argomento: Giurisprudenza - Corte di Cassazione
Il giudice può valutare un licenziamento intimato per giusta causa in termini di licenziamento per giustificato motivo soggettivo, dal momento che nelle più ampie pretese economiche collegate dal lavoratore all’annullamento del licenziamento, ritenuto ingiustificato, si può ritenere compresa quella di minore entità derivante da un licenziamento che, pure giustificato, preveda il diritto del lavoratore al preavviso.
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La sentenza è convincente (v. Cass. 4 gennaio 2016, n. 21); il giudice può valutare un licenziamento intimato per giusta causa in termini di licenziamento per giustificato motivo soggettivo senza che ciò comporti violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., dal momento che, nelle più ampie pretese economiche collegate dal lavoratore all’annullamento del licenziamento, ritenuto ingiustificato, si può ritenere compresa quella di minore entità derivante da un licenziamento che, pure giustificato, preveda il diritto del lavoratore al preavviso o, meglio, alla relativa indennità sostitutiva. Il favore della giurisprudenza per la conversione del licenziamento per giusta causa in uno per giustificato motivo soggettivo si basa spesso su ragionevoli motivazioni equitative (v. Cass. 2 aprile 1996, n. 3048; Cass., 2 marzo 1995, n. 2414; Cass. 20 settembre 1991, n. 9803). Ne deriva il comprensibile intento di trovare un punto di equilibrio fra gli opposti interessi sostanziali; si ritiene possibile “la conversione (…), salvo il rispetto della regola generale dell’immutabilità della contestazione” (v. Cass. 27 febbraio 1998, n. 2204). Secondo le tesi preferibili, il giudizio verte sempre sul licenziamento per giustificato motivo. L’allegazione della giusta causa è una eccezione rispetto alla domanda del dipendente avente a oggetto l’indennità sostitutiva del preavviso. Prima, il giudice deve stabilire se ricorra il giustificato motivo e, in caso di esito positivo di tale valutazione, deve decidere se i fatti siano così gravi da impedire la prosecuzione temporanea del rapporto, con il conseguente rigetto della domanda riguardante il mancato rispetto del termine di preavviso. Il giudice deve valutare la coerenza del “rifiuto di ricevere la prestazione per i giorni di preavviso” (v. Napoli, La stabilità reale del rapporto di lavoro, Milano, 1980, 106 ss.). La giusta causa è la ragione dell’inesistenza del diritto al preavviso e alla relativa indennità sostitutiva, ma il rapporto si estingue per il sussistere del giustificato motivo (v. Grandi, Rapporto di lavoro, in Enc. dir., vol. XXXVIII, 357 ss.; Sangiorgi, Giusta causa, ibid., vol. XIX, 189 ss.; Tiraboschi, Categorie civilistiche e recesso unilaterale: il contratto di lavoro subordinato, in Aa. Vv., Recesso e risoluzione dei contratti, a cura di De Nova, Milano, 1994, 1076 ss.) e l’esistenza del giustificato motivo soggettivo è il punto decisivo perché si possa stabilire la legittimità del licenziamento. Pertanto, anche in carenza di una domanda del lavoratore, il giudice si deve chiedere se sia possibile ritenere esistente il giustificato motivo soggettivo. Sebbene la giurisprudenza, come la sentenza in esame, non opti in modo espresso per questa ricostruzione della natura del giustificato motivo soggettivo, le conclusioni ultime sono persuasive. Per esempio, si afferma che è “ammissibile, anche in sede di impugnazione, la conversione del licenziamento per giusta causa in licenziamento per giustificato motivo soggettivo, in quanto le dette causali del recesso datoriale costituiscono mere qualificazioni di comportamenti idonei a rendere legittima la cessazione del rapporto di lavoro, l'uno con effetto immediato e l'altro con preavviso. Ne consegue che il giudice (senza incorrere in violazione dell'art. 112 cod. proc. civ.) può valutare un licenziamento intimato per giusta causa come licenziamento per giustificato motivo soggettivo qualora (fermo il principio dell'immutabilità della contestazione e se persiste la volontà del datore di lavoro di risolvere il rapporto) attribuisca al fatto addebitato la minore gravità propria del licenziamento per giustificato motivo soggettivo” (v. Cass. 9 giugno 2014, n. 12884). Anzi, “il licenziamento comminato per giusta causa e in tronco può essere convertito di ufficio, con riferimento pure al giudizio di appello, in licenziamento per giustificato motivo con diritto al preavviso, figura generale prevista in sede legislativa in base a una diversa valutazione della gravità degli stessi fatti posti alla base dell'iniziativa del datore di lavoro di risolvere il contratto” (v. App. Trieste 26 gennaio 2012, in Giur. it. rep., 201). Pertanto, “la giusta causa e il giustificato motivo soggettivo del licenziamento costituiscono qualificazioni giuridiche di comportamenti idonei a rendere legittima la cessazione del rapporto di lavoro, l'uno con effetto immediato e l'altro con preavviso; è ammissibile, ad opera del giudice e anche di ufficio, la valutazione di un licenziamento intimato per giusta causa come per giustificato motivo soggettivo qualora al fatto addebitato al lavoratore sia attribuita la minore gravità propria del secondo licenziamento. La modificazione del titolo di recesso, basata non già sull'istituto della conversione degli atti giuridici nulli dell'art. 1424 cod. civ., bensì sul dovere di valutazione, sul piano oggettivo, del dedotto inadempimento colpevole del lavoratore, costituisce soltanto il risultato di una diversa qualificazione della situazione di fatto posta a fondamento del provvedimento espulsivo (nella specie, al dipendente di una società di gestione di servizi aeroportuali, cui era stato contestato di avere ottenuto un biglietto a tariffa agevolata e di averne consentito l'indebito utilizzo da parte di un proprio parente, il datore di lavoro aveva irrogato il licenziamento per giusta causa richiamando un grave inadempimento del dipendente; il giudice di merito aveva qualificato i fatti posti a fondamento del recesso come una ipotesi di giustificato motivo soggettivo)” (v. Cass. 10 agosto 2007, n. 17604).