La legge 30 novembre 2017, n. 179 ha introdotto una serie di misure a tutela del dipendente, pubblico e privato, che denuncia o segnala alla Pubblica Autorità condotte illecite di cui è venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro. Dopo l’entrata in vigore del predetto provvedimento, nel primo semestre del 2018, si è registrato un grande incremento delle denunce/segnalazioni di illeciti da parte dei lavoratori. Sul tema del diritto di denuncia e sulle problematiche allo stesso connesse, già prima dell’adozione della citata legge, si erano ripetutamente pronunciate dottrina e giurisprudenza. Lo scritto esamina le tutele accordate al lavoratore dalla legge n. 179/2017 alla luce dei principi già precedentemente elaborati da giudici e studiosi in tema di diritto di denuncia, al fine di verificare se la predetta legge si ponga il linea di aderenza, continuità, novità, o meno, con il quadro giurisprudenziale e dottrinale esistente.
The legge November 30th 2017, n. 179 has introduced a series of measures to protect the employee, public and private, that deems or reports to the Public Authorities conducted unlawful of which he has come to know due to his own work relationship. After the entry into force of the aforementioned provision, in the first half of 2018, there has been a large increase in complaints / reports of illegal workers. On the subject of the right of denunciation and on the problems connected to it, already before the adoption of the aforementioned law, doctrine and jurisprudence had already been repeatedly pronounced. The written examines the protections granted to the worker by legge 179/2017 in light of the principles already previously developed by judges and scholars on the right of denunciation, in order to verify whether the aforementioned law sets the line of adherence, continuity, novelty, or not, with the jurisprudential framework and existing doctrinal.
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1. Premessa - 2. Il diritto denuncia e quello di critica - 3. Il diritto di denuncia del lavoratore nellevoluzione giurisprudenziale - 4. Profili di ordine probatorio - 5. Il diritto di denuncia nei recenti interventi legislativi - NOTE
Nel dicembre del 2017 è entrata in vigore la legge 30 novembre 2017, n. 179 recante “Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato” [1]. Il provvedimento definisce una serie di misure a tutela del lavoratore dipendente, pubblico o privato, che denuncia o segnala alla Pubblica Autorità condotte illecite di cui è venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro. Già prima dell’adozione del citato provvedimento, dottrina e la giurisprudenza avevano più volte affrontato il tema del diritto di denuncia e le problematiche allo stesso sottese, giungendo ad elaborare soluzioni e principi non sempre univoci. Nei paragrafi che seguono si darà conto sia degli approdi raggiunti da giudici e studiosi in tema di diritto di denuncia, sia del quadro di tutele accordato al lavoratore dalla legge n. 179/2017, al fine di verificare se le scelte compiute dal legislatore, nel recente testo normativo, si pongano in linea di coerenza, continuità, novità (o meno) con il quadro giurisprudenziale e dottrinale esistente.
Un tema molto dibattuto in dottrina e giurisprudenza è quello relativo alla distinzione tra diritto di denuncia e diritto di critica e, più specificamente, quello concernente l’applicabilità o meno al primo dei limiti del secondo. Per meglio comprendere i termini della problematica si rende preliminarmente opportuno ricostruire, in via sintetica, i principi elaborati da giudici e studiosi in punto di diritto di critica. Il diritto di critica del lavoratore trova il proprio fondamento nell’art. 21 Cost. che riconosce a tutti (i cittadini in generale) il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero [2] e nell’art. 1 St. Lav. che attribuisce al prestatore il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero nel luogo ove lavora [3]. Tuttavia, il diritto del prestatore di esprimersi anche criticamente sul proprio datore di lavoro, sui propri superiori gerarchici, o, più in generale, sull’impresa, trova, quale limite implicito, quello del rispetto di altri diritti, tutelati da norme di pari rango costituzionale, quali quello all’onore, alla dignità e al decoro (artt. 2 e 3 Cost.) [4]. La giurisprudenza e la dottrina, nel tempo, si sono interrogate sulla riconducibilità o meno del diritto di critica all’obbligo di fedeltà, sancito dall’art. 2105 c.c. [5] secondo il quale: “il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio”. La giurisprudenza maggioritaria [6], discostandosi dall’orientamento di una parte della dottrina [7], ha ritenuto che il lavoratore si deve astenere non solo dai comportamenti elencati nel predetto art. 2105 c.c., ma anche da “tutti quelli che per loro natura o le loro conseguenze, appaiono in contrasto con i doveri connessi all’inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale o che creano situazioni di conflitto con le finalità e gli interessi dell’impresa o che sono idonei, comunque, a ledere irrimediabilmente i presupposti fiduciari del rapporto stesso” [8]. Dunque, secondo la giurisprudenza maggioritaria, il lavoratore ha un obbligo di fedeltà nei confronti del datore di lavoro [continua ..]
Individuati i limiti di liceità del diritto di critica, si tratta di capire se detti limiti trovino applicazione anche quando il lavoratore denuncia alla Pubblica Autorità fatti illeciti attribuibili al datore di lavoro, o ad un superiore gerarchico. La giurisprudenza, per molto tempo, ha ricondotto il diritto di denuncia al diritto di critica, con conseguente applicazione, anche ai casi di denuncia, dei limiti summenzionati, in punto di continenza formale e sostanziale [19]. Sulla scorta di quanto sopra, in plurime pronunce, i giudici hanno reputato legittimi licenziamenti in cui il lavoratore non era riuscito a provare la verità dei fatti denunciati e/o le denunce – querele erano state archiviate in sede penale [20]. Negli ultimi anni, però, si è fatto strada un orientamento giurisprudenziale diverso che distingue nettamente il diritto di denuncia dal diritto di critica [21], ritenendo inapplicabili al primo i limiti di continenza previsti per il secondo. La giurisprudenza di legittimità più recente dà continuità a tale orientamento [22] e, con grande chiarezza, enuncia alcuni importanti principi in tema di diritto di denuncia, del tutto condivisibili. In primo luogo, secondo la Suprema Corte [23], l’obbligo di fedeltà, posto in correlazione con i canoni generali di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., non può essere esteso sino a imporre al lavoratore di astenersi dalla denuncia di fatti illeciti che egli ritenga essere stati consumati all’interno dell’azienda, perché in tal caso si correrebbe il rischio di scivolare verso – non voluti, ma impliciti – riconoscimenti di una sorta di “dovere di omertà” (ben diverso da quello di fedeltà di cui all’art. 2105 c.c.), che non può trovare cittadinanza nel nostro ordinamento [24]. La Cassazione [25] ha ripetutamente chiarito come lo Stato attribuisce valore civico e sociale all’iniziativa del privato che solleciti l’intervento dell’autorità giudiziaria di fronte alla violazione della legge penale e guarda con favore la collaborazione prestata dal cittadino, in quanto finalizzata alla realizzazione dell’interesse pubblico alla repressione dei fatti illeciti. Pertanto, l’esercizio del potere di denuncia, riconosciuto dall’art. 333 [continua ..]
La distinzione tra diritto di critica e diritto di cronaca, comporta rilevanti conseguenze processuali in punto di onere della prova. La giurisprudenza, pronunciatasi sul diritto di critica, ha posto in capo al lavoratore, che agisce in giudizio, l’onere di provare la verità/verosimiglianza dei fatti addebitati al datore di lavoro, nonché la correttezza formale dei modi e delle espressioni utilizzati per muovere le critiche al datore [33]. Nel diritto di denuncia, invece, l’onere probatorio risulta rovesciato e posto a carico del datore di lavoro. In alcune recenti pronunce, la Suprema Corte ha chiarito che: “cosa diversa dal rendere un legittimo esposto all’A.G. è la precipua volontà di danneggiare il proprio datore di lavoro mediante false accuse, o anche il travalicare, con dolo o con colpa grave, la soglia del rispetto della verità oggettiva nel riferire all’Autorità Giudiziaria i fatti, nonché la condotta del dipendente che con il propagare la notizia, all’interno o all’esterno dell’azienda, abbia arrecato offesa all’onore ed alla reputazione del datore di lavoro. … Condotte, queste, ulteriori rispetto al mero inoltro della denuncia, che devono essere dedotte e dimostrate dal datore di lavoro ai sensi della legge 604 del 1966, art. 5” [34]. Dunque, secondo tale giurisprudenza, è onere del datore di lavoro, che eccepisce la legittimità del licenziamento, comprovare che: – l’esposto è stato presentato dal lavoratore con la precipua volontà di danneggiare il datore di lavoro mediante accuse che egli sa essere false e quindi con dolo, ovvero con colpa grave; – la società, a seguito dell’esposto, ha subito un danno all’immagine ed alla reputazione. La Suprema Corte, nelle sentenze più recenti è persino andata oltre i propri precedenti, precisando, come già accennato, che il lavoratore, va esente da responsabilità anche nei casi di colpa grave. Conseguentemente, affinché il licenziamento possa essere dichiarato legittimo, non basta che il datore provi la colpa, anche grave, del lavoratore, ma è necessario che lo stesso dimostri il dolo del dipendente. I predetti principi sono condivisibili anche alla luce del fatto che, ai sensi dell’art. 5 della legge n. 604/1966 è il datore di lavoro a dover provare [continua ..]
Come già evidenziato, il diritto di denuncia è stato oggetto, sul finire del 2017, di un importante intervento normativo, la legge 30 novembre 2017, n. 179 recante “Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato [37]. Dopo l’adozione del citato provvedimento si è registrato un deciso incremento delle denunce dei lavoratori che sono passate da tre nel 2014 a 364 nel 2017 a 334 nei primi cinque mesi del 2018 [38] Il testo legislativo interviene sia nell’ambito del lavoro pubblico che in quello del lavoro privato. Nel lavoro pubblico, la legge modifica l’art. 54-bis del d.lgs. n. 165/2001 (introdotto dall’art. 1, comma 51, legge 6 novembre 2012, n. 190) che già prevedeva una specifica tutela per il dipendente che denuncia illeciti dell’Amministrazione. Nel settore privato, una tutela legislativa per i dipendenti che denunciano fatti illeciti sino ad oggi mancava. Una tutela implicita poteva essere ricondotta ai compiti di vigilanza e di indipendenza attribuiti dalla legge all’Organismo di Vigilanza nell’ambito della disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche di cui al d.lgs. n. 231/2001. Il nuovo testo normativo interviene proprio sulle disposizioni del d.lgs. n. 231/2001, inserendo nell’art. 6 i commi da 2-bis a 2-quater. Si prevede in particolare che i modelli organizzativi (MOG ex art. 6 d.lgs. 231/2001) adottati dalle società, debbano contenere uno o più canali informatici che consentano ai dipendenti di presentare segnalazioni concernenti la commissione di fattispecie di reato previste nel d.lgs. n. 231/2001 o violazioni del modello organizzativo di cui siano venuti a conoscenza in ragione delle funzioni dagli stessi svolte. Il provvedimento detta alcuni importanti principi applicabili sia al dipendente pubblico che a quello privato. Anzitutto, la “protezione” accordata dalla legge n. 179/2017 è destinata solo ai lavoratori (pubblici e privati) che denuncino a tutela dell’integrità dell’Amministrazione o del datore di lavoro privato, condotte illecite di cui siano venuti a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro. Una recentissima pronuncia [39] ha precisato che non rientrano [continua ..]