argomento: Giurisprudenza - Corte di Giustizia
La direttiva 2000 / 78 / Ce del Consiglio del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro e, in particolare, l’art. 2, paragrafo 2, l’art. 3, paragrafo 1, e l’articolo 6, paragrafo 1, devono essere interpretati nel senso per cui non ostano a una normativa nazionale che vieta alle amministrazioni pubbliche di assegnare incarichi di studio e consulenza a persone collocate in quiescenza, purché, da un lato, detta normativa persegua uno scopo legittimo di politica dell’occupazione e del mercato del lavoro e, dall’altro, i mezzi impiegati per conseguire tale obbiettivo siano idonei e necessari. Spetta al giudice del rinvio verificare se ciò avvenga (principio di diritto ricavato dalla decisione).
» visualizza: il documento (Corte di giustizia, ottava sezione, 2 aprile 2020, C. – n. 670 del 2018, Sig. Co c. Comune di Gesturi. )Articoli Correlati: consulenza - incarichi di studio - pubblica amministrazione
Di fatto, la sentenza lascia impregiudicata la decisione del giudice italiano, poiché si dice: “occorrerebbe verificare se il divieto (…) non ecceda quanto necessario per conseguire lo scopo perseguito, ledendo in maniera eccessiva le legittime aspettative delle persone collocate in quiescenza, posto che si basa unicamente sul criterio dell’età che consente di godere di un trattamento di quiescenza e non prende in considerazione la ragionevolezza o meno del trattamento (…) di cui possono beneficiare al termine della loro carriera professionale. Orbene, sarebbe giustificato prendere in considerazione il livello del trattamento di quiescenza di cui possono beneficiare gli interessati, posto che la normativa nazionale (…) consente a detti soggetti di ricoprire incarichi dirigenziali o direttivi a tempo determinato e a titolo gratuito, conformemente alle considerazioni di bilancio invocate dal Governo italiano parallelamente allo scopo di politica dell’occupazione basato su un ringiovanimento del personale in attività”. A tacere degli obbiettivi della disposizione (fra cui il principale dovrebbe essere la moralizzazione dell’organizzazione pubblica, perché siano evitati trattamenti preferenziali dei pensionati), se si considera l’entità del trattamento (secondo il singolare e non condivisibile suggerimento della sentenza), poiché i trattamenti sono molto diversi e si collegano all’intera vita professionale del lavoratore, il giudizio dovrebbe essere differente a nocumento di una soluzione unitaria e razionale. Né si capisce quali dovrebbero essere i criteri di valutazione del trattamento pensionistico.