiva 86/653/CEE [84] che ha introdotto forme di tutela rafforzate in favore degli agenti, riguardanti taluni istituti concernenti le provvigioni e il trattamento di fine rapporto, per molti aspetti diversi da quelli elaborati dal diritto positivo italiano. Sebbene in un primo momento l’autonomia collettiva avesse tentato di far rivivere le precedenti impostazioni normative meno garantiste [85], il processo di integrazione europea è stato portato a compimento dal d.lgs. 15 [continua ..]
Tra le fonti a valenza sindacale volte a disciplinare talune fattispecie di lavoro autonomo, figurano le convenzioni tra l’INPS e le organizzazioni sindacali di categoria comparativamente più rappresentative sul piano nazionale che regolano il rapporto tra l’Istituto di previdenza e i medici di medicina fiscale per lo svolgimento degli accertamenti medico-legali sui lavoratori dipendenti pubblici e privati assenti per malattia. Che la dinamica di regolazione di questi rapporti di lavoro abbia una chiara valenza sindacale è subito riscontrabile dal dato del vasto contenzioso che, storicamente, ha interessato questo settore [89], a cui oggi si cumula quello ex art. 28 della l. 20 maggio 1970 (c.d. Statuto dei lavoratori) culminato nella sentenza del tribunale di Roma del 6 giugno 2018 relativa all’individuazione delle organizzazioni sindacali legittimate a trattare le predette convenzioni con l’istituto di previdenza. Indicativa in tal senso è stata la richiesta, avanzata dall’organizzazione rappresentativa della categoria dei medici di medicina fiscale (ANMEFI), di rettificare l’oggetto del Decreto Ministeriale del 2 agosto 2017 pubblicato in GU n. 229 del 30 settembre 2017 con il quale veniva approvato l’atto di indirizzo di cui all’art. 55-septies, comma 2-bis, del d.lgs. n. 165/2001, sostituendo il riferimento alle “organizzazioni sindacali dei medici di medicina generale”, quali parti deputate a stipulare le convenzioni con l’INPS, con quello, corretto, di “organizzazioni sindacali di categoria comparativamente più rappresentative” [90]. Da qui la mancata convocazione della predetta organizzazione ai tavoli per la definizione e la firma della convenzione, avendo l’INPS addotto che il titolo del decreto interministeriale identificasse puntualmente le “organizzazioni sindacali dei medici di medicina generale”, peraltro rappresentative dei soggetti “controllati” dai medici fiscali (controllanti) nel corso delle ispezioni, e il conseguente ricorso dell’ANMEFI avverso la condotta antisindacale dell’istituto previdenziale. A prescindere dagli specifici contenuti destinati ad essere concordati nella convenzione, già le linee di indirizzo interministeriale del 30 settembre 2017 contengono ampi riferimenti alla disciplina dell’attività di accertamento medico legale svolta [continua ..]
Ai sensi dell’art. 2, comma 2 del d.lgs. n. 81/2015 [91], tra il 2015 ed il 2017 sono stati sottoscritti, in diversi settori produttivi [92], diciannove accordi sindacali per la regolazione delle collaborazioni etero-organizzate, altrimenti riconducibili all’area del lavoro subordinato secondo il disposto dell’art. 1 del medesimo decreto legislativo [93]. Si tratta in tutti i casi di accordi di ambito nazionale, stante la delega esplicita operata dal legislatore del Jobs Act, esclusivamente, a questo livello di regolazione contrattual-collettiva [94]. Di particolare interesse si presenta, in prima battuta, la composizione dei soggetti firmatari che vede, di fianco alle sigle sindacali espressione delle tradizionali centrali confederali e alle organizzazioni sindacali minoritarie, la compresenza di talune associazioni professionali costituite ai sensi dell’art. 2, l. 14 gennaio 2013, n. 4. Si tratta di una prima evidenza valevole a confermare non solo e non tanto la fungibilità tra funzioni di rappresentanza professionale e funzioni di rappresentanza negoziale, quanto il fatto che la rilevanza sindacale di una organizzazione non possa escludersi o derivarsi dalla sola osservazione del dato formale, scaturente dagli statuti e dai regolamenti associativi. Sotto il profilo della qualificazione del rapporto, non stupisce che i soggetti stipulanti abbiano prestato attenzione a ricondurla, salvo alcune eccezioni, all’area dell’autonomia [95], attraverso una disciplina apparentemente esaustiva della fattispecie, seppur fortemente cedevole rispetto al contratto individuale, volta a coprire le diverse fasi del rapporto, nonché gli aspetti ad esso collaterali, inclusi taluni istituti di stretta rilevanza sindacale e a contenuto obbligatorio. Si tratta di una evidenza non scontata se è vero che il dato letterale dell’art. 2, comma 2 del d.lgs. n. 81/2015 non esclude che la contrattazione collettiva possa individuare tipi di collaborazione da ricondurre all’area del lavoro subordinato [96]. Con frequenza ricorrono, praticamente in tutti gli accordi collettivi analizzati, clausole volte a definire in modo puntuale la sfera di applicazione del contratto. Tra essi possono distinguersi accordi che estendono la pattuizione a più comparti; accordi che limitano la sfera di applicazione ad una sola attività produttiva; accordi che riferiscono [continua ..]
Una ulteriore tipologia di intervento contrattuale sulla “zona grigia” [97] tra autonomia e subordinazione si riconosce negli accordi sindacali per la transizione da forme contrattuali non-standard, ascrivibili all’area del lavoro autonomo, a rapporti di lavoro dipendente. Sebbene il legislatore del Jobs Act non abbia investito l’autonomia collettiva di specifiche competenze in materia, è verosimile supporre che la contrattazione, specie di prossimità, possa operare simili interventi a supporto dell’autonomia individuale, anche in risposta all’incentivo posto dall’art. 54, d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81 alla stabilizzazione dei collaboratori coordinati e continuativi e dei titolari di partita IVA [98]. Allo stato attuale, il riferimento a questa fattispecie contrattuale è, a quanto consta, limitato ad un solo settore, quello del c.d. marketing operativo, che vede coinvolte le figure professionali del promoter, del merchandiser e dell’allestitore nella promozione e vendita di specifici brand e prodotti all’interno degli store della grande distribuzione. Dopo aver sottoscritto nel 2008 con la ex Clacs-Cisl un accordo sindacale che regolava il rapporto di lavoro parasubordinato ed aver sottoscritto nel 2009 con la Fesica-Confsal un primo contratto nazionale relativo al rapporto di lavoro subordinato, il 7 dicembre 2012, l’Associazione Nazionale Agenzie di Servizi e Field Marketing (Anasfim) ha concluso con Fisascat-Cisl e Uiltucs-Uil un Accordo quadro contenente il protocollo per la contrattazione di II livello applicato al settore del marketing operativo. In applicazione della predetta intesa di ambito super-territoriale, sono stati sottoscritti dalle medesime organizzazioni tre contratti integrativi a livello provinciale (Bergamo, Milano, Pavia) e sette accordi di ambito regionale (Campania, Lazio, Piemonte, Puglia, Sicilia, Sardegna e Veneto). In risposta all’esigenza di stabilizzazione del personale addetto alle funzioni di promozione e merchandising, tradizionalmente inquadrato nell’area delle collaborazioni, le parti hanno convenuto, a fronte delle restrizioni sulla flessibilità in entrata introdotte dalla l. n. 92/2012, di ricondurre quelle figure professionali nell’area del lavoro dipendente secondo la disciplina del Ccnl Terziario, distribuzione e servizi, prevedendo tuttavia una serie di [continua ..]
Del tutto innovativo sul piano del metodo e dei contenuti contrattuali si presenta il protocollo per lo sviluppo sostenibile del Gruppo Intesa Sanpaolo, sottoscritto dall’azienda e le delegazioni di Fabi, First-Cisl, Fisac-Cgil, Sinfub, Ugl-Credito, Uilca e Unisin il 1° febbraio 2017. Ricondotta dalla dottrina alla fattispecie degli accordi di prossimità di cui all’articolo 8, decreto legge n. 138/2011, conv. con modifiche in l. n. 148/2011 [102], l’intesa prevede la possibilità di costituire un contratto di lavoro subordinato a tempo parziale e di un parallelo, contestuale e distinto, contratto di lavoro autonomo per il personale già in possesso dei requisiti richiesti per lo svolgimento di attività di consulente finanziario abilitato all’offerta fuori sede, iscritto all’albo previsto dal Testo Unico Finanza come modificato, a ultimo, dalla l. n. 2018/2015. Con la ulteriore precisazione che i due contratti rimangano indipendenti l’uno rispetto all’altro e reciprocamente assoggettati alla specifica disciplina legale e contrattuale loro applicabile. Nell’intento delle parti, lo schema è volto a consentire di svolgere un servizio più orientato alle diversificate esigenze della clientela, anche mediante un ampliamento dell’offerta fuori sede finalizzato al raggiungimento degli obiettivi del piano finanziario. A tal fine, l’intesa prevede che il contratto di consulente finanziario possa essere stipulato, per un periodo iniziale non superiore a due anni, come contratto di mandato o di agenzia, ai sensi degli artt. 1703 ss. c.c. ovvero degli artt. 1742 ss. c.c. L’azienda, dal canto suo, conferma che la sperimentazione contrattuale sarà definita ricorrendo anche alla procedura di certificazione dei contratti di lavoro disciplinata dagli artt. 76 ss. d.lgs. n. 276/2003. Si prevede altresì la impossibilità di stipulare contratti di lavoro autonomo, così come contratti di lavoro subordinato, con committenti direttamente o indirettamente in concorrenza con la banca datrice di lavoro/committente. Fermi restando i profili di autonomia e di libertà di iniziativa e di gestione dei tempi propri del contratto di mandato o agenzia, le parti dispongono inoltre che il consulente finanziario coinvolto in tale schema si coordini per lo svolgimento dell’incarico con il direttore di area di riferimento e non sia soggetto [continua ..]
Nella prospettiva di una concezione universalistica della tutela professionale, di particolare interesse si presentano quelle sperimentazioni contrattuali, invero assai rare, che vedono l’estensione di misure di welfare derivanti dalla bilateralità anche a categorie di lavoratori diverse da quelle tradizionalmente coperte dalla contrattazione collettiva e quindi dai sistemi bilaterali costituiti nei diversi settori dell’economia. In questa direzione si colloca il rinnovo del Ccnl degli studi professionali sottoscritto da Confprofessioni, Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl, Uiltucs-Uil il 17 aprile 2015, che ha esteso taluni strumenti di welfare, già in vigore per i lavoratori dipendenti, ai praticanti e ai collaboratori con partita IVA. Sicché per la prima volta, i professionisti che versano i contributi alla bilateralità del settore in forza dell’articolo 13 del Ccnl sono, loro stessi, beneficiari di prestazioni di assistenza, mediante una apposita gestione autonoma e separata, sulla base di coperture attivate automaticamente, senza il pagamento di somme ulteriori. La copertura è attribuita sia al datore di lavoro unico titolare persona fisica sia al datore di lavoro persona giuridica (forma associata), ai soci/associati della società/studio associato e ad eventuali collaboratori esterni in numero proporzionale rispetto al numero dei lavoratori dipendenti iscritti alla bilateralità. Le coperture si attivano automaticamente dal primo giorno del quarto mese successivo all’iscrizione, per chi è in regola con il pagamento dei contributi ed in presenza di tutti i dati anagrafici necessari, e consentono un insieme di interventi quali: check-up, esami oncologici e cardiovascolari, visite specialistiche, trattamenti fisioterapici, coperture per invalidità permanente e morte da infortuni e copertura per lo studio/ufficio. Dal 1° ottobre 2016 è prevista anche una diaria per inabilità temporanea, mentre dal 1° aprile 2017 il piano si è arricchito ulteriormente con il pacchetto maternità. Va peraltro rilevato come una simile prospettiva sia potenzialmente replicabile nei sistemi bilaterali di altri settori produttivi, specie nei casi in cui la bilateralità mostra già, a partire dalle disposizioni costitutive dell’ente, un’attitudine ad estendere la relativa copertura a categorie di lavoratori non subordinati. È [continua ..]
Nello spazio della disciplina contrattual-collettiva delle condizioni di impiego, il lavoro autonomo non è mai penetrato con leggerezza. Non si può certo dire, all’esito dell’itinerario teorico ed empirico proposto in questo articolo, che quello tra contratto collettivo e autonomia sia stato un rapporto di reciproca indifferenza. Neppure può escludersi che, nel percorso di avvicinamento tra autonomia e subordinazione [106], il lavoro autonomo possa divenire, all’esito di questo doppio movimento che connota la c.d. nuova grande trasformazione del lavoro [107], la principale area di intervento della rappresentanza degli interessi e, almeno in parte, della contrattazione collettiva. Allo stato attuale, la produzione contrattuale mostra segnali di vitalità, sebbene gli attori sociali non siano ancora riusciti a individuare, se non in alcuni casi limitati, un quadro normativo a misura delle logiche e delle esigenze proprie dei nuovi mercati del lavoro. A partire dalla recente stagione di riforma del lavoro, la portata dell’affidamento alla contrattazione collettiva del potere di disciplinare “alternativamente” le collaborazioni nei settori che presentano particolari esigenze produttive ed organizzative, non pare, al momento, essersi indirizzata verso “assetti di tutela adeguati ai sempre più variegati modi di prestare lavoro a favore (anche) di altri” [108]. Piuttosto, si riscontra la tendenza a riprodurre schemi del passato, per di più in crisi nel loro stesso campo di applicazione tradizionale [109]. In taluni casi, peraltro, la disciplina normativa delle collaborazioni si presenta alquanto scarna, limitandosi a replicare le disposizioni di legge e a rinviare al contratto individuale. Circostanza, questa, che induce perfino a ritenere dubbia la idoneità di simili accordi ad esercitare l’effetto derogatorio che la legge gli riconosce, posto che, come puntualizzato dalla dottrina, il contratto collettivo può disapplicare la disciplina del lavoro subordinato, nell’ipotesi prevista dalla lett. a) dell’art. 2, comma 2, solamente nella misura in cui preveda “non solo un trattamento economico ma anche normativo del personale suddetto al fine di evitare pericolosi slittamenti nella tutela di lavoratori a tutti gli effetti subordinati” [110]. Vero è che quello intrapreso dall’autonomia [continua ..]