argomento: Giurisprudenza - Corte di Merito
Qualora il marito agisca per ottenere la qualificazione del rapporto intercorso con la moglie come di lavoro subordinato, deve dimostrare l’esercizio da parte della moglie di un potere direttivo e non è sufficiente la prova di interventi diretti della moglie sulla determinazione del corrispettivo delle prestazioni rese ai clienti, qualora non risulti neppure l’obbligo del marito di rendere comunque la prestazione, senza che si potesse rifiutare.
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La sentenza si segnala per l’approfondita valutazione critica delle risultanze probatorie, con una analisi razionale, ferma la mancata conoscenza delle dichiarazioni dei testi; in particolare, è convincente in diritto l’affermazione per cui “significativo è (…) che, pur potendosi ravvisare attività protratte” per il marito “dentro il negozio, non trapelino (…) gli indici essenziali della subordinazione ossia l’esplicarsi di un lavoro (…) riferibile a direttiva di una parte (…), modulato (…) sui suoi impulsi (senza alcuna facoltà di contrapporvisi, per esempio sulla gestione in concreto di ‘turni’, sul dovere subire sempre e comunque le determinazioni orarie, contenutistiche da altri fissate …), né una incondizionata messa a disposizione di energie personali, delineandosi invece un possibile interessamento agli assetti di impresa e ai relativi obbiettivi”.