argomento: Giurisprudenza - Corte di Cassazione
In tempo di pubblico impiego privatizzato, il riconoscimento del diritto a prestazioni cosiddette aggiuntive ai sensi dell’art. 1 del decreto – legge n. 402 del 2001, convertito con modificazioni dalla legge n. 1 del 2002, quale poi richiamato ratione temporis dalla contrattazione collettiva del comparto della sanità, è subordinato al ricorrere dei loro presupposti tipici e, dunque, all’autorizzazione regionale, anche ai fini organizzativi e di spesa, alla presenza in capo ai lavoratori così impiegati di requisiti cosiddetti soggettivi e a una apposita determinazione tariffaria. Tuttavia, lo svolgimento oltre il debito orario di tali prestazioni, pure in mancanza dei menzionati presupposti, comporta il diritto al riconoscimento del compenso corrispondente alla misura propria del lavoro straordinario secondo la contrattazione collettiva di tempo in tempo vigente, in quanto la presenza del consenso del datore di lavoro, consenso comunque espresso, è il solo elemento che condiziona l’applicabilità dell’art. 2126 cod. civ., in relazione all’art. 2108 cod. civ., mentre a nulla rileva, se non per quanto attiene alla responsabilità dei funzionari verso la pubblica amministrazione, il superamento anche di limiti o di regole riguardanti la spesa pubblica, in presenza di una prestazione così acconsentita e resa (principio di diritto enunciato in motivazione).
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Riferita al comparto della sanità, la pronuncia ha un rilievo più generale ed è di fondamentale importanza. Il principio di diritto è di evidente fondatezza. Non vi è alcuna ragione per cui non siano remunerate le prestazioni di lavoro straordinario del dipendente pubblico.