Lo scritto tratta della nuova disciplina del mutamento di mansioni del lavoratore, introdotta dal decreto n. 81/2015, e in particolare della dequalificazione concordata tra le parti. Vengono esaminate, nel dettaglio, le tre fattispecie nelle quali la legge permette la dequalificazione nell’interesse del lavoratore, e la procedura per giungere all’accordo individuale; ci si sofferma infine sulle conseguenze dell’eventuale invalidità dell’intesa sottoscritta al di fuori dei casi consentiti dalla legge.
The individual agreement for the demotion of workers The essay deals with the regulation of the modification of workers’ tasks, as introduced, in the Italian Labour Law, by the Decree No. 81/2015 (so-called “Jobs Act”). Particular attention has been paid to the case of de-qualification agreed between the parties, according with the three situations in which this is allowed by the law to the interest of the worker. Some final considerations have been reserved to the procedure for the individual agreement, and to the case in which the agreement has been signed outside the cases permitted by the law.
1. La nuova disciplina del mutamento di mansioni del lavoratore
Nell’ambito dell’articolata riforma del diritto del lavoro comunemente nota come “Jobs Act”, una delle novità più rilevanti è senza dubbio la completa riscrittura dell’art. 2103 c.c., sulla disciplina delle mansioni nel lavoro subordinato, ad opera dell’art. 3 del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81.
In questo contesto, tra le innovazioni di maggiore importanza vi è la regolazione, in precedenza assente a livello normativo, del demansionamento “legittimo”; [1] quest’ultimo, a sua volta, si suddivide nelle due fattispecie del demansionamento unilaterale (commi 2 e 4 del nuovo art. 2103 c.c.) e della dequalificazione concordata, o più propriamente accordo individuale di dequalificazione (comma 6), cui sono dedicate queste note.
È necessario muovere dalla legge di delegazione 10 dicembre 2014, n. 183, la quale, all’art. 1, comma 7, lett. e) demanda al Governo l’emanazione di una “revisione della disciplina delle mansioni, in caso di processi di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale individuati sulla base di parametri oggettivi, contemperando l’interesse dell’impresa all’utile impiego del personale con l’interesse del lavoratore alla tutela del posto di lavoro, della professionalità e delle condizioni di vita ed economiche, prevedendo limiti alla modifica dell’inquadramento”. Aggiunge la legge n. 183 che la contrattazione collettiva, di primo o di secondo livello, dovrà essere abilitata a “individuare ulteriori ipotesi oltre a quelle disposte ai sensi della presente lettera”.
La legge di delegazione lascia soltanto intuire la distinzione, poi attuata con maggior chiarezza dal legislatore delegato, tra demansionamento unilaterale e dequalificazione concordata. In questo senso, il decreto n. 81/2015 va oltre la legge n. 183/2014, senza però – a mio avviso – che si possa riscontrare un vizio di eccesso di delega; quest’ultimo è semmai ipotizzabile, più in particolare, con riferimento ai presupposti giustificativi del demansionamento unilaterale, che sono profondamente diversi nella legge di delegazione e nel decreto delegato attuativo.
Secondo il nuovo art. 2103, comma 2, c.c., infatti, tale tipologia di demansionamento può essere adottata dal datore di lavoro “in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore”; formulazione, questa, che non corrisponde affatto a quella contenuta nell’art. 1, comma 7 lett. e) della legge n. 183/2014, la quale, come si è visto, menziona invece i processi di “riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale individuati sulla base di parametri oggettivi”.
Da quest’ultima espressione, che richiama [continua..]