Il contributo indaga sul rapporto tra l’età pensionabile e ricambio generazionale. In quest’ottica vengono analizzati in particolare tre istituti, volti a produrre un accesso anticipato alla pensione, in funzione anche di favorire il turn over generazionale. Si tratta del contratto di solidarietà espansiva; del part-time agevolato per i pensionandi e dei nuovi istituti dell’APE (Anticipo pensionistico) e della RITA (Rendita integrativa temporanea anticipata). In conclusione, l’autore intravede alcune prospettive future. Fra queste, viene vagliata la possibile evoluzione della previdenza complementare in chiave obbligatoria, ma al contempo con requisiti di accesso ai trattamenti sganciati da quelli della previdenza pubblica.
Retirement age and generational change The paper analyzes the relationship between the retirement age and generational change. In this view the author analyzes three models: “il contratto di solidarietà espansivo”; the part-time subsidized for retirees and the new “APE” and “RITA”. In conclusion, the author sees some future prospects. Among these, it is examined the possible development of complementary and integrated protection schemes, with the requirements of access to treatment disengaged from those of public pension system.
1. Il ricambio generazionale nel prisma dell’età pensionabile
In apertura si sono voluti invertire i termini declinati nel titolo del presente contributo, al fine di meglio individuarne il focus.
Se, invero, l’età pensionabile rappresenta l’oggetto comune dei contributi raccolti in questo numero della Rivista, al contempo la prospettiva qui prescelta la pone in relazione al generale tema del ricambio generazionale. Si tratta, come noto, di una questione centrale, quale emergenza da tempo pressante nella sempre più “vecchia” Europa, dove insieme all’allungamento della speranza di vita media si registrano tassi di natalità sempre più bassi. Gli interventi di sistema atti a fronteggiare questa situazione appartengono da tempo al dibattito politico, dove, peraltro, non trovano risposte soddisfacenti [1].
In questo quadro l’ambito del presente contributo risulta molto più ristretto, tanto da indurci a considerare la platea dei lavoratori giovani in ingresso nel mercato del lavoro come un dato presupposto, sul quale, sotto il profilo quantitativo, l’età pensionabile di per sé non influisce. È, invero, del tutto evidente che gli interventi di sostegno all’incremento delle nascite debbano porsi a monte di quelli volti a favorire l’ingresso nel mondo del lavoro delle nuove generazioni, che avverrà diversi anni dopo.
Il punto di partenza, allora, non può che apparire scontato. Il progressivo innalzamento dell’età pensionabile, disposto da tutte le riforme pensionistiche degli ultimi anni, non solo nostrane, come risposta alle ineludibili e pressanti esigenze di riduzione della spesa pubblica, acuite dal mix esplosivo innalzamento della speranza di vita media – decremento delle nascite [2], non può che produrre un rallentamento del ricambio generazionale, ovvero dell’ingresso di lavoratori giovani nel mercato del lavoro al posto dei pensionati. Nella letteratura economica di parla a riguardo di spiazzamento generazionale (crowding-out), proporzionale alla repentinità e all’ampiezza dei relativi provvedimenti di innalzamento dell’età pensionabile [3].
Al contrario, il turn over non può che essere favorito – ovviamente ceteris paribus – da un abbassamento dell’età pensionabile, che, però, implica un incremento della spesa previdenziale, gravante sulle casse dello Stato.
Evidentemente, analoghi problemi emergono laddove si introduca un sistema di generale flessibilizzazione dell’età pensionabile, che, oltre un limite predefinito nel minimo, affidi alla decisione del singolo lavoratore assicurato l’individuazione dell’età di accesso alla pensione. Questa, invero, era stata la scelta operata al tempo della riforma Dini, legge n. 335/1995, che [continua..]