Il caso AGET Iraklis, trattato nella sentenza C-201/2015 del 21 dicembre 2016, ha rappresentato un’occasione per la Corte di Giustizia di esprimersi nuovamente in tema di bilanciamento tra diritti sociali e libertà economiche. Secondo la Corte, infatti, il diritto dell’Unione non impedisce, in linea di principio, ad uno Stato membro di opporsi, in talune circostanze, a licenziamenti collettivi nell’interesse della protezione dei lavoratori e dell’occupazione. Tuttavia, secondo i Giudici di Lussemburgo, nell’ambito di una normativa nazionale del genere, finalizzata a bilanciare la protezione dei lavoratori e dell’occupazione e la libertà di stabilimento e la libertà d’impresa, i criteri giuridici che l’autorità competente deve applicare per potersi opporre ad un piano di licenziamento collettivo non possono essere formulati in maniera generica e imprecisa. Il confronto tra diritti sociali e libertà economiche è nuovamente al centro di un percorso esegetico complesso e con numerosi aspetti problematici.
Right to work and freedom of establishment: which is the pillar and which the basement? The AGET Iraklis case, C-201/2015 of 21 December 2016, was an opportunity for the Court of Justice of the European Union to confirm its point of view on balancing of social rights and economic freedoms. In fact, according to the Court, European Union law does not prevent a Member State from opposing, in certain circumstances, collective redundancies in the interests of worker protection and employment. However, according to the Luxembourg Judges, in such national legislation the legal criteria which the competent authority must apply to oppose a collective redundancy plan cannot be formulated in a generic and imprecise manner. The contrast between social rights and economic freedoms is again the core of a complex and problematic exegetic pathway.
1. Il pilastro dei diritti sociali e il basamento delle libertà economiche: il contesto e il contrasto della sentenza
Nei primi commenti [1] alla sentenza della Corte di Giustizia AGET Iraklis [2] è stata posta in evidenza l’importanza di questa pronuncia tanto da assimilarne la portata al ben noto quartetto di sentenze adottate tra il 2007 e il 2008, il c.d. Laval Quartet [3], in tema di libertà economiche e diritti dei lavoratori. Le conclusioni a cui giungono i Giudici europei paiono in continuità con le decisioni assunte nel Laval Quartet, ma a ben vedere ci sono anche elementi di novità nel contesto e nel merito della sentenza.
Il giudizio verte sulla compatibilità della normativa greca in materia di licenziamenti collettivi (legge n. 1387/1983) al diritto derivato (direttiva 98/59/CE) e al diritto primario sancito dal Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) in materia di libertà di stabilimento (art. 49) e libera circolazione di capitali (art. 63), poiché la legge greca sottopone all’autorizzazione del Ministero del lavoro il piano di licenziamenti collettivi in presenza di tre requisiti, ossia le condizioni del mercato del lavoro, la situazione dell’impresa e gli interessi dell’economia nazionale. Nel caso in commento, il Ministro del lavoro non aveva dato la propria autorizzazione poiché non era stata dimostrata la necessità dei licenziamenti prospettati in base a dati concreti e circostanziati, apparendo gli argomenti fatti valere dalla AGET Iraklis [4] troppo vaghi (punto 18 della sentenza).
Secondo i giudici di Lussemburgo, pur in presenza di ragioni sociali conseguenti alla crisi economica acuta e al tasso di disoccupazione particolarmente elevato, non è possibile privare la direttiva 98/59/CE di ogni effetto utile né derogare all’art. 49 TFUE o disapplicarlo. Per la Corte, infatti, la norma nazionale in discussione non è conforme al diritto dell’Unione europea, poiché la libertà di stabilimento implica anche la libertà di determinare la natura e la portata dell’attività economica che sarà eseguita nello Stato membro ospitante, nonché la libertà di ridurre il volume di tale attività, palesandosi di ostacolo a ciò una normativa nazionale che, come quella controversa, consente all’autorità pubblica di ridurre o bloccare i licenziamenti collettivi.
Sembra, quindi, riprodursi una dinamica già conosciuta in occasione del quartetto Laval e che ha generato un acceso dibattito in dottrina, essendo il frutto di un bilanciamento “sbilanciato” in nome delle libertà economiche e delle regole della concorrenza [5], il sintomo del fallimento dell’armonizzazione e dell’integrazione dei diritti [continua..]