argomento: Editoriale - Corte di Giustizia
L’art. 2 della direttiva 2000 / 78 / CE stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro e deve essere interpretato nel senso che esso si applica agli effetti futuri di un provvedimento disciplinare definitivo, ma adottato anteriormente alla entrata in vigore della direttiva medesima. Il giudice di rinvio deve riesaminare non tanto la sanzione disciplinare con la quale un dipendente pubblico è stato collocato a riposo anticipato, con decurtazione del trattamento pensionistico ordinario, bensì deve determinare se e quanto il trattamento sarebbe stato decurtato in assenza di qualsiasi discriminazione fondata sull’orientamento sessuale.
» visualizza: il documento (Corte di giustizia della Unione europea, 15 gennaio 2019, C – 258 / 17)Articoli Correlati: Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro - discriminazione fondata sull’orientamento sessuale - pensione
di Dott. ssa Marta Selicorni
Con la sentenza in commento la Corte di giustizia della Unione europea ha affrontato il tema della possibilità di invocare la direttiva 2000 / 78 / CE per contestare le perduranti conseguenze di una sanzione disciplinare emessa e divenuta definitiva prima del termine di recepimento della direttiva stessa. Il caso portato all’attenzione della Corte è quello di un funzionario di polizia federale austriaco (Sig. E. B.) che nel 1975 ricevette la sanzione disciplinare del collocamento a riposo anticipato, con decurtazione del trattamento pensionistico ordinario nella misura del venticinque percento, quale conseguenza del reato di tentate molestie sessuali su minori di sesso maschile. La sanzione disciplinare del collocamento a riposo anticipato diveniva definitiva a decorrere dal 1° aprile 1976 e, pertanto, da quel momento, il lavoratore ha iniziato a lavorare nel settore privato.
Nel giugno 2008, a seguito del raggiungimento della età pensionabile, il Sig. E. B. proponeva una serie di ricorsi (amministrativi e giudiziari) al fine di ottenere l’annullamento del provvedimento disciplinare del marzo 1975, nonché l’erogazione del trattamento pensionistico come se egli fosse restato dipendente pubblico sino all’età di pensionamento prevista per legge o, in subordine, la piena erogazione della pensione maturata sino al 1976, senza le decurtazioni dovute in conseguenza del provvedimento disciplinare. Infatti, il Sig. E. B. riteneva che gli effetti giuridici del provvedimento disciplinare confermativo del 24 marzo 1975 fossero contrari al principio di parità di trattamento in materia di occupazione e al conseguente divieto di discriminazioni, dettati dall’art. 2 della direttiva 2000 / 78 / CE.
Nel 2016, nell’ambito di un procedimento promosso dal Sig. E. B., la Corte amministrativa austriaca (Verwaltungsgerichtshof) riteneva necessario proporre un rinvio pregiudiziale per sollevata la questione dell’interpretazione dell’art. 2 della direttiva 2000 / 78 / CE. Il giudice del rinvio riteneva pacifico che nel 1976 la decisione della Commissione disciplinare della Direzione di polizia federale di Vienna (Bundespolizeidirektion Wien) fosse conforme al diritto dell’Unione vigente (allora Comunità economica europea). Tuttavia, il giudice del rinvio rilevava che, successivamente alla entrata in vigore della direttiva 2000 / 78 / CE, una analoga sanzione disciplinare non potrebbe più essere disposta in Austria, perché il provvedimento disciplinare si fonda manifestamente sulla fatto che le molestie “presentino carattere omosessuale maschile ovvero carattere eterosessuale o lesbico”. A fronte della possibilità che i medesimi atti di carattere eterosessuale o lesbico avrebbero potuto determinare una sanzione disciplinare meno severa, il giudice del rinvio affermava che, in mancanza del carattere della omosessualità (ossia del fatto che il Sig. E. B. avesse molestato due minori di sesso maschile), “i fatti commessi da E. B. non avrebbero potuto essere tali da giustificare la sanzione disciplinare consistente nel collocamento a riposo”.
La Corte di giustizia della Unione europea affronta la domanda di pronuncia pregiudiziale da due punti di vista: da un lato, analizza la applicabilità della direttiva agli effetti giuridici di una decisione disciplinare definitiva adottata anteriormente alla entrata in vigore della direttiva stessa; dall’altro, si interroga su quali possibilità di riesame abbia il giudice nazionale circa il provvedimento disciplinare e la conseguente decurtazione del trattamento pensionistico.
Per quanto riguarda la prima questione, la Corte di giustizia ritiene che sia il giudice nazionale a dovere valutare se la decurtazione del trattamento pensionistico rientri nella sfera di applicazione ratione materia della direttiva 2000 / 78 / CE e, quindi, ricada nella nozione di retribuzione ai sensi dell’art. 157 TFUE. Invece, per quanto riguarda l’ambito di applicazione ratione temporis della direttiva, la Corte di giustizia stabilisce che l’art. 2 della direttiva 2000 / 78 / CE deve essere interpretato nel senso che, successivamente al termine di recepimento della direttiva stessa (3 dicembre 2003), esso si applica ai soli “effetti futuri di un provvedimento disciplinare definitivo, adottato anteriormente alla entrata in vigore della direttiva medesima”.
Invece, nell’affrontare la seconda questione, la Corte di giustizia da un lato afferma di non potere ricostruire la carriera lavorativa del Sig. E. B. qualora il provvedimento disciplinare non fosse stato adottato, dall’altro ritiene di potersi pronunciare sulla decurtazione del venticinque percento della pensione dello stesso Sig. E. B., stante il fatto che tale decurtazione continua a essere periodicamente corrisposta anche dopo il termine di recepimento della direttiva 2000 / 78 / CE. In tale ottica, la Corte di giustizia invita il giudice nazionale a verificare in quale misura un dipendente pubblico “che fosse venuto meno, alla stessa epoca, ai propri obblighi deontologici in maniera analoga al Sig. E. B., sarebbe stato oggetto di sanzione disciplinare, prescindendo dal carattere omosessuale maschile di tale mancanza”. Pertanto, il giudice non dovrà riesaminare la sanzione disciplinare, poiché essa non rientra nella applicabilità ratione temporis della direttiva in esame, ma dovrà stabilire se un comportamento simile a quello del Sig. E. B., privo di “qualsiasi discriminazione fondata sull’orientamento sessuale”, avrebbe condotto alla medesima sanzione disciplinare e, eventualmente, quale sarebbe stata la entità della decurtazione (fermo restando che la decurtazione non potrà essere superiore al 25 per cento).
La sentenza della Corte di giustizia afferma un principio coerente con i precedenti giurisprudenziali per quanto riguarda l’applicabilità ratione temporis della direttiva 2000 / 78 / CE agli effetti futuri di atti precedenti il termine di recepimento della stessa. Infatti, la giurisprudenza comunitaria maggioritaria ritiene che non sia possibile ricondurre all’ambito di applicazione del diritto della Unione europea “una situazione (…) relativamente al periodo precedente la scadenza del termine di trasposizione di tale direttiva” (cfr. Römer, 10 maggio 2011, C – 147 / 08; conforme Bartsch 23 settembre 2008, C ‑ 427 / 06). Quanto affermato dalla Corte di giustizia nella sentenza in commento è la conseguenza logica di questa giurisprudenza. Pertanto, le direttive si applicano solo agli atti divenuti definitivi dopo il termine di recepimento delle stesse e agli effetti futuri di atti divenuti definitivi prima del medesimo termine.
Invece, sul tema della discriminazione (tema sul quale la società contemporanea è sempre più sensibile), le conclusioni della Corte di giustizia lasciano perplessi e sembrano nascere da un equivoco circa la normativa austriaca di riferimento. Infatti, la Corte di giustizia asserisce che, in assenza degli elementi di cui al reato dell’art. 129, primo punto, del codice penale austriaco (Strafgesetzbuch) (reato poi sostituito dall’art. 209 StGB), le conseguenze disciplinari derivanti da una condotta di tentate molestie eterosessuali o lesbiche risulterebbero meno severe. È veramente possibile che l’ordinamento austriaco non ritenga penalmente rilevanti le molestie nei confronti di un minorenne, al di fuori delle molestie a carattere omosessuale? Può esistere un controsenso di tale portata?
Nella sentenza in commento, al punto n. 13, si legge che “la Repubblica d’Austria è stata condannata a più riprese dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per la applicazione del menzionato articolo 209 StGB prima del suo annullamento”. Tuttavia, le sentenze poi citate riguardano fattispecie differenti. Infatti, la Corte Edu si è pronunciata sulla violazione degli artt. 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo da parte della Repubblica d’Austria per prevedere una norma penale (l’art. 209 StGB) che punisce atti omosessuali consenzienti tra persone maggiorenni e minorenni di età superiore ai quattordici anni (“the applicants alleged, in particular, that the maintenance in force of Article 209 of the Austrian Criminal Code, which penalised homosexual acts of adult men with consenting adolescents between 14 and 18 years of age, and their convictions under that provision violated their right to respect for their private life and were discriminatory”; Corte Edu, 9 gennaio 2003, L. e V. c. Austria, CE:ECHR:2003:0109JUD003939298). Pertanto, la Corte Edu nel caso L. e V. c. Austria riteneva discriminatorio (nonché lesivo del diritto al rispetto della vita privata e familiare) il fatto che l’ordinamento penale austriaco punisse atti sessuali consensuali a carattere omosessuale tra una persona maggiorenne e un minorenne (maggiore di quattordici anni), senza invece ritenere penalmente sanzionabili i medesimi atti a carattere eterosessuale o lesbico.
Tuttavia, il caso analizzato dalla Corte di giustizia della Unione europea non riguarda una relazione consensuale tra un individuo maggiorenne e un individuo minorenne, entrambi di sesso maschile, poiché la Corte stessa afferma che il Sig. E. B. fu condannato per “tentate molestie sessuali di carattere omosessuale commesse nei confronti di due minori”. È evidente che non si stia parlando di relazioni (sessuali e non) consensuali, ma del differente reato delle tentate molestie. Nel ritenere discriminatoria la sanzione disciplinare irrogata al Sig. E. B., la Corte di giustizia lascia intendere che il medesimo fatto, senza la caratteristica della omosessualità, non sarebbe stato egualmente rilevante dal punto di vista penale (e, di conseguenza, disciplinare). Tuttavia, è irragionevole ritenere che l’ordinamento austriaco nell’anno 1975 non punisse la fattispecie delle molestie (o delle tentate molestie) nei confronti di soggetti maggiori di quattordici anni, tranne che nel caso della caratterizzazione omosessuale delle stesse. Nella sentenza in commento viene indicato, oltre all’annullato art. 209 StGB (del quale si è già spiegata la differente ratio), l’art. 128 StGB, il quale punisce le molestie nei confronti di persone minori di quattordici anni di sesso maschile e femminile. La discriminazione recriminata dal Sig. E. B. potrebbe sussistere se l’ordinamento penale austriaco punisse le molestie solo in questi due particolari casi e ciò vorrebbe dire che in Austria, dopo l’annullamento dell’art. 209 StGB, risulterebbe vietato molestare i minori di quattordici anni e, al contempo, lecito molestare le persone maggiori di quattordici anni. Tale paradosso è di una portata talmente elevata, da risultare necessariamente frutto di un fraintendimento.
Pertanto, è vero che la Corte di giustizia della Unione Europea ha rimesso la questione nelle mani del giudice di rinvio, chiedendo genericamente che lo stesso valutasse se le conseguenze del medesimo comportamento a carattere eterosessuale o lesbico fossero state “meno severe”, per determinare se la sanzione disciplinare della decurtazione della pensione dovesse essere modificata nella sua quantificazione oppure fosse legittima. Tuttavia, è anche vero che la Corte di giustizia ha lasciato intendere che nell’ordinamento austriaco potesse non essere penalmente rilevante la molestia a carattere eterosessuale o lesbico nei confronti di persone tra i quattordici e i diciotto anni, ragionamento che lascia perplessi, se compiuto dall’organo giudicante della Unione europea.