L’articolo muove dalla ricostruzione di un tema (per così dire) “classico” del diritto sindacale italiano, ossia quello della disponibilità dei diritti dei lavoratori in sede di contrattazione collettiva aziendale; ricostruisce quindi il tema dell’aziendalizzazione del diritto del lavoro, che ha ricevuto nuova luce a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 8, l. n. 148/2011, norma molto discussa anche per i suoi molteplici profili di incostituzionalità. La tesi sostenuta dall’A. è che l’efficacia erga omnes della contrattazione collettiva di prossimità e l’elenco molto ampio e per alcuni aspetti indeterminato delle materie oggetto di deroga (alla legge e al contratto collettivo nazionale) finiscono per conferire in ultima analisi alla contrattazione collettiva di secondo livello il ruolo ablativo dei diritti dei singoli.
Collective bargaining of proximity and availability of individual rights The paper starts from the reconstruction of a “classic” theme of Italian labor law, the availability of workers’rights in collective bargaining; reconstructs the issue of the decentralisation of labour law, which has received new light by the regulation of art. 8, l. n. 148/2011, very controversial also for its multiple issues of dubious legality. The thesis supported by A. is that the erga omnes efficacy of collective bargaining of proximity and the very large list and for some indefinite aspects of the subject matter of derogation (under the law and the collective bargaining agreement) confers at the collective bargaining on the second level the ablative role of individual rights.
1. Un tema classico del diritto (sindacale): il potere dispositivo del sindacato
Il tema della disponibilità dei diritti individuali per mezzo delle organizzazioni collettive è un tema classico del diritto sindacale italiano [1].
Tuttavia, se fino alla metà degli anni ’70 del secolo scorso tale tematica era ben lontana dall’esperienza sindacale [2], a partire da quegli anni (di crisi economica) il sindacato si è trovato esso stesso ad affrontare nuovi problemi, e così al “vecchio modello” di sindacato acquisitivo, che come ha sottolineato la dottrina [3], trovava nella legge il suo punto di partenza e nei diritti soggettivi il suo punto di arrivo, si è affiancato (sino alla quasi integrale sostituzione dei giorni nostri) un modello di gestione della crisi condiviso da tutti gli attori del sistema; il problema però è sorto allorquando la funzione di governo delle crisi aziendali non è stata più considerata solo una fase congiunturale, ma ha assunto caratteri tali da assecondare una lunga transizione verso un nuovo modello di sistema sindacale, ben diverso non solo rispetto a quello precedente, ma anche a quello configurato dalla Costituzione [4].
Obiettivo del presente saggio è provare ad individuare un limite (oltre ai cc.dd. diritti quesiti [5]) al potere dispositivo del sindacato.
Come è a tutti noto, da qualche anno si parla di aziendalizzazione [6] del diritto del lavoro, ove con tale espressione ci si riferisce ad un preciso modello di decentramento contrattuale, ben distinto dallo schema delineato dalla Costituzione, che addirittura secondo alcuni autori [7] non farebbe neppure riferimento alla contrattazione aziendale, riferendosi la norma in questa prospettazione, come vedremo, alla sola contrattazione collettiva nazionale; sotto questo profilo sembra opportuno muovere la trattazione dall’analisi (sia pur breve) dell’assetto sindacale così come “pensato” dall’assemblea costituente per poi comprendere il modello verso il quale il sistema sindacale italiano si sta dirigendo.
In particolare, durante il ventennio fascista la legge n. 563/1926 “recide quasi completamente le radici privatistiche del contratto collettivo” [8] e crea ad hoc una nuova fonte del diritto (art. 1, l. n. 563/1926 e art. 1, disp. prel. c.c.): il contratto collettivo diviene così lo strumento attraverso il quale lo Stato controlla e governa per mezzo di “norme di diritto pubblico” [9] il conflitto di interessi tra imprenditori e lavoratori, nel nome dell’interesse superiore alla produzione nazionale [10]. In questo contesto “vita (…) e morte dell’associazione sono in mano dello Stato” [11], che disciplina e regolamenta la vita dei sindacati così come quella dei [continua..]