Il saggio esamina i nodi critici collegati alla gestione degli incarichi e al trattamento economico del personale nell’ambito delle società a controllo pubblico. Dopo una breve sintesi dell’evoluzione legislativa, viene analizzata la disciplina vigente alla luce delle disposizioni approvate con il T.U. del 19 agosto 2016, n. 175, sulle società a partecipazione pubblica, concentrando l’attenzione sulle disposizioni che fissano vincoli alla conferibilità degli incarichi, tetti massimi al trattamento economico erogabile e limiti alla contrattazione collettiva.
The essay examines the critical issues related to the management of the positions and to the staff economic treatment within the public-owned enterprises. After a brief summary of the legislative evolution, the article analyses the rules in the light of the T.U. 19 August 2016, n. 175 on public-owned enterprises, focusing on the provisions that fix constraints of the positions, economic treatment limits and restrictions to collective bargaining.
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1. Modelli e obiettivi regolativi per la gestione del personale nelle società a controllo pubblico dopo il T.U. n. 175/2016 - 2. Il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica attraverso il governo degli incarichi - 2.1. Cumuli di impieghi, incompatibilità e inconferibilità degli incarichi - 3. Il trattamento economico e il ruolo della contrattazione collettiva - 3.1. I vincoli al trattamento economico - 3.2. I limiti alla contrattazione collettiva - NOTE
La disciplina in tema di trattamento economico nell’ambito delle società a partecipazione pubblica risente dell’irrisolta ibridità [1] di questi soggetti al pari degli altri profili controversi inerenti alla gestione del personale (tra cui, il reclutamento, i rapporti di lavoro flessibili, gli interventi di razionalizzazione e di riduzione delle società). La porosità tra i sistemi e i modelli regolativi ha complicato e complica la definizione delle questioni entro i confini privatistici o pubblicistici [2]. L’ibridità, per certi profili, conferisce alla regolamentazione tratti di vera e propria “specialità” dello statuto delle società pubbliche [3]. Ciò anche dopo l’approvazione del T.U. del 19 agosto 2016, n. 175, sulle società a partecipazione pubblica (d’ora in avanti T.U.S.P.), in attuazione della delega contenuta nella legge 7 agosto 2015, n. 124 (art. 18), che ha riacceso il dibattito, mai sopito [4], sulla gestione e sull’organizzazione delle società partecipate dallo Stato [5]. In relazione ai profili che attengono alla gestione del personale, la materia risente non solo dei tentativi regolativi degli anni precedenti [6], ma anche del generale contesto della c.d. riforma “Madia” della pubblica amministrazione di cui il T.U.S.P. è una parte importante [7]. Il d.lgs. n. 175/2016, infatti, non sfugge al trend di sottoporre ad un’intensa attività di monitoraggio, controllo e coordinamento le attività delle società pubbliche da parte dell’amministrazione centrale statale (art. 15, T.U.S.P., ma similmente, ad esempio, in relazione agli enti di ricerca, l’art. 6, d.lgs. 25 novembre 2016, n. 218), a dimostrazione che la “centralizzazione del controllo” è un importante mainstreaming della riforma. Parimenti, la marcata presenza nel TUS di limiti alla contrattazione collettiva, e di cui si dirà in prosieguo, è in continuità con il contenuto degli interventi legislativi di questi anni finalizzati a regolamentare queste realtà ed orientati a restringerne i margini di autonomia organizzativa e gestionale mediante l’imposizione di restrizioni e regole ad hoc, divenendo questa materia “parte qualificante della riorganizzazione delle amministrazioni [continua ..]
L’analisi della corporate governance in tema di incarichi e del trattamento economico del personale delle società controllate si inquadra nella più generale disamina dell’impatto e dell’applicazione dei limiti pubblicistici fissati alla disciplina privatistica nella gestione dei rapporti di lavoro. I limiti, infatti, sono collegabili agli scopi sistematici del testo unico, nel tentativo di soddisfare, talvolta, le esigenze di contenimento e razionalizzazione della spesa pubblica e, talaltra, l’obiettivo di una gestione efficiente. Rinviando ad altri contributi di questo fascicolo della rivista la trattazione degli strumenti per garantire una gestione efficiente del personale [17], di seguito si concentrerà l’attenzione sulle regole che mirano al contenimento e alla razionalizzazione della spesa pubblica attraverso la gestione della governance societaria e del trattamento economico nell’ambito di queste società. Rientrano in questa categoria di vincoli, in particolare, le norme dirette ad evitare l’abuso di risorse per effetto di cumuli di impieghi ed emolumenti a vario titolo erogati (art. 11, commi 8, 10, 11, 12, T.U.S.P.), il rinvio alle norme sulle incompatibilità e inconferibilità degli incarichi (art. 11, commi 1 e 14, T.U.S.P.) e, infine, le disposizioni che impongono limiti retributivi (art. 11, commi 6 e 9, T.U.S.P.) e vincoli alla contrattazione collettiva (art. 19, commi 5 e 6, T.U.S.P.). Va precisato che per le altre società a partecipazione pubblica, ossia quelle in cui le pubbliche amministrazioni hanno una semplice partecipazione sociale e non il controllo (art. 2, lett. n, T.U.S.P.), sussiste, in ogni caso, la possibilità di fissare una disciplina limitativa in materia di trattamento economico (art. 11, comma 16, T.U.S.P.). In caso di partecipazione superiore al 10 per cento del capitale sociale, l’amministrazione pubblica ha l’obbligo di proporre agli organi societari competenti l’adozione di misure di contenimento delle spese sulla falsariga di quanto sancito dal testo unico in caso di società a controllo pubblico dai commi 6 a 10 dell’art. 11 e che di seguito saranno esaminate.
La prospettiva della governance nelle società a partecipazione pubblica è tenuta in notevole considerazione nei report ufficiali dell’Unione europea. Nell’Institutional Paper n. 31 del luglio 2016 [18], la Commissione europea, dopo aver mappato staticamente il fenomeno, si sofferma sugli aspetti dell’accontability e dell’efficiency su cui si dovrebbero fondare le norme nazionali in tema di State-owned enterprises. Il rapporto ufficiale cattura una tendenza all’espansione dei casi, rilevando notevole diversità delle forme e delle regole vigenti nei diversi Stati membri [19], ma allo stesso tempo sofferma l’attenzione sull’importanza di contemperare gli interessi economici con la garanzia dell’accountability, dell’efficiency e, soprattutto, degli obiettivi di tutela sociale. Si tratta di indicazioni dallo scarso valore cogente, sicché per delineare un quadro più ottimistico bisognerà attendere l’adozione di un’iniziativa concreta per uniformare le diversità in tema di State-owned enterprises. Come è noto, attualmente esiste la direttiva europea 2006/111/Ce sulla contabilità limpida per le imprese di proprietà statale, in cui si mira a garantire la trasparenza delle relazioni finanziarie tra i Paesi dell’Unione europea e le imprese di proprietà statale, assicurando così un regime che promuove la concorrenza leale rispetto alle imprese private, disinteressandosi, tuttavia, della struttura delle State-owned enterprises e degli obiettivi di tutela sociale, prospettiva, questa ultima, non sempre valorizzata anche nell’ultimo intervento del legislatore italiano. In effetti, già prima del T.U.S.P. la materia della corporate governance era stata oggetto di ripetuti interventi nel tentativo di reperire un modello di riferimento, interventi che si sono concentrati sulla composizione e sul trattamento retributivo degli organi di vertice delle società partecipate. Dapprima nella legge finanziaria 2007 (legge 27 dicembre 2006, n. 296) sono stati stabiliti i vincoli di composizione dei consigli di amministrazione delle società in house rispettivamente fissati a tre o cinque membri in ragione del capitale versato (art. 1, comma 729). Successivamente, a prescindere dal capitale del [continua ..]
Parimenti complesso è il quadro che deriva dalla lettura delle norme che prescrivono vincoli al trattamento economico (importo massimo dei compensi ex art. 11, comma 6, T.U.S.P.; limiti alle indennità di fine mandato dei dirigenti delle società in controllo pubblico, art. 11, comma 9 e 10, T.U.S.P., e limiti ai compensi dei componenti di comitati con funzioni consultive, art. 11, comma 13, T.U.S.P.) e restrizioni alla contrattazione collettiva (art. 19, commi 5 e 6, T.U.S.P.).
In generale, l’approccio restrittivo del T.U.S.P. è coerente con la tecnica usata in questi anni nell’ambito del pubblico impiego in relazione alla fissazione di vincoli alla contrattazione collettiva nel pubblico impiego. Il riferimento è al noto meccanismo del blocco della contrattazione collettiva sancito a più riprese per fronteggiare la grave crisi economica e che è stato oggetto anche dell’intervento della Corte costituzionale nel 2015 [32]. Questa modalità di intervento è, del resto, in continuità con i precedenti sistemi di raccordo/controllo tra le pubbliche amministrazioni e le società controllate [33]. La deroga al regime privatistico appare altresì evidente se si analizzano le disposizioni del T.U.S.P. che provano a normare il trattamento economico dei dirigenti al termine del loro mandato e il regime dei compensi in caso di attività consultive. In tale ultima ipotesi, infatti, le società a controllo pubblico limitano ai casi sanciti per legge la costituzione di comitati con funzioni consultive o di proposta e fissa per i suoi componenti una remunerazione che non può superare il 30 per cento del compenso deliberato per la carica di componente dell’organo amministrativo della società controllata, tenendo conto della qualificazione professionale e dell’impegno richiesto (art. 11, comma 13, T.U.S.P.). Per quanto concerne il regime del personale dirigenziale delle società a controllo pubblico, il T.U.S.P. sembra imporre una sorte di principio di unicità degli emolumenti di fine mandato per effetto del quale si impone il divieto di corrispondere ai dirigenti delle società controllate indennità diverse o ulteriori rispetto a quelle fissate dalla legge o dalla contrattazione collettiva [34], limite che è caratterizzato da non pochi nodi interpretativi. In primo luogo, l’art. 11, comma 10, parla di indennità o trattamento di fine mandato, espressioni che potrebbero riferirsi sia alle sole ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro (licenziamento, dimissioni o risoluzioni consensuali) [35] sia anche ai casi di fine “incarico” tutte le volte in cui sia stata conferita al dirigente una specifica posizione organizzativa a cui corrisponde un eventuale trattamento per la cessazione della medesima. Altra questione è se il vincolo riguardi [continua ..]
La frattura con le competenze degli attori collettivi si ricava particolarmente dall’art. 19, commi 5 e 6, T.U.S.P., che impone limiti alla contrattazione collettiva e alla facoltà assunzionale nelle società controllate. Preliminarmente, va detto che la norma in discussione, ossia l’art. 19, comma 5, T.U.S.P., accresce l’ingerenza della pubblica amministrazione sulle società in controllo pubblico, poiché testualmente si dice che “le amministrazioni pubbliche socie” fissano gli obiettivi specifici, annuali e pluriennali, sul complesso delle spese di funzionamento (comprese quelle di personale) delle società controllate, anche attraverso il contenimento degli oneri contrattuali e delle assunzioni di personale, tenendo conto delle procedure di governo delle eccedenze di personale regolate dal decreto medesimo (cioè l’art. 25 T.U.S.P.) e delle eventuali altre disposizioni che sanciscono divieti e limitazioni alle assunzioni. La specificità dei singoli settori è tenuta in conto nella norma, poiché, dopo il decreto legislativo correttivo del 16 giugno 2017, n. 100 [41], è stato inserito il riferimento al settore di ciascuna realtà. La fissazione di vincoli e obiettivi, quindi, torna a connotarsi di un margine di discrezionalità in capo alle pubbliche amministrazioni nella fissazione di eventuali deroghe ai limiti in ragione delle esigenze specifiche del settore di appartenenza delle società controllate [42]. Pur se la lettera della norma può insinuare il dubbio che l’obbligo di fissare questi obiettivi ricade, in generale, sulle amministrazioni socie (e non solo sulle amministrazioni controllanti), invero, il riferimento è da leggersi in coerenza con l’ambito di applicazione dell’art. 19 T.U.S.P., articolo che si riferisce appunto alle società in controllo pubblico e non genericamente alle società partecipate. Questa lettura restrittiva è avvalorata anche dal successivo comma 6, dove si rinvia a un possibile recepimento di questi obiettivi soltanto da parte delle società in controllo pubblico. Questa interpretazione è coerente anche con la nozione civilistica di controllo di una pubblica amministrazione su una società privata, di cui la norma dell’art. 19, comma 5, T.U.S.P., potrebbe configurarsi una diretta specificazione. Come si evince [continua ..]