Il saggio introduce il fascicolo, curato dall’a., sul tema del lavoro autonomo dopo la l. n. 81/2017. L’a. approfondisce, da un lato, il problema della qualificazione della fattispecie alla luce della recente riforma; dall’altro, l’intensità della tutela e il grado di originalità della nuova disciplina. Conclude con alcune osservazioni sulle soluzioni percorribili a fronte dei problemi rimasti irrisolti su entrambi i fronti.
The essay introduces the volume, edited by the author, concerning self-employment after the law no. 81/2017. On one hand, the analysis examines the impact of the recent reform on the traditional problem of qualification; on the other hand, it focuses on the level of protection and innovation of the measures provided by the law no. 81/2017. Finally, the author offers some solutions to the issues that still exist.
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Statuto del lavoro autonomo? - Cosa č il lavoro autonomo? - Vecchie e nuove tutele, dentro e fuori del rapporto - Le soluzioni percorribili, di breve e lungo termine - Note
Il fascicolo n. 3/2018 di questa Rivista si propone di discutere, attraverso contributi dedicati a distinti aspetti della disciplina, la fattispecie e la tutela del lavoro autonomo all’esito delle recenti riforme legislative, in particolare della l. n. 81/2017. Alcuni autori ritengono che essa abbia introdotto uno “statuto del lavoro autonomo” e che costituisca, in sostanza, un complemento del Jobs Act [1], cioè del complesso di riforme giuridiche del lavoro avviate con il d.l. n. 34/2014 e la l. n. 183/2014. Per vero, nessuno in dottrina sembra ritenere che la l. n. 81/2017 abbia soddisfatto tutte le esigenze di protezione del lavoro personale non subordinato, rimanendo vuoti di tutela ad es. con riferimento alla garanzia di un salario minimo. Tuttavia, oltre a una più chiara presa di consapevolezza, da parte del legislatore, circa un’area di debolezza sia nel rapporto sia socio-economica al di fuori della subordinazione, si apprezza l’introduzione di nuovi diritti e obblighi tra le parti e il potenziamento delle prestazioni previdenziali e dei servizi nel mercato del lavoro. Allora, se anche fosse eccessivo parlare di un vero e proprio “statuto”, inteso come corpus organico di garanzie (adeguate), si tratterebbe quantomeno di una forma embrionale e di una traccia utilmente perseguibile anche dal futuro legislatore. Altra parte della dottrina reputa, al contrario, che la riforma sia nel complesso deludente. Per alcuni, le tutele sarebbero perlopiù di stampo tradizionalmente civilistico [2], dunque inadatte a disciplinare in maniera soddisfacente quella fetta di lavoro autonomo caratterizzata da poteri asimmetrici tra le parti. La l. n. 81/2017 costituirebbe così, al più, un palliativo, una soluzione manutentiva dell’esistente e in definitiva un’occasione persa. Per altri, il provvedimento in esame confermerebbe in ogni caso un approccio dicotomico al diritto del lavoro, ancora anacronisticamente incentrato sull’alternativa tra subordinazione e autonomia [3], nel momento in cui i confini di queste non sono più soltanto evanescenti [4], ma persino sovrapponibili, con esiti talora confusi e contraddittori [5].
In effetti, la l. n. 81/2017 non solo non contribuisce a risolvere il problema della qualificazione del rapporto, da cui dipende l’operare della disciplina: piuttosto lo aggrava, e in ogni direzione. Essa delimita il proprio campo di applicazione in relazione – secondo il titolo della legge – al “lavoro autonomo non imprenditoriale”, come se, appunto, la categoria dell’autonomia si estenda al di là del lavoro personale [6]. Restano esclusi anche i piccoli imprenditori ex art. 2083 c.c. [7] Solo che questa scelta evidenzia, senza tentare di risolverlo, il problema tralatizio di distinguere la prevalente personalità ex artt. 2222 c.c. e 409, n. 3, c.p.c., dal lavoro prevalentemente proprio e dei componenti della famiglia, di cui all’art. 2083 c.c. Resta infatti il dilemma sia sui parametri in base ai quali giudicare la prevalenza (supponendo che si tratti di una distinzione essenzialmente quantitativa); sia se la personalità del lavoro autonomo vada intesa quale infungibilità della prestazione, al contrario di quella ex art. 2083 c.c. (e in tal caso la differenza sarebbe anche qualitativa). Si aggiunga l’ulteriore difficoltà, già presente nell’ordinamento, di precisare il discrimen tra personalità esclusiva e prevalente, ma ora accresciuta dalla circostanza che dal perimetro delle collaborazioni eterorganizzate, ricondotte ex art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81/2015 alla disciplina del lavoro subordinato [8], esulano le prestazioni non esclusivamente personali [9]. Il confine è oggi reso ancora più labile dal fatto che la pur minima organizzazione di mezzi richiesta per la sussistenza di un’impresa, da un lato, potrebbe ritenersi integrata anche dal significativo know-how posseduto dal (supposto) imprenditore, sempre più rilevante nell’economia dematerializzata (e non a caso valorizzato dalla giurisprudenza della Corte Ue per individuare l’esistenza di un’azienda trasferita); dall’altro, per contro, si ritiene che l’utilizzo di mezzi propri di modico valore possa essere compatibile persino con la subordinazione, come emerge pure dalla disciplina e dalla prassi del lavoro agile, in cui la prestazione può rendersi a distanza mediante strumenti informatici anche di proprietà del [continua ..]
Fermo dunque il problema di determinare la fattispecie, le tutele introdotte dalla l. n. 81/2017 spaziano dal piano civilistico alla disciplina fiscale. E, come detto, se ne possono trarre diverse valutazioni [26]. Le garanzie meno interessanti, sia per intensità sia per originalità, appaiono per vero quelle relative al rapporto tra le parti. La disciplina sulla tutela dai ritardi dei pagamenti ex art. 2, l. n. 81/2017, ad esempio, pur restando di indubbio rilievo pratico, era già applicabile, oltre che agli imprenditori, ai lavoratori autonomi professionisti. Neppure pare innovativo l’art. 4 in tema di invenzioni e apporti originali [27]: la disposizione, infatti, sembra semplicemente confermare il principio civilistico in materia, secondo cui i diritti patrimoniali spettano all’inventore prestatore autonomo, a meno che il trovato sia oggetto del contratto, nel qual caso si intenderanno in capo al committente [28]. Il comma 1 dell’art. 3, là dove sancisce che “si considerano abusive e prive di effetto le clausole che attribuiscono al committente la facoltà di modificare unilateralmente le condizioni del contratto”, conferma da un lato il criterio esclusivo dell’eterorganizzazione, di cui alla modifica dell’art. 409, n. 3, c.p.c. Dall’altro, dove considera parimenti abusive “le clausole mediante le quali le parti concordano termini di pagamento superiori a sessanta giorni dalla data del ricevimento da parte del committente della fattura o della richiesta di pagamento”, riafferma la tutela contro i ritardi dei pagamenti prevista nell’articolo precedente. E pure l’obbligo del preavviso in caso di recesso da un contratto di durata, di cui al medesimo comma 1 dell’art. 3, è confermativo di un principio del diritto dei contratti. Paradossalmente, potrebbe persino considerarsi peggiorativo del diritto previgente, ove riferibile anche al contratto a tempo determinato, considerato irrecedibile senza la sussistenza della giusta causa, a pena delle conseguenze patrimoniali ex art. 2227 c.c. D’altro canto il divieto di abuso di dipendenza economica [29], ex art. 3, comma 4, non ha registrato sino ad ora applicazioni particolarmente interessanti in giurisprudenza con riguardo alla subfornitura, da cui è mutuato, e ci si interroga perciò su quali benefici possa [continua ..]
La sensazione diffusa, all’esito delle riforme del 2015-2017, è di un assetto disorganico sul piano formale, specialmente per le possibili sovrapposizioni tra le fattispecie e per la difficoltà di distinguerne gli elementi costitutivi, e irragionevole su quello applicativo [37]: la vicenda dei riders ha in particolare evidenziato i rischi, conseguenti al tradizionale approccio qualificatorio, della mancanza di tutele adeguate alle effettive condizioni di lavoro. Se sulla pars destruens vi può essere ampio consenso, più complesso è individuare le soluzioni percorribili. Tra queste, può poi prediligersi un tentativo di riforma più realistico da un punto di vista di politica del diritto, che tenga conto degli equilibri vigenti, ma perciò più limitato nella capacità risolutiva dei problemi evidenziati; o uno di più ampio respiro, che rivisiti in profondo le categorie concettuali sinora utilizzate e che però, per questo, richiederebbe un più vasto consenso politico e sindacale. Volendo adottare un approccio pragmatico, si potrebbe anzitutto osservare che, pur tra non poche contraddizioni, il legislatore si è progressivamente reso conto negli anni che il salto di tutela dal lavoro subordinato al lavoro personale non dipendente fosse drammatico e dovesse essere perciò ridimensionato. E questo, in definitiva, è ciò che è stato fatto – condivisibilmente o meno – anzitutto con le riduzioni di tutele nel rapporto e con l’ampliamento di quelle nel mercato, per quanto concerne la subordinazione. Progressivamente, seppure con una battuta di arresto con l’abrogazione del lavoro a progetto, si sono elevate le tutele per il lavoro autonomo coordinato e continuativo, una parte del quale (cioè quello esclusivamente personale ed eterorganizzato) è stato attratto nell’area della subordinazione. Da ultimo, per il lavoro autonomo c.d. non imprenditoriale sono state introdotte nuove tutele, alcune delle quali ispirate a quelle del lavoro subordinato e altre a quelle vigenti per gli imprenditori. Seppure dunque con una modalità disorganica, poco attenta alla coerenza del sistema, può dirsi che il legislatore abbia già parzialmente operato una rimodulazione e una redistribuzione di tutele. Certo, il grado di protezione resta sensibilmente [continua ..]