Il contributo si propone di analizzare le principali questioni esegetiche connesse che emergono dalla lettera della legge in materia di astensione collettiva degli avvocati dalle udienze, alla luce delle recentissime sentenze della Corte Costituzionale (n. 180/2018 e n. 14/2019). Si intende soffermarsi, pertanto, sul fondamento costituzionale della fattispecie, sulla sequenza di astensioni collettive connesse da un’unica finalità, sulle fonti di regolazione delle prestazioni indispensabili, sulla ratio dell’intervento della Corte Costituzionale e sul ruolo della Commissione di Garanzia in materia.
The essay aims to analyze the main connected exegetical issues that emerge from the letter of the law concerning lawyers’ strike in hearings, in light of the very recent sentences of the Constitutional Court (n. 180/2018 and n. 14/2019). Therefore, we intend to dwell on the constitutional foundation of the mentioned institute, on the sequence of strikes connected by a single purpose, on the sources of regulation of the indispensable services, on the ratio of the intervention of the Constitutional Court and on the role of the Guarantee Commission on the matter.
Keywords: strike - lawyers - hearings - sources of regulation - indispensable services - Constitutional Court - Guarantee Commission
Articoli Correlati: astensione collettiva - avvocati - udienze - fonti di regolazione - prestazioni indispensabili - corte costituzionale - commissione di garanzia
1. Premessa: l'astensione collettiva degli avvocati dalle udienze - 2. Le recentissime sentenze della Corte Costituzionale - 3. Il fondamento costituzionale della fattispecie - 4. La sequenza di astensioni collettive giustificate da un'unica ragione di protesta - 5. Il sistema delle fonti di regolazione delle prestazioni indispensabili - 6. Il ruolo della Corte Costituzionale nel sistema pluri-ordinamentale predisposto dalla legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali - 7. La delibera di valutazione della Commissione di Garanzia - 8. Osservazioni conclusive - NOTE
Le recentissime sentenze della Corte Costituzionale in tema di astensione collettiva degli avvocati dalle udienze [1] lasciano intendere che quest’ultima abbia rivoluzionato, rispetto alla fattispecie, la complessa architettura del sistema pluri-ordinamentale di regolazione delle prestazioni indispensabili previsto dalla legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali [2]. Le questioni sottoposte alla sua attenzione, pertanto, consentono di riflettere su alcuni elementi di disciplina finora poco esplorati dagli operatori e dagli interpreti [3], anche dopo l’immissione, nel corpus della legge 12 giugno 1990, n. 146 [4], dell’art. 2-bis da parte della legge 8 marzo 2000, n. 53 [5]. L’obiettivo dell’indagine è stabilire se le pronunce in esame abbiano introdotto qualche novità nel panorama dell’astensione collettiva in generale e di quella degli avvocati in particolare [6]. Per centrarlo occorre soffermarsi sulle principali tematiche trattate: il fondamento costituzionale della fattispecie; la sequenza di astensioni collettive giustificate da un’unica ragione di protesta; le fonti di regolazione delle prestazioni indispensabili; le ragioni dell’intervento della Corte Costituzionale e la delibera di valutazione della Commissione di Garanzia.
Il primo passo dell’indagine consiste nella descrizione delle sentenze, al fine di individuare i profili d’incostituzionalità che hanno interessato una parte della normativa legislativa sull’azione di protesta dei legali [7]. Le pronunce sembrano costituire la prosecuzione ideale della n. 171/1996 della Corte Costituzionale [8], che, andando oltre le ragioni per le quali quest’ultima è stata coinvolta, ha condizionato la successiva rivisitazione della legge n. 146/1990 [9]. La prima decisione si occupa del rapporto tra le fonti alle quali è demandata la disciplina dell’obbligo di garantire le prestazioni indispensabili [10], definito dalla legge e specificato dal codice di autodisciplina [11]. La Consulta prende una posizione precisa in merito al modello di ripartizione, tra la prima e il secondo, delle “competenze” previste dalla legge al riguardo. Il tribunale remittente si è chiesto perché l’art. 2-bis della legge n. 146/1990 non vieti alla normativa sub-primaria di incidere sui limiti di restrizione della libertà personale in caso di astensione collettiva [12]. Il codice di autodisciplina, infatti, stabilisce che nelle udienze in cui l’imputato si trova in stato di custodia cautelare o di detenzione si procede solo ove questi lo consenta. Pertanto, l’adesione del difensore limita la durata della privazione della sua libertà personale, pur non essendo chiaro se costituisca un legittimo impedimento a procedere [13] (art. 420-ter, comma 5, c.p.p.). Ciò significa che la previsione legislativa anzidetta, non stabilendo alcun divieto in tal senso, non sembra rispettosa dei parametri costituzionali evocati (art. 13 Cost.). Per raggiungere l’obiettivo in nel miglior modo possibile, in sostanza, la stessa dovrebbe precludere al codice di autoregolamentazione una tale interferenza. L’oggetto della rimessione, dunque, non sembra essere l’astensione degli avvocati, ma la facoltà degli imputati di condizionare il perdurare della propria carcerazione preventiva. Dal che si evince che la legge del 2000, non essendo riuscita ad evitare che lo stato di detenzione si allunghi oltre misura, è contraria ai dettami della Costituzione. Dichiarando l’incostituzionalità della normativa in esame nella parte in [continua ..]
Un tema degno di nota è il fondamento costituzionale dell’astensione collettiva degli avvocati dalle udienze, al quale le recenti pronunce della Corte Costituzionale hanno fatto riferimento [16]. Nell’economia del presente studio non appare opportuno procedere ad un’analisi approfondita dello stesso, perché, in passato, è stata svolta egregiamente dalla dottrina costituzionalistica e giuslavoristica, alla quale si rinvia [17]. Basti dire, in questa “sede”, che le sentenze in commento hanno fatto propria la conclusione raggiunta dallo stesso giudice delle leggi nel 1996 [18]. Non per nulla, dal testo delle medesime si evince che la fattispecie deve essere ricondotta ad una situazione giuridica costituzionalmente tutelata. Solo se si connota come la manifestazione di un valore di questa natura, infatti, il suo esercizio può essere regolato dalla legge in vista della tutela dei diritti fondamentali degli utenti [19]. La normativa sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, però, non rinvia, neppure implicitamente, alla Carta Fondamentale, per cui la sua base giuridica deve essere individuata in via interpretativa. La Corte Costituzionale, nelle decisioni in esame, non ha fatto riferimento ad alcuna delle ipotesi ricostruttive elaborate dalla dottrina e dalla giurisprudenza nel tentativo di chiarire il dubbio. Non ha tenuto conto, infatti, dell’orientamento secondo il quale l’astensione collettiva è espressione del diritto di sciopero [20] (art. 40 Cost.), sul presupposto dell’omologazione dei lavoratori autonomi con quelli subordinati [21]. Neppure l’indirizzo esegetico, assai datato, che la inquadra nel cd. “diritto di protesta”, quale aspetto della libertà di manifestazione del pensiero [22] (art. 21 Cost.), è stato richiamato in tale contesto di senso. La stessa chiave di lettura che, reputando l’astensione funzionale alla tutela di interessi di categoria [23], la ricollega alla libertà di iniziativa economica privata [24] (art. 41 Cost.) non è stata valutata in alcun modo. Infine, la Consulta non ha vagliato l’opinione secondo la quale la copertura costituzionale in questione è ravvisabile nell’art. 39 Cost., sul presupposto che la fattispecie è espressione della libertà [continua ..]
Un altro profilo di primaria importanza è quello delle astensioni collettive degli avvocati accomunate dalla medesima ragione di protesta, perché non è mai stato esaminato dagli operatori e dagli interpreti del diritto del lavoro [47]. Nonostante il giudice delle leggi abbia escluso l’incostituzionalità dell’art. 2, commi 1, 2 e 5, legge n. 146/1990, la questione risulta prioritaria, perché consente di riflettere sulla preventiva comunicazione obbligatoria del periodo di astensione e sulla motivazione addotta dal soggetto proclamante per giustificarla. La sentenza n. 14/2019 appare interessante quando asserisce che il ripetersi di più assenze collettive motivate dallo stesso scopo non impone una diversa valutazione della disciplina in termini di ragionevolezza. Si reputa irrilevante, infatti, che le assenze collettive successive siano proclamate con l’intento di dar vita ad altrettante singole astensioni o alla reiterazione di una sola forma di protesta. Si presume, quindi, che il codice di autodisciplina non debba specificare che un solo preavviso e la relativa indicazione dei motivi possono riguardare tutte le iniziative tra loro collegate. Al contrario, sembra configurare il fenomeno non come un’unica astensione che si realizza a più riprese, ma come una serie di singole azioni di protesta distinte. Le garanzie previste dalla normativa pluri-ordinamentale per la proclamazione dell’iniziativa in parola, quindi, si considerano sufficienti ad assicurare le prestazioni indispensabili. Posto ciò, la Consulta lascia intendere che in caso di reiterazione di astensioni collettive legate da un’unica o da diverse finalità si applichi la normativa contemplata dal codice di autoregolamentazione (art. 2, commi 1 e 4 del codice). Una conferma in tal senso si evince dalla giurisprudenza di legittimità, che, dopo aver esaminato approfonditamente la materia, ha negato che il giudice possa procedere a un’ulteriore ponderazione comparativa [48]. Il presupposto è che il contemperamento tra l’astensione collettiva e i diritti fondamentali dei soggetti interessati alla funzione giudiziaria sia compiuto dal legislatore e integrato dalle fonti secondarie. Non per nulla, circa l’attività giudiziaria, la Consulta sottolinea come la suddetta normativa preveda una serie di [continua ..]
Un fattore sul quale occorre riflettere è il modello delle fonti di regolazione delle prestazioni indispensabili previsto dalla legge a garanzia dei diritti della persona costituzionalmente garantiti [49]. Giova premettere che la peculiarità del sistema pluri-ordinamentale in esame è data dal fatto che il suddetto compito spetta ai codici di autoregolamentazione predisposti dagli organismi rappresentativi delle categorie interessate [50]. La natura delle attività lavorative o professionali considerate, infatti, esclude la possibilità di rinvenire una controparte negoziale con la quale stipulare i contratti collettivi [51]. La stessa legge, in sostanza, «senza rinunziare alla normazione» del «fenomeno», l’ha affidata ai «soggetti portatori degli interessi in campo» [52]. Se vi avesse proceduto direttamente, infatti, avrebbe avuto difficoltà ad elaborare una normativa dettagliata, perché avrebbe dovuto effettuare un’indagine preliminare e, una volta entrata in vigore, aggiornarla continuamente [53]. I punti centrali ai quali la sentenza n. 180/2018 induce a prestare attenzione sono diversi: l’illegittimo prolungamento dei termini di durata della custodia cautelare, in violazione dell’art. 13 Cost.; l’incostituzionalità dell’art. 2-bis della legge n. 146/1990 in rapporto all’art. 3, comma 2, Cost.; l’insindacabilità del codice di autoregolamentazione da parte del giudice ordinario e della Consulta. Circa il primo profilo, si suppone che la Corte Costituzionale abbia ragione quando asserisce che la normativa in esame è costituzionalmente illegittima perché non osserva l’art. 13 Cost. [54]. Il rinvio dell’udienza conseguente all’astensione collettiva del difensore, infatti, sospende i termini della custodia cautelare, allungando i tempi della restrizione della libertà personale dell’imputato. In particolare, comporta che ciò accada per ragioni diverse da quelle predisposte dalla legge, ossia le esigenze cautelari e i tempi ragionevoli dell’accertamento giudiziale (art. 304 c.p.p.). Inoltre, ne connette l’esercizio all’assenso dell’imputato, non considerando che la libertà personale è un diritto indisponibile, per cui non può dipendere [continua ..]
Nonostante non abbia “decretato” la disapplicazione della normativa sub-primaria sull’astensione collettiva degli avvocati, sorge il dubbio che la Corte Costituzionale si sia ritagliata uno spazio nel sistema predisposto dalla legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali. Non si può non considerare come, nelle due sentenze in esame, la Consulta analizzi l’interrelazione tra la legge e il codice di autodisciplina sull’azione collettiva di protesta in commento. Pur essendosi concentrata sulle questioni d’incostituzionalità sottoposte alla sua attenzione, infatti, ha segnalato l’inosservanza della legislazione in materia da parte della citata normativa sub-primaria. Non ci si meraviglierebbe, quindi, se qualcuno obiettasse che ha svolto compiti che non le spettano, neppure informalmente, in base alla procedura legislativa di tutela delle prestazioni indispensabili. Se così fosse, si potrebbe affermare che si sia sostituita alla Commissione di Garanzia, ossia all’organo istituzionalmente preposto ad assicurare la corretta applicazione della legge. Una simile presa di posizione costituisce una novità nel panorama delle pronunce della Consulta che, nel corso del tempo, si sono occupate di astensione collettiva degli avvocati dalle udienze. Quelle meno attuali, infatti, in quanto additive di principio, si sono limitate a indicare al legislatore a quali principi deve rifarsi per regolare una certa materia. Per quanto le decisioni in commento si connotino allo stesso modo, solo recentemente il giudice delle leggi ha preso posizione nei confronti del codice di autodisciplina, al fine di accertare la legittimità della legge rispetto alla Costituzione. Poste queste premesse, sorge spontaneo domandarsi se e, eventualmente, perché la Corte Costituzionale abbia varcato i limiti delle sue funzioni classiche, correndo il rischio di sconfinare in un territorio che non le è proprio. Non appare chiaro neppure se abbia scordato l’autoregolamentazione, perché, pur avendo assunto un simile atteggiamento, non ha mai indicato quali sono le prestazioni indispensabili. Non si può certo supporre che la Consulta si sia posta l’obiettivo di colmare le lacune derivanti dal fatto che la Commissione di Garanzia non sempre esercita adeguatamente la sua funzione valutativa. Il problema sussiste, perché [continua ..]
Le conclusioni alle quali si è pervenuti poc’anzi circa il ruolo della Corte Costituzionale nel sistema pluri-ordinamentale in esame sembrano trovare riscontro nei poteri di valutazione dell’idoneità dei codici di autodisciplina alla legge che sono propri della Commissione di Garanzia [76]. La riflessione appare necessaria anche al fine di specificare, una volta per tutte, i confini di tale sua peculiare e fondamentale funzione nell’apparato di disciplina delle fattispecie che costituiscono oggetto delle pronunce della Consulta [77]. La suddetta Autorità indipendente ha un ruolo centrale in sede di regolazione delle prestazioni indispensabili e assume compiti differenziati a seconda dei soggetti con i quali interagisce (art. 2, comma 4, e art. 12 ss., legge n. 146/1990). Vero è che «è difficile classificare le sue funzioni secondo un ordine di priorità o di gerarchia, giusta appunto il carattere circolare o sistemico della procedura» [78]. Tuttavia, una delle sue incombenze principali è la verifica della corrispondenza «delle fonti negoziali e di autoregolazione rispetto alle direttive quadro stabilite dal legislatore» [79]. Ciò significa che è l’unico organo demandato a contestare il contenuto delle norme sub-primarie, rispetto alle quali «ha un ruolo simmetrico di valutazione di congruità» [80]. Il fine, comunque, è anche quello di renderle applicabili a tutti, perché, in assenza della delibera, le stesse si riferirebbero esclusivamente agli iscritti all’associazione che li ha elaborati [81]. Poste queste premesse, si reputa che l’attività della Commissione non possa confondersi con quella della Consulta perché è diretta al contemperamento tra diritti (art. 12, comma 1, legge n. 146/1990). Essendo la prima priva di poteri giurisdizionali, quindi, non è chiamata al bilanciamento, ossia ad «esaminare la legge e la sua conformità nell’ambito del complesso delle leggi» [82]. Si presta, invece, ad interpretare la rispondenza alla norma primaria degli atti di esercizio dei propri diritti da parte dei destinatari che la stessa ha affidato alla loro cura [83]. Il contemperamento, infatti, non può prescindere dall’individuazione e dalla realizzazione dello specifico interesse che [continua ..]
Le due sentenze della Corte Costituzionale introducono nuovi elementi di disciplina nell’ordinamento giuslavoristico, a prescindere dal fatto che si pronuncino nel senso dell’incostituzionalità o meno della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali. L’analisi sulla conformità della normativa primaria in tema di prestazioni indispensabili alla Costituzione in base al contenuto di quella secondaria appare utile a far emergere gli eventuali problemi interpretativi che la caratterizzano. L’intervento della Consulta sulle questioni sollevate dal giudice remittente, quindi, potrebbe servire per colmarli in tempi brevi. Purtuttavia, si auspica che il legislatore rettifichi al più presto la disciplina vigente, per consentire alla Commissione di Garanzia di svolgere adeguatamente le sue funzioni valutative. In sintesi, non è da escludere che questo genere di pronunce costituisca il presupposto di futuri interventi legislativi finalizzati a modificare o ad integrare la normativa legislativa in materia. In fondo, anche quella vigente è il frutto della trasposizione in legge di decisioni “programmatiche” [92] di matrice giurisprudenziale, volte alla tutela del lavoratore, germogliate e sperimentate sul piano dei rapporti sociali [93].