Partendo dal rapporto tra il diritto all’assistenza sociale e il diritto al lavoro per le persone con disabilità, entrambi contenuti nell’art. 38 Cost., il contributo esamina i momenti di contaminazione tra i due profili e rileva come gli interventi legislativi adottati a favore dei soggetti disabili nella prospettiva della realizzazione del loro diritto all’avviamento professionale perseguono, in parte, una funzione di carattere assistenziale, con il conseguente superamento della rigida distinzione che emerge dal disegno costituzionale in cui i diritti rimangono su piani separati e ove il discrimine è costituito dal possesso o meno di una qualche capacità lavorativa.
Starting from the relationship between the right to social assistance and the right to work for people with disabilities, both contained in art. 38 of the Constitution, the contribution examines the moments of contamination between the two profiles and points out how the legislative interventions adopted in favor of disabled subjects in view of the realization of their right to work pursue, in part, a function of social assistance, overcoming the rigid distinction that emerges from the constitutional design in which the rights remain on separate levels and where the distinction is constituted by the possession of some working capacity.
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1. Il collocamento mirato e il perseguimento di finalità di natura assistenziale - 2. Le politiche attive regionali: la 'Dote Lavoro' in Lombardia - 3. Il ruolo delle cooperative sociali per l'inserimento lavorativo dei disabili più gravi e i limiti del loro coinvolgimento - 4. Le prestazioni assistenziali e le nuove misure di sostegno al reddito - 5. Il problema dei diritti sociali “condizionati” - NOTE
L’art. 38 Cost. contiene l’insieme delle tutele specifiche previste a favore delle persone con disabilità [1]. Mentre le prestazioni riconducibili al diritto all’assistenza sociale sono rivolte a tutti coloro che si trovano in condizione di indigenza e inabilità al lavoro, coloro che conservano una capacità lavorativa residua hanno diritto a che lo Stato si impegni ad adottare i provvedimenti necessari e opportuni per il loro inserimento nel mondo del lavoro [2]. In questa ottica, il diritto all’assistenza sociale si pone quale norma di chiusura, quale misura di carattere residuale per l’ipotesi in cui sia accertato che la persona con disabilità difetti di una qualche capacità lavorativa. Se questo è il disegno espresso dalla norma costituzionale, occorre rilevare che di fatto i provvedimenti legislativi emanati per dare attuazione al diritto al lavoro delle persone disabili hanno perseguito (e ancora perseguono), in parte, una funzione di carattere assistenziale [3], con il conseguente superamento della rigida distinzione che emerge dal disegno costituzionale in cui i diritti rimangono su piani separati, ove il discrimine è costituito dal possesso o meno di una qualche capacità lavorativa [4]. Ciò dipende sia dal fatto che i destinatari dei provvedimenti normativi sono persone che per la particolare situazione di debolezza sociale in cui versano non sarebbero altrimenti in grado di trovare una collocazione lavorativa, sia perché la previsione di un obbligo di impiego comporta un’inevitabile compressione della libertà di iniziativa economica privata (art. 41 Cost.), seppure giustificata da ragioni di solidarietà sociale (art. 2 Cost.). Tra gli elementi che conferiscono al sistema un’impronta di tipo assistenziale vi è soprattutto l’aspetto della remunerazione, in quanto la parte di salario eccedente rispetto quella corrispondente (qualitativamente e quantitativamente) alla prestazione resa si può configurare come un onere assistenziale a cui però deve far fronte il datore di lavoro, anziché lo Stato [5]. In effetti, la corrispondenza tra prestazione e retribuzione rischia di essere parziale se la riduzione della capacità lavorativa del soggetto è tale da rendere le sue prestazioni inferiori rispetto a quelle rese da un altro lavoratore non disabile [continua ..]
A latere degli aiuti concessi dallo Stato vi sono quelli eventualmente previsti dalle Regioni attraverso l’adozione di misure di politica attiva volte a favorire l’efficacia della disciplina sul collocamento mirato a livello territoriale. In particolare, il sistema dotale della Regione Lombardia prevede l’erogazione di aiuti economici sia a favore delle persone con disabilità che delle imprese che gli assumono. Grazie all’iniziativa c.d. Dote Lavoro-Persone con disabilità [18], si realizza un coinvolgimento attivo del soggetto nel suo processo di inserimento lavorativo. Il meccanismo ricalca quello previsto dalla più generale misura della Dote Lavoro, di cui costituisce una species [19]. In particolare, il soggetto interessato deve presentare una richiesta di attivazione della dote, a cui segue la verifica da parte del soggetto accreditato circa la sussistenza dei requisiti necessari, e, infine, l’erogazione delle somme in proporzione ai servizi forniti dagli stessi soggetti accreditati. La Dote è predeterminata dalla Regione con riguardo alla durata e all’ammontare del finanziamento, ma viene erogata dai c.d. soggetti accreditati, operatori pubblici e privati, in possesso di determinati requisiti, autorizzati dalla Regione stessa, ai sensi della legge reg. n. 22/2006 [20]. Tali soggetti svolgono un ruolo centrale. Il soggetto interessato può scegliere tra i vari operatori accreditati quello a cui rivolgersi perché lo prenda “in carico” e rediga insieme a lui il Piano di inserimento personalizzato (PIP), ovvero un programma, che deve essere sottoscritto dal disabile e accettato dalla Regione, e che individua le attività e i servizi necessari al raggiungimento degli obiettivi prefissati [21]. La Dote lavoro per le persone con disabilità, consente al beneficiario di usufruire dei servizi al lavoro, di formazione, di tutoraggio, di accompagnamento e di acquistare gli ausili necessari [22]. I destinatari della Dote sono i soggetti di cui all’art. 1, comma 1, legge n. 68/1999, disoccupati o inoccupati e iscritti negli elenchi del collocamento mirato istituiti presso i Centri per l’impiego provinciali della Lombardia; tra di esse si distinguono due categorie di persone: quelle con una disabilità inferiore al 79 per cento e quelle con una disabilità superiore al 79 per cento o affette da minorazioni [continua ..]
Altre accuse mosse alla legge n. 68/1999 di non aver affatto abbandonato quella concezione assistenzialistica dei suoi precedenti normativi, derivano dal fatto che essa ha esteso l’ambito di applicazione fino a ricomprendere anche le persone in condizioni di maggiore gravità (peraltro, mantenendo, e anzi aumentando, la forbice degli esclusi in presenza di patologie meno gravi), con la conseguenza che, in linea teorica, stando alla lettera dell’art. 1, comma 1, anche un soggetto affetto da una disabilità molto grave, finanche privo di una residua capacità lavorativa, potrebbe chiedere l’iscrizione nelle liste di collocamento e confidare ed aspettarsi, prima o poi, di essere inviato a occupare un posto di lavoro [28]. Come si è detto, l’art. 38 Cost. impone di distinguere tra coloro che possiedono ancora una capacità lavorativa e coloro che ne sono sprovvisti. Al contrario la formulazione dell’art. 1, comma 1, legge n. 68/1999 rende quest’ultima, in astratto, applicabile anche a individui privi di una residua capacità lavorativa. Già il possesso di una disabilità grave rende, in concreto, difficile l’insermento presso un datore di lavoro ordinario. Inoltre, l’introduzione generalizzata, ad opera del d.lgs. n. 151/2015, del sistema di chiamata c.d. nominativa, quale modalità di assunzione che consente al datore di lavoro di scegliere il lavoratore da collocare nella propria organizzazione lavorativa, unitamente all’obbligo di adottare gli accomodamenti necessari al posto di lavoro, potrebbe accentuare una scelta sempre più orientata verso i lavoratori più capaci e, quindi meno gravi, anche solo al fine di evitare di dover modificare i locali o l’organizzazione del lavoro, con un risparmio in termini di risorse economiche [29]. Al fine di favorire l’inserimento nella società di questa categoria di persone, il legislatore ha cercato di promuovere il ruolo delle cooperative sociali, realtà che meglio si prestano ad avere a che a fare con tali soggetti stante la loro finalità mutualistica, grazie allo strumento delle convenzioni che, nell’impianto della legge n. 68/1999, ha rivestito un’importanza centrale [30]. Tale scelta non ha rappresentato solo un taglio innovativo rispetto alla previgente disciplina del collocamento obbligatorio, ma anche una [continua ..]
Le forme universalistiche di tutela sociale dei disabili riguardano sia gli inabili al lavoro, ovvero i soggetti menzionati dall’art. 38, comma 1, Cost., sia coloro che pur possedendo una residua capacità lavorativa non hanno trovato una collocazione lavorativa, ovvero i soggetti a cui si rivolge l’art. 38, comma 3, Cost., al fine di garantire anche a questi ultimi un reddito qualora non abbiano potuto reperire un’occupazione che ne consenta il mantenimento. Tali prestazioni assistenziali sono previste, rispettivamente agli artt. 12 e 13 della legge n. 118/1971. Si tratta della pensione di inabilità, che spetta ai mutilati e invalidi civili in età lavorativa nei cui confronti sia stata accertata una totale inabilità al lavoro, e dell’assegno mensile di invalidità che spetta ai mutilati e invalidi civili in età lavorativa nei cui confronti sia stata accertata una riduzione della capacità lavorativa pari o superiore al 74 per cento [38]. L’erogazione delle prestazioni è subordinata a requisiti di cittadinanza e reddituali, mentre non è richiesto che la persona disabile risulti iscritta alle liste per il collocamento mirato ai sensi della legge n. 68/1999, in quanto è sufficiente una mera autocertificazione del non svolgimento di un’attività lavorativa [39]. L’approntamento di una misura di assistenza sociale a favore delle persone con disabilità che pur possiedono una capacità lavorativa residua risponde alla necessità di garantire un sostentamento qualora esse non riuscissero in concreto a trovare una qualche occupazione lavorativa. Tuttavia, essa ha un campo di applicazione limitato perché si rivolge alle persone affette da una disabilità che si può considerare grave, stante la riduzione della capacità lavorativa richiesta per la sua erogazione. Se ciò si comprende alla luce del fatto che per i disabili gravi è più difficile reperire un’occupazione, resta il fatto che una parte di persone disabili meno gravi non potrà beneficiare della prestazione assistenziale anche se non vi è nessuna garanzia che queste possano reperire un’occupazione attraverso il sistema del collocamento mirato o al di fuori di esso. Da ultimo, il legislatore ha introdotto il c.d. reddito di cittadinanza, disciplinato dal decreto legge n. 4/2019, convertito [continua ..]
La tutela della persona disabile si articola nella predisposizione di misure sia di assistenza sociale, sia di diritto del lavoro, ma la logica separatrice del complessivo disegno costituzionale non può funzionare di fronte alla sostanziale ineffettività del sistema di collocamento mirato; quest’ultimo dato, unito alla mancanza, salvo alcune eccezioni, di politiche attive davvero “mirate”, rischia di continuare ad appesantire il carico dell’assistenza sociale. Nonostante la legge n. 68/1999 abbia prodotto dei risultati piuttosto scarsi, la recente riforma di cui al d.lgs. n. 151/2015 ha confermato un disegno basato sul potere imperativo della pubblica amministrazione, che continua a trovare giustificazione nella condizione di debolezza oggettiva delle persone con disabilità che aspirano a entrare nel mondo del lavoro [40]. Tuttavia, occorre precisare che oggi, a seguito della generalizzazione della c.d. richiesta nominativa, i veri protagonisti del collocamento dei disabili sono soprattutto i datori di lavoro obbligati all’assunzione. La conferma e il rafforzamento (ad opera del d.lgs. n. 150/2015) della struttura pubblica a presidio della realizzazione del collocamento lavorativo delle persone con disabilità assume le vesti di un sistema di protezione sociale del lavoratore svantaggiato e compensa lo spazio di libertà e flessibilità concesso alle imprese [41]. Ciò non toglie che le strutture amministrative concorrono a garantire l’effettività dei diritti sanciti a livello normativo, dovendo erogare un servizio e promuovere politiche attive finalizzate a favorire l’occupazione. Tale impostazione deve fare i conti con il problema legato alla scarsezza delle risorse economiche che limita in modo inevitabile la possibilità delle pubbliche amministrazioni di offrire servizi idonei ed efficaci, aprendo la strada a logiche di tipo assistenziale. Il problema della effettività della legge n. 68/1999 non è di poco conto, perché in un sistema di monopolio del collocamento lavorativo, di fronte al suo fallimento, per le persone con disabilità non esiste un’alternativa di tutela del proprio diritto al lavoro, ma solo la possibilità di ricorrere, nei limiti di quanto previsto dalla legge, a misure di sostegno assistenziali. Maggiori opportunità possono derivare dalla cooperazione con il c.d. terzo [continua ..]