Il saggio analizza l’ambito di applicazione del primo capo della l. n. 81/2017, con l’obiettivo di verificare i parametri che ne marcano il perimetro rispetto ai soggetti espressamente esclusi (piccoli e medio-grandi imprenditori), da un lato, e ai contratti attratti nel polo regolativo opposto del lavoro subordinato, dall’altro. All’analisi delle ricadute sistematiche derivanti dal contenuto e dalla formulazione dell’art 1 si affiancherà una riflessione sulla possibilità di trarre dalla definizione dell’ambito di applicazione della legge in commento un’ipotesi morfologica della fattispecie “lavoro autonomo non imprenditoriale”, cui l’articolato normativo fa riferimento nella propria intitolazione.
The essay examines the scope of the first Chapter of Law no. 81/2017. Specifically, it aims at assessing the criteria marking the perimeter of such scope in relation to the subjects expressively excluded (both small and large/medium entrepreneurs), on the one hand, and to the contracts attracted to the opposite regulatory pole of dependant employment, on the other. The analysis of the systemic consequences stemming from the content and wording of Art. 1, Law no. 81/17 is coupled with a reflection on the possibility to draw an “identikit” of “not-entrepreneurial self-employment”.
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1. Premessa - 2. Alla ricerca di un genus: la spinta gravitazionale verso il contratto d'opera - 3. Stretto tra due fuochi: l'ambito di applicazione del Jobs Act autonomi - 3.1. La definizione del "lavoro autonomo non imprenditoriale" rispetto al piccolo imprenditore. Il parametro dell'etero-organizzazione "sul versante interno" - 3.2 L'auto-organizzazione "sul versante esterno": parametro distintivo della fattispecie "lavoro autonomo non imprenditoriale" o mero criterio discretivo tra poli regolativi? - 4. La ricerca di poli regolativi di fronte alle sfide della gig economy - NOTE
Il primo capo della l. n. 81/2017 si rivolge, per sua intitolazione, alla tutela del lavoro autonomo, in netta distinzione rispetto al secondo capo, indirizzato invece alla regolazione del lavoro agile, quale «modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato» (art. 18). Solo rispetto al primo capo della legge può, quindi, essere propriamente utilizzata la denominazione «Jobs Act del lavoro autonomo» o «Jobs Act autonomi», per quanto la disciplina dello smart working palesi il paradosso di un sistema che, da un lato, consente l’assenza di (precisi) vincoli spazio-temporali nell’area della subordinazione [1] mentre, dall’altro, richiede proprio l’assenza di vincoli spazio-temporali nell’area del lavoro autonomo, segnatamente per le collaborazioni di cui all’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 81/2015, al fine di escludere l’applicazione dello statuto protettivo del lavoro subordinato (v. infra). Pur dedicato alla tutela del lavoro autonomo, il capo primo della l. n. 81/2017 non fornisce direttamente una definizione di tale fattispecie giuridica, così come della nozione di «lavoratore autonomo», più volte richiamata nell’articolato normativo. Per individuare i tratti identificativi dei «rapporti di lavoro autonomo» rientranti nell’ambito di applicazione delle legge, l’art. 1 rinvia ai parametri ricavabili dal titolo III del libro V del codice civile, titolo che, d’altra parte, come noto, a sua volta si limita a evocare la nozione di “lavoro autonomo” nella propria rubricazione, senza fornire una «descrizione del suo significato giuridico» [2]. Per richiamare le parole, ancora attuali, di Romagnoli, il «bastimento carico di “A”» del Jobs Act seleziona l’ingresso affidandosi agli strumenti del codice, nonostante i «giochetti di prestigio» e le «performance di stile oracolare», ivi presenti, siano poco funzionali all’obiettivo, sia della l. n. 81/2017, sia del d.lgs. n. 81/2015, di creare una polarizzazione tra rapporti soggetti allo statuto del lavoro autonomo e rapporti soggetti allo statuto protettivo del lavoro subordinato, e, quindi, alla necessità, propria di tale obiettivo, di evitare «confuse sovrapposizioni» tra fattispecie [continua ..]
Come anticipato, la modalità di rinvio al codice civile operata dall’art. 1 della l. n. 81/2017 implica precise opzioni di inquadramento sistematico. A essere adottata è, anzitutto, una declinazione al plurale del lavoro autonomo, una pluralità che non solo è presupposta, già nella intitolazione della legge, nella distinzione tra lavoro autonomo imprenditoriale e non (v. infra), ma che si pone anche come nota propria di quest’ultimo al suo interno. L’art. 1, infatti, laddove definisce il campo di applicazione della disciplina, si riferisce ai «rapporti di lavoro autonomo», evidenziando, in questo, come le species in cui si concreta il lavoro autonomo non imprenditoriale siano molteplici e differenti. Al contempo, tuttavia, l’art. 1, comma 1, adotta una specifica prospettiva d’inquadramento, individuando nei prototipi contrattuali di cui al titolo III del libro V del codice civile – ossia il contratto d’opera ex art. 2222 c.c. e il contratto d’opera intellettuale ex art. 2229, essi stessi in rapporto di genus a species secondo la tesi prevalente [4] – i genus positivi di riferimento su cui far gravitare le costellazioni multiformi dell’autonomia non imprenditoriale, oggetto di disciplina. Tale prospettiva si palesa nell’utilizzo della locuzione “ivi inclusi”, volta appunto a ricondurre nell’alveo dei «rapporti di lavoro autonomo di cui al titolo III» anche quelli che assumono «una configurazione già disciplinata sotto uno specifico nomen iuris» [5] nel libro IV del c.c., e che proprio per questo hanno una regolamentazione particolare ai sensi del rinvio operato in seno allo stesso art. 2222 c.c. (come ribadito dall’art. 1 l. n. 81/2017). L’opzione è chiara e precisa [6] e si contrappone all’orientamento che esclude la sussistenza di elementi comuni a tali species tali da consentire una loro sussunzione nel genus del contratto d’opera (manuale o intellettuale) [7]. La scelta del legislatore nella definizione del campo di applicazione della l. n. 81/2017 ha, d’altra parte, anche una seconda e ancor più rilevante ricaduta sul piano dell’inquadramento sistematico. Poiché nell’articolato normativo sono presenti [continua ..]
Il legislatore del Jobs Act adotta una precisa opzione anche nella definizione del rapporto tra lavoro autonomo e lavoro imprenditoriale [18]. Ai sensi dell’art. 1, vengono esclusi dall’ambito di applicazione del primo capo «gli imprenditori, ivi compresi i piccoli imprenditori di cui all’art. 2083 del codice civile» [19]: ciò parrebbe, a prima vista, suggerire l’adozione di una prospettiva di sistema volta a marcare l’autonomia e distinzione del concetto di lavoratore autonomo rispetto a quello di piccolo imprenditore. È, tuttavia, il titolo della legge «Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale» a presupporre che la nozione di imprenditore e di lavoro autonomo non si pongano in rapporto di reciproca esclusione. Riferendosi testualmente al «lavoro autonomo non imprenditoriale», infatti, esso ammette la sussistenza anche di un «lavoro autonomo imprenditoriale», non interessato dalla disciplina in commento, ma ciò nondimeno dotato di una propria rilevanza e autonomia concettuale nell’ordinamento. La definizione del campo di applicazione della legge, quindi, da un lato, esclude la fusione e identificazione concettuale tra piccolo imprenditore e soggetto titolare di rapporto di lavoro autonomo [20], interrogando l’interprete sulle cifre distintive dell’imprenditorialità e quindi, a contrario, del lavoro autonomo non imprenditoriale; dall’altro lato, sottende la possibilità che titolare di un rapporto di lavoro autonomo possa essere anche un piccolo imprenditore, per quanto tale rapporto rimanga fuori dal perimetro regolativo del Jobs Act autonomi [21]. L’impostazione adottata ripropone la necessità, segnalata dalla dottrina con riguardo alla sistematica del codice civile, di distinguere i piani giuridici su cui si apprezza la rilevanza della qualifica imprenditoriale, che «preesiste al contratto», e della «qualifica di lavoratore autonomo», che al contrario «dipende essenzialmente dalla struttura del contratto» [22]. Mentre il lavoro autonomo si configura come fattispecie negoziale e si perfeziona in una dimensione relativa al singolo atto contrattuale sottoscritto, l’impresa raggiunge, invece, lo status di «attività-fattispecie» e ciò consente di attribuire al [continua ..]
L’opzione sistematica della l. n. 81/2017, che evidenzia la pluralità delle forme dell’autonomia che possono nascere «per gemmazione» dallo «schema causale tipico» previsto nel titolo III del libro V del codice civile [40], conferma l’attualità delle parole di Romagnoli: se «la pluralizzazione delle discipline del lavoro autonomo disseminate nel libro IV» marca la distanza tra lavoro autonomo e subordinato, la collocazione del contratto d’opera nel libro V, «dominato dalle esigenze di organizzazione giuridica dell’impresa», mette in luce come «anche il lavoro autonomo può essere catturato nell’orbita dell’impresa per svolgervi una funzione servente o satellite della stessa» [41]; rivela, in altre parole, la «predestinazione» delle forme giuridiche di lavoro storicamente derivate dalla figura contrattuale ex art 2222 c.c. «a convergere nell’ambito di “una attività economica organizzata” dal committente» [42]. Alla lettura di queste considerazioni, il pensiero non può che correre alle collaborazioni etero-organizzate che il legislatore del Jobs Act ha fatto gravitare attorno al polo regolativo del lavoro subordinato ai sensi dell’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81/2015 [43]. La l. n. 81/2017 interviene precisando, in termini speculari, come le collaborazioni gravitanti, invece, attorno al polo regolativo del Jobs Act autonomi si caratterizzino, a contrario, per l’auto-organizzazione del lavoratore. L’art. 15, infatti, modifica l’art. 409 n. 3, c.p.c. inserendo un esplicito riferimento alla necessità che il collaboratore “organizzi autonomamente” l’attività lavorativa e che le modalità di coordinamento tra le parti siano stabilite “di comune accordo”. La precisazione chiarisce, quindi, come, da un lato, nella fattispecie normativa della collaborazione coordinata continuativa non possano sussistere elementi di etero-organizzazione “sul versante esterno” del rapporto con la controparte [44]; dall’altro, gli unici vincoli per il collaboratore, derivanti dalla necessità di coordinamento, non possano essere stabiliti unilateralmente dal committente [45]. Si evidenzia, pertanto, in modo marcato la differenza con le collaborazioni [continua ..]
Le scelte e le modalità regolative adottate dal legislatore del Jobs Act lasciano perplessi non solo per la tenuta dell’operazione sul piano sistematico, ma anche sotto il profilo della direzione di politica del diritto intrapresa. Per quanto riguarda gli strumenti, si è potuto osservare come la costruzione del polo regolativo del Jobs Act autonomi sia stata effettuata utilizzando il paradigma dell’(assenza di) etero-organizzazione, intesa sia “sul versante interno” come nota distintiva rispetto al piccolo imprenditore, sia “sul versante esterno” come tratto escludente l’attrazione nel(la disciplina del) lavoro subordinato. Si sono evidenziate nei paragrafi precedenti le criticità dell’utilizzo di questo criterio, soprattutto sul secondo confine definitorio. Per quanto attiene gli obiettivi, parrebbe potersi segnalare come la polarizzazione tra autonomo e subordinato (quantomeno in termini di relativa disciplina) determinata dal legislatore del Jobs Actmostri i propri limiti di fronte ai sistemi organizzativi della gig economy, fortemente incisi dall’utilizzo delle nuove tecnologie: si pensi alle prestazioni di lavoro fornite su piattaforma digitale [58]. L’approccio dicotomico, per quanto aggiornato con un «percorso di estensione sovratipica» [59], risulta comunque irrigidito sull’indice dell’etero-organizzazione spazio-temporale pervasiva. In questo, si rivela inidoneo a rispondere, in termini di tutele, a formule lavorative intermedie, che, a livello di qualificazione, finiscono per essere ricostruite dalla giurisprudenza secondo le categorie tipologiche tradizionali (v. infra) e, a livello di garanzie, finiscono per essere attratte (in alcuni casi, forzate, per esclusione), nell’ambito della rete minima di protezione, imperniata sul diritto privato dei contratti [60], apprestata dal Jobs Act autonomi. Nonostante, infatti, la dottrina abbia rilevato, anche nel confronto con le analisi e giurisprudenza sviluppatesi nei paesi di common law, come le particolarità delle prestazioni effettuate on demand su piattaforme digitali siano tali «da alterare i fondamentali parametri identificativi del lavoro subordinato … e da incidere in modo inedito sui rapporti tra le parti» [61], il Tribunale di Torino, nella prima sentenza italiana sul [continua ..]