argomento: Giurisprudenza - Corte di Giustizia
L’art. 6, lett. b), l’art. 16, lett. b), e l’art. 19, primo comma, della direttiva 2003 / 88 / Ce del Parlamento europeo e del Consiglio del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, devono essere interpretati nel senso per cui non ostano a una normativa nazionale che, ai fini del calcolo della durata media settimanale del lavoro, preveda periodi di riferimento che inizino e terminino in date di calendario fisse, purché tale normativa contenga meccanismi atti a garantire che la durata media settimanale del lavoro di quarantotto ore sia rispettata nel corso di ogni periodo di sei mesi a cavallo di due periodi di riferimento fissi successivi (principio di diritto ricavato dalla decisione).
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Si legge nella motivazione: “la realizzazione dell’obbiettivo della direttiva (…) sarebbe compromessa se l’utilizzo di periodi di riferimento fissi non fosse accompagnato da meccanismi che consentano di garantire che la durata media massima settimanale del lavoro di quarantotto ore sia rispettata nel corso di ogni periodo di sei mesi a cavallo di due periodi di riferimento fissi successivi”. Pertanto, “al giudice del rinvio spetta (…) verificare se la normativa nazionale (…) abbia previsto meccanismi che (…) consentano di garantire che la durata media massima settimanale di quarantotto ore sia rispettata nel corso di ogni periodo di sei mesi a cavallo di due periodi di riferimento fissi successivi”.