Il saggio analizza la questione della funzione del contratto collettivo, con particolare attenzione al contratto aziendale. In primo luogo, l’autrice ripercorre le diverse impostazioni della dottrina in materia e si concentra sulla centralità del discorso sulla funzione all’interno della ricostruzione teorica in materia di contratto collettivo, per poi passare all’analisi dei dispositivi di legge rilevanti. Secondariamente, il lavoro si concentra sull’analisi comparata degli ordinamenti francese e tedesco, con riferimento agli accordi aziendali di promozione della competitività aziendale in tali sistemi giuridici.
The essay focuses on collective agreement’ function, especially with respect to company level agreements. The author recalls in the first place the main doctrinal approaches to this respect and highlights the role played by collective agreements’ function in the building of a general theoretical framework on collective agreements. Secondly, a comparative perspective concerning competitiveness’ company level agreements in France and Germany completes the study.
Articoli Correlati: funzione del contratto collettivo - art. 39 Cost. - bilanciamento dello squilibrio negoziale - contratti aziendali - crisi economica - salvaguardia dei livelli occupazionali - art. 8, legge n. 148/2011
1. Funzione svolta dal contratto collettivo e rapporto fra iscritti e sindacato. Connessioni reciproche e coerenza del modello per il contratto aziendale - 1.1. Il contratto collettivo come strumento di bilanciamento e contropotere; la riconducibilità del contratto aziendale a tale funzione - 2. L’intervento del legislatore dalla contrattazione aziendale della crisi agli accordi di sostegno alla competitività - 2.1. Funzione 'distributiva dei sacrifici' e modifica apparente del regime giuridico - 2.2. La connessione fra efficacia e funzione nelle 'specifiche intese' ex art. 8, legge n. 148/2011 - 3. Gli accordi decentrati come ausilio alla promozione della competitività negli ordinamenti francese e tedesco - 3.1. Dall'autonomia negoziale individuale ai contratti aziendali di 'performance collective' nella legislazione francese - 3.2. Verso una clausola di apertura generale? Gli accordi aziendali di sostegno alla competitività e all’occupazione nelle relazioni industriali tedesche - 4. Conclusioni. L'esigenza di contropartite nella contrattazione aziendale di sostegno alla competitività delle imprese alla luce della comparazione giuridica - NOTE
Scriveva Gino Giugni nel 1966 che «l’interesse collettivo (…) è essenzialmente (…) l’interesse dei lavoratori» e che «solo all’interesse di questi, raggruppati nella coalizione, l’ordinamento conferisc[e] un’immediata tutela giuridica» [1]. Questa concezione coglieva due costanti, utili ad una ricostruzione unitaria del contratto collettivo quanto a struttura e funzioni [2]: la collettività – sempre presente dal lato dei lavoratori, a prescindere dal livello – e l’esigibilità, riconosciuta dall’ordinamento per i lavoratori affiliati al sindacato, delle condizioni più favorevoli stipulate collettivamente. Coerentemente, la funzione del contratto collettivo, pur realizzabile in vario modo, sarebbe stata quella di riequilibrare l’asimmetria negoziale fra singoli lavoratori e datore, nonché di evitare la concorrenza al ribasso nello stesso settore [3]. La formulazione giugniana risponde tuttora ad una logica di equilibrio fra i principi che assumono rilievo costituzionale nella materia: libertà sindacale, tutela ed effettività dell’attività sindacale, libertà di iniziativa economica privata e diritto a condizioni eque di lavoro (v. infra, parr. 1.1 e 1.2). Equilibrio che tuttavia è stato implicitamente intaccato ogni volta in cui i rinvii dalla legge al contratto collettivo o la strategia stessa dei sindacati abbiano contemplato – in specie a livello aziendale, anche se non solo – la conclusione di accordi contenti clausole più sfavorevoli per il lavoratore (di quelle previste dalla disciplina di legge, del contratto di settore o di quello individuale) al fine di superare fasi di crisi economica o occupazionale (v. infra, par. 2.1). Ad oggi, l’esigenza di sostenere la produttività e la competitività aziendale (anche) mediante la conclusione di contratti collettivi a ciò preordinati influisce in modo profondo sulla funzione del contratto collettivo, ed è di centrale importanza per alcune tipologie di accordi aziendali, in Italia (v. infra, par. 2.2.) come altrove in Europa (v. infra, par. 3.1 e 3.2). Nelle pagine che seguono ci si propone di analizzare tale traiettoria evolutiva, nonché di esaminarne le implicazioni sull’esigenza di tutela del prestatore di lavoro quale «punto di riferimento [continua ..]
Come noto, l’individuazione della funzione è stata storicamente il perno attorno al quale ha ruotato ogni ricostruzione teorico-giuridica sul contratto collettivo, a completamento degli strumenti forniti dal diritto civile. In estrema sintesi, e a costo di semplificare, ci si può limitare ad osservare come essa, sin dall’elaborazione pionieristica di Giuseppe Messina ed Alberto Galizia [5], sia stata sì ricostruita in modo diversificato – schematicamente: in chiave anticoncorrenziale [6]; quale mezzo che consente alle coalizioni operaie di dominare il mercato del lavoro [7]; valorizzando la capacità di stabilire minimi di trattamento [8]– ma pur sempre sulla base del presupposto che il contratto collettivo serva a bilanciare lo squilibrio negoziale fra datore e lavoratore, ottenendo la possibilità, per il versante dei lavoratori coalizzati, di prender parte a decisioni organizzative altrimenti dipendenti dalla sola volontà datoriale. Certo, già i primi autori scomponevano la figura del contratto collettivo perlomeno in due tipi di clausole, normative e obbligatorie [9], bipartizione dipanatasi nel tempo in una varietà molto più ampia [10]. Tuttavia, indicare le funzioni fondamentali svolte dal contratto collettivo sulla base di tale binomio [11] non impedisce di concepirlo come un’endiadi descrittiva di un concetto unitario. Parte obbligatoria e normativa – così si preferisce chiamarle – appaiono entrambe strumentali alla capacità del contratto collettivo di realizzare un adeguato bilanciamento dello squilibrio di potere inerente alla relazione di lavoro. Ciò si concretizza attraverso la predisposizione di clausole che, nel complesso, hanno lo scopo di prevedere adeguate condizioni di lavoro e garantirne l’effettiva applicazione ai rapporti individuali, assicurando, in cambio, il rispetto di regole di comportamento concordate fra gli stipulanti. Clausole normative e obbligatorie si distinguono per la diversa efficacia soggettiva [12], ma rispondono ad un medesimo disegno complessivo sotto il profilo funzionale, come due facce di una stessa medaglia [13]. Tanto è vero che la comprensione della funzione nei termini sopra esposti è stata utile alle elaborazioni che hanno avuto ad oggetto la tipicità sociale e la ragion d’essere del contratto e [continua ..]
Escluse le esperienze delle origini [60], così come la parentesi sessantottina [61], in cui – per ragioni diverse – il contratto aziendale è stato essenzialmente un fenomeno acquisitivo [62], è noto come lo stesso sia spesso altresì servito per adeguare il trattamento economico e normativo all’esigenza di superare crisi economiche ed occupazionali [63]. È vero che, all’interno di un mercato incontenibile entro i confini nazionali, fonte ciclica di destabilizzazione [64], anche la tradizionale funzione anticoncorrenziale del contratto collettivo di categoria ha attraversato (e attraversa) una profonda crisi [65]; tuttavia, è stato il contratto aziendale, a partire da metà anni settanta [66], ad essere chiamato dal legislatore a svolgere rilevanti funzioni gestionali, «di tendenziale bilateralizzazione dei poteri imprenditoriali» [67], in chiave di condivisione delle soluzioni prospettabili per far fronte a rilevanti difficoltà o scelte economiche ed occupazionali. Ciò è avvenuto, ad esempio, quando si è trattato di “procedimentalizzare” il potere di scelta dei lavoratori da licenziare (nel licenziamento collettivo), oppure nel caso in cui è stata prevista la possibilità di ridurre l’orario a sostegno dell’occupazione (nei contratti di solidarietà). In questi casi si è verificata un’alterazione legislativa solo apparente del normale rapporto fra contratto individuale e contratto collettivo, in quanto l’applicazione erga omnes dell’accordo è configurabile – secondo la ricostruzione in prevalenza accolta – come conseguenza, a seconda, del potere datoriale o dell’atto amministrativo [68]. Al contempo, rispetto alla contrattazione concessiva, vi sono state ricostruzioni dottrinali che hanno considerato sostanzialmente erga omnes l’efficacia dei contratti reputati meramente gestionali [69] o ritenuto che fossero disponibili (dal contratto aziendale) i diritti contrattati individualmente, in presenza dell’interesse “generale” al superamento di un’eccezionale crisi economica dell’impresa [70]. Anche aderendo a tali ricostruzioni, comunque, le ricadute sul rapporto fra contratto individuale e aziendale verrebbero lette, rispettivamente, o come [continua ..]
Nel tempo, la descritta funzione distributiva di sacrifici, dal carattere eccezionale per sua natura e logica, si è progressivamente diluita all’interno di un sistema più articolato. Per un verso, si è verificata una tendenziale deregolazione del diritto del lavoro [72], perseguita (anche) tramite il rinvio dalla legge al contratto collettivo aziendale [73]. Da ultimo, l’art. 51, d.lgs. n. 81/2015 ha equiparato i contratti collettivi di ogni livello (stipulati da soggetti ritenuti rappresentativi) nei numerosi rinvii contenuti nel decreto medesimo [74], accentuando l’impressione che la gerarchia delle fonti sia divenuta ormai veramente «liquida» [75]. Per l’altro, la progressiva aziendalizzazione [76], richiesta da più parti ai sistemi giuridici nazionali [77], è stata prospettata in apparenza quale sistema utile alla gestione di particolari difficoltà economiche ed occupazionali, come testimoniato dall’intervento del legislatore [78] sulla «contrattazione di prossimità», di cui all’art. 8, legge n. 148/2011 (da ora anche “art. 8”), inserito all’interno del titolo della legge dedicato alle «misure di sostegno all’occupazione». Come noto, la norma, introdotta proprio mentre le parti sociali avviavano un importante percorso di autoregolamentazione complessiva (su soggetti, efficacia, articolazione dei livelli) [79], contiene un elenco “tassativo” [80] di materie derogabili, tanto ampio e indeterminato da assumere una portata potenzialmente destrutturante [81]. Inoltre, essa, a fianco della “tradizionale” endiadi «gestione delle crisi aziendali ed occupazionali», include «maggiore occupazione», «incrementi di competitività e di salario», «investimenti» e «avvio di nuove attività» fra le (confuse) finalità che legittimano [82] la conclusione di «specifiche intese», anche in deroga alla legge o al contratto collettivo nazionale ed efficaci per «tutti i lavoratori interessati» [83], se stipulate dai soggetti (vagamente) selezionati dal legislatore secondo un (non meglio precisato) criterio maggioritario. Il vago richiamo al «criterio maggioritario relativo alle predette organizzazioni sindacali», ossia alle [continua ..]
Il legame fra funzione del contratto collettivo e autonomia negoziale individuale riveste una particolare importanza storica nell’ordinamento francese. Dopo la loi le Chapelier [113], l’inquadramento sistematico del contratto collettivo veniva considerato per lungo tempo sia inutile, che impossibile, poiché nessun negozio avrebbe potuto creare una «législation professionnelle direttamente obbligatoria per tutto il mestiere» [114] senza alterare illegittimamente il gioco della concorrenza [115] a danno della libertà negoziale individuale dei datori e dei prestatori di lavoro [116]. Il fatto che oggi l’accord collectif e la convention collective possano esercitare un effet impératif sui contratti di lavoro di tutti i lavoratori impiegati dagli imprenditori aderenti (al contratto collettivo o all’associazione stipulante) è il frutto di un lungo percorso storico e legislativo [117], che ha infine portato al riconoscimento dell’efficacia del contratto collettivo in quanto negozio atto a promuovere l’intérêt général professionnel in virtù di un potere (si badi, non originario bensì) delegato ai sindacati maggiormente rappresentativi [118] direttamente dalla legge [119], proprio in funzione del diritto individuale dei lavoratori alla contrattazione collettiva [120]. I sindacati, considerati dall’ordinamento soggetti in grado di esprimere [121] al meglio gli interessi generali dei lavoratori [122] si sono visti cioè attribuire poteri eccezionali (rispetto al diritto privato) allo scopo di soddisfare in modo generale gli interessi (non propri di un’autonomia collettiva che in questo ordinamento non è veramente tale [123] ma) dei singoli lavoratori [124]. Tale impostazione si considera tuttora sottesa all’art. L.2254-1, Code du travail, ai sensi del quale, quando un datore di lavoro è vincolato alle clausole di un contratto collettivo, queste clausole si applicano a tutti i contratti di lavoro conclusi con lui, salvo disposizioni individuali più favorevoli. L’attribuzione di rilievo giuridico al contratto aziendale, per definizione incapace di esprimere un interesse generale della professione e tendenzialmente terreno di un più aperto scontro fra capitale e lavoro [125] – avvenuta inizialmente nel [continua ..]
Proprio in relazione all’ampiezza di significato delle ipotesi volte a favorire – a seconda – la salvezza o la competitività delle imprese si reputa interessante l’analisi di un altro sistema giuridico, quello tedesco. In Germania non si è avuto alcun intervento sistematico del legislatore [143] in materia di decentramento della contrattazione collettiva. Tale dinamica si è realizzata, a partire dagli anni Ottanta, ad opera delle stesse parti sociali, per superare le difficoltà economiche delle imprese o per ridurre la durata della giornata lavorativa e sostenere così l’occupazione [144]. Il sistema tedesco è notoriamente “a doppio canale”: quello proprio del sindacato (Gewerkschaft), soggetto che, per essere legittimato alla contrattazione collettiva, deve essere capace di esercitare un’effettiva pressione sulla controparte [145]; quello del consiglio aziendale eleggibile all’interno degli stabilimenti (Betriebsrat o BR) [146], organo non conflittuale [147] di rappresentanza del personale, con compiti di tutela dei lavoratori e di interlocuzione con il datore, dotato di importanti diritti di informazione, consultazione e codeterminazione, nonché abilitato, in ipotesi determinate, a concludere accordi con il datore di lavoro. Vale la pena soffermarsi sulla differente natura giuridica attribuita al contratto collettivo (concluso dal sindacato) e agli accordi aziendali (di competenza del consiglio aziendale) all’interno dell’ordinamento tedesco, nel quale, sia detto per inciso, la contrattazione collettiva è svolta dai sindacati essenzialmente a livello categoriale di Land (o per più Länder) e i consigli aziendali sono presenti soprattutto nelle imprese di maggiori dimensioni, benché si possano costituire in tutti gli stabilimenti che occupino più di cinque dipendenti (§ 1, BetrVG). È al Tarifvertrag (TV, contratto collettivo), frutto della capacità di pressione del sindacato, che spetta – secondo l’interpretazione prevalente dell’art. 9, comma 3, Grundgesetz (Legge fondamentale, GG) – svolgere il compito riconosciuto e garantito dall’ordinamento alla Tarifautonomie (autonomia collettiva) [148]: determinare le condizioni di lavoro (§ 1, Tarifvertagsgesetz o TVG) e realizzare così il diritto conferito ai [continua ..]
L’evoluzione del contratto decentrato da strumento acquisitivo di diritti [193] a luogo del bilanciamento fra condizioni di lavoro e stabilità occupazionale [194], fatto ormai noto delle relazioni sindacali italiane, così come di altri paesi europei [195], sembra raggiungere un nuovo stadio. Alcuni fattori comuni al contesto europeo – crisi economica, sviluppo tecnologico, globalizzazione dell’economia, finanziarizzazione dei sistemi produttivi, affermazione del pensiero neoliberale a livello culturale e politico [196] – hanno contribuito alla concezione per cui gli accordi decentrati, anche peggiorativi per i lavoratori rispetto a quanto previsto dalla legge o dal contratto nazionale o individuale, possano costituire non solo una risposta alle difficoltà economiche ed occupazionali delle imprese, ma anche uno strumento di promozione della relativa capacità produttiva e competitiva. In due ordinamenti che presentano caratteristiche diverse – quasi complementari – relativamente al rapporto fra potere normativo statale e capacità regolativa degli accordi derivanti dai processi di contrattazione collettiva, è accaduto che la legge (Francia) o le parti sociali (Germania) hanno realizzato meccanismi eccentrici rispetto alle tradizionali regole di funzionamento del contratto collettivo proprio in relazione ad accordi aziendali volti a promuovere la competitività delle imprese. Tali meccanismi sono volti a superare l’eventualità del dissenso individuale – o per carenza di affiliazione (Germania) o per capacità di resistenza del contratto individuale (Francia) – non più solo nell’ipotesi specifica in cui il contratto aziendale svolga la funzione di ridurre il trattamento economico e normativo per superare eccezionali difficoltà economiche dell’impresa e relative conseguenze occupazionali, bensì in casi ben più generici, assecondando l’idea che le maglie degli accordi di questo genere possano essere allargate a tutte le ipotesi che abbiano a che vedere con l’andamento economico dell’impresa, cioè anche in relazione al suo migliore posizionamento sul mercato. Qualcosa di simile, con le dovute differenze, può dirsi anche per l’art. 8, legge n. 148/2011, ove si consideri che l’applicazione a tutti i lavoratori interessati degli eventuali [continua ..]