Il contributo prende spunto dalla recente pronuncia della Corte di giustizia sul caso ERGO in materia di mancata esecuzione parziale del contratto promosso all’agente per riesaminare gli apporti del giudice di Lussemburgo all’interpretazione della direttiva n. 86/653/CEE. L’articolo analizza quindi la decisione ERGO, che afferma il principio della maturazione pro quota delle provvigioni e il corollario della restituzione per la parte del contratto rimasta ineseguita, e chiarisce altresì il concetto di circostanze imputabili al preponente che impediscono l’estinzione delle provvigioni quando sia certa l’inesecuzione del contratto. Infine, il contributo si sofferma sulle implicazioni per l’ordinamento italiano: la decisione contribuisce a sciogliere un annoso contrasto dottrinale e a consolidare il favor per l’agente che ha informato la direttiva e la sua attuazione nel diritto italiano.
The essay takes a cue from the recent decision of the European Court of Justice (ECJ) in the case ERGO dealing with the partial inexecution of the contract promoted by the commercial agent in order to conduct a general reflection on the case law of the ECJ in the interpretation of the 86/653/EEC directive. After that, the article thoroughly examines the ERGO decision, which focuses upon the right to commission in case of partial inexecution of the contract between the third party and the principle, and upon the notion of «reason for which the principal is not to blame» (art. 11, directive). In its second part, the essay clarifies the implications for the Italian legal order: the ERGO decision helps to solve a long and debated discussion amongst the scholars and to consolidate the principle of favor for the agent which has inspired both the directive and its transposition in the Italian legislation.
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1. La direttiva 86/653/CEE sugli agenti di commercio: trent'anni di interpretazione della CGUE - 2. L'ultimo miglio: la sentenza ERGO sulla mancata esecuzione parziale del contratto promosso dall'agente - 3. Difformità dei testi della direttiva nelle lingue ufficiali e interpretazione sistematica e teleologica - 4. Restituzione delle provvigioni e circostanze non imputabili al preponente - 5. Le implicazioni per l'ordinamento italiano: autorevoli conferme sulla maturazione e restituzione delle provvigioni pro quota e … - 6. … sulla nozione di circostanze imputabili al preponente - NOTE
La direttiva CEE 18 dicembre 1986, n. 653 sul «coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti» ha da poco compiuto 30 anni [1]. Fu varata qualche mese dopo la firma dell’Atto unico europeo (17 febbraio 1986) e si colloca nel medesimo solco di edificazione del mercato interno, in un momento in cui gli snodi principali del mercato comune erano già funzionanti. In effetti, sino ad allora le legislazioni dei Paesi membri in materia erano piuttosto eterogenee, così come le interpretazioni giurisprudenziali e le implicazioni pratiche [2]. Il che ostacolava gli scambi commerciali, il libero dispiegarsi della concorrenza e in ultima analisi pregiudicava il livello di protezione degli agenti [3]. Tutti fattori richiamati nei considerando per legittimare l’intervento armonizzatore del legislatore comunitario: risalta, peraltro, anche il riferimento all’art. 117 del Trattato di Roma, ai cui principi di progresso sociale la direttiva intende ispirarsi, in un’epoca in cui le basi giuridiche per legiferare erano fragilissime perfino nell’ambito del diritto del lavoro subordinato. Sotto questi profili, la direttiva 86/653/CEE appare decisamente moderna, in quanto si pone l’obiettivo di conciliare l’esigenza di ottimizzare il funzionamento del mercato interno con quella di proteggere la figura professionale degli agenti, che, benché lavoratori autonomi, si trovano sovente in una situazione di debolezza contrattuale nei confronti dei preponenti. Passando ai contenuti, si tratta di un testo di armonizzazione limitata e a maglie larghe, che tralascia volutamente alcuni aspetti significativi della disciplina e in altri affida diverse opzioni alla scelta degli Stati membri [4]. Anzitutto, il campo di applicazione è circoscritto agli «agenti commerciali indipendenti» incaricati in modo permanente di promuovere o concludere per il preponente contratti aventi ad oggetto la «vendita o l’acquisto di merci»: non sono contemplati, in particolare, gli agenti operanti nel settore dei servizi (artt. 1 e 2). Sotto il profilo della disciplina, la direttiva specifica gli obblighi di «lealtà e buona fede» cui deve essere improntato il comportamento di entrambe le parti, affermando espressamente l’inderogabilità delle relative previsioni (artt. 3-5). Il capitolo III è [continua ..]
Nell’ambito delle decisioni dedicate alle provvigioni suscita particolare interesse la recente pronuncia Ergo Poist’onva [24], incentrata sul problema della restituzione delle somme già percepite dall’agente quando il contratto da lui promosso non sia stato eseguito o lo sia stato soltanto in parte. La vicenda che ha condotto al rinvio pregiudiziale si presenta piuttosto lineare: nell’ambito di un contratto di intermediazione assicurativa di diritto slovacco, riqualificato dal giudice come contratto di agenzia commerciale, l’agente aveva percepito una serie di provvigioni in via anticipata, ovvero al momento della stipulazione dei relativi contratti di assicurazione. Tuttavia, successivamente alcuni dei clienti avevano cessato di pagare i premi e, conseguentemente, i relativi contratti, ai sensi del diritto slovacco, si erano estinti. La società assicuratrice richiedeva, dunque, in applicazione del contratto con l’agente, la restituzione totale o parziale delle provvigioni già riscosse; l’agente, tuttavia, si rifiutava, sostenendo che i clienti non avevano adempiuto ai propri obblighi a causa delle scorrettezze della preponente. Il giudice chiamato a dirimere la controversia domandava, nel rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, se l’art. 11, direttiva disciplinasse anche l’ipotesi della parziale esecuzione del contratto promosso dall’agente e, in caso affermativo, se una clausola del contratto di agenzia, che imponesse la restituzione pro quota delle provvigioni, dovesse considerarsi una deroga in pejus a svantaggio dell’agente, e pertanto vietata ex art. 11, par. 3. Infine, il giudice chiedeva altresì alla corte di precisare i confini delle «circostanze imputabili al preponente», che, se sussistenti, avrebbero giustificato ex art. 11, par. 1, secondo trattino, direttiva, la mancata restituzione delle provvigioni. La Corte di giustizia risolve, anzitutto, due questioni preliminari relative alla propria competenza. La prima riguarda la formale qualificazione attribuita dalle parti al contratto controverso, da loro inquadrato come «contratto di intermediazione», e quindi astrattamente sottratto alla disciplina della direttiva, che riguarda soltanto l’agenzia commerciale. Qui il giudice di Lussemburgo si limita a constatare che il tribunale slovacco aveva già [continua ..]
Come già accennato nel paragrafo precedente, le questioni pregiudiziali sollevate dal giudice a quo vertono tutte sull’interpretazione dell’art. 11, direttiva 86/653/CEE, che disciplina le ipotesi di estinzione del diritto alla provvigione e conseguente restituzione della stessa. Più precisamente, sono previste due condizioni cumulative: la certezza che il contratto tra il terzo e il preponente non sarà eseguito e la circostanza che tale mancata esecuzione non sia imputabile al preponente stesso (par. 1). In questo caso, qualora l’agente abbia già riscosso la provvigione, è tenuto a rimborsarla al preponente (par. 2). Anche questa disposizione è improntata al principio del favor per l’agente, cosicché il par. 1 non è derogabile a suo svantaggio (par. 3). La prima questione pregiudiziale riguarda l’ipotesi in cui il contratto tra preponente e terzo sia stato soltanto parzialmente eseguito, perché, per esempio, non sono stati rispettati il volume d’affari o la durata dello stesso. Il problema della mancata esecuzione parziale non è prima facie contemplata dall’art. 11 della direttiva, che è tra l’altro pure afflitto da una diversa formulazione nelle lingue ufficiali dell’Unione. Più precisamente, mentre nella maggioranza degli idiomi UE si afferma che il diritto alla provvigione si estingue «se e nella misura in cui» sussistono le summenzionate condizioni, nella versione ceca, lettone e slovacca le parole «e nella misura in cui» sono assenti [26]. La corte rileva dunque che, benché tali vocaboli indichino l’ipotesi della parziale mancata esecuzione del contratto, l’argomento letterale non può essere utilizzato a causa della summenzionata difformità linguistica. Onde attribuire all’art. 11, par. 1 un significato e un’applicazione omogenei in tutti i Paesi dell’UE, la corte ricorre dunque all’interpretazione «alla luce dell’economia generale e della finalità della normativa» (punto 37) [27]: vengono pertanto in rilievo argomenti di carattere sistematico e teleologico. Sotto il primo profilo, richiamando il combinato disposto degli artt. 7, par. 1, e 10 par. 1, direttiva, la corte conclude che il diritto alle provvigioni maturi parallelamente all’esecuzione del [continua ..]
Più complessa è la soluzione dell’ultima questione pregiudiziale, relativa alla nozione di «circostanze imputabili al preponente», che, là dove sussistenti, ostano all’estinzione del diritto alle provvigioni (art. 11, par. 1, secondo trattino): qui il giudice a quo si interroga se tale concetto attenga esclusivamente alle cause giuridiche dirette di estinzione del contratto tra preponente e terzo, oppure includa altresì tutte le circostanze, di fatto e di diritto, che hanno provocato, anche indirettamente, la mancata esecuzione di tale contratto. Anche in questo caso, la Corte di giustizia rileva come la lettera della direttiva non possa soccorrere l’interprete, giusta la difformità linguistica delle diverse versioni, alcune delle quali adombrano un concetto di colpa del proponente (come quella slovacca, ad es.) [28], mentre altre (come quella francese), utilizzano termini neutri (punto 54) [29]. Di conseguenza, nuovamente la corte ricorre ai criteri di interpretazione già utilizzati (v. retro il par. 3), valorizzando soprattutto quello teleologico (punto 55): proprio gli obiettivi della protezione dell’agente e i principi di lealtà e buona fede contrattuale, cui devono essere improntati i rapporti tra agente e preponente, impediscono di liberare quest’ultimo dall’obbligo di corrispondere la provvigione quando la mancata esecuzione del contratto sia a lui riconducibile in senso ampio, a prescindere dalla causa giuridica che ha direttamente provocato l’estinzione del contratto (punto 56). Nel caso di specie la causa giuridica diretta che aveva provocato l’estinzione dei contratti di assicurazione era il mancato pagamento dei premi da parte dei clienti: un’interpretazione restrittiva della nozione di «circostanze imputabili al preponente» avrebbe dunque imposto all’agente la restituzione pro quota delle provvigioni, a prescindere dalle responsabilità del preponente con riferimento alla condotta dei clienti. Alcuni di questi, infatti, avevano giustificato il mancato pagamento dei premi con comportamenti non professionali dell’assicurazione, che avrebbero provocato in loro una totale perdita di fiducia nei suoi confronti. E, tuttavia, secondo la corte, tale esegesi restrittiva non è equa, né sintonica con gli obiettivi della direttiva (punto [continua ..]
Accingendosi ora ad affrontare le implicazioni della decisione ERGO per l’ordinamento italiano [30], occorre preliminarmente osservare che il codice civile dedica una disposizione ad hoc ai contratti di agenzia delle società assicuratrici [31]: infatti, ai sensi dell’art. 1753, c.c. le disposizioni codicistiche sul contratto di agenzia (artt. 1742 ss.) «sono applicabili anche agli agenti di assicurazione, in quanto non siano derogate dalle norme corporative o dagli usi, e in quanto siano compatibili con la natura dell’attività assicurativa». A differenza di quanto accade nell’ordinamento slovacco, il legislatore italiano non applica sic et simpliciter la disciplina dell’agenzia al settore assicurativo, ma prevede un doppio filtro: in primo luogo, l’assenza di una normativa specifica negli accordi economici collettivi, il che rende la disciplina codicistica residuale; in secondo luogo, il vaglio di compatibilità con la natura peculiare dell’attività assicurativa. Di conseguenza, secondo la maggior parte della dottrina e la giurisprudenza pressoché unanime, in quest’ambito si riscontra un’inversione della gerarchia delle fonti, e più precisamente una prevalenza delle fonti di carattere contrattuale collettivo e degli usi sul diritto positivo [32]. Vi è, tuttavia, chi dissente, ribadendo anche per il contratto di agenzia assicurativa le regole sulle fonti contenute nell’art. 1, disp. prel. c.c., sulla base di diversi argomenti, in primis l’indebita sovrapposizione tra le norme corporative, che erano una fonte di diritto oggettivo, e gli AEC, che invece sono frutto di autonomia privata ex art. 1322, c.c. [33]. Di conseguenza, secondo questa tesi le norme imperative contenute nel capo codicistico sull’agenzia prevarrebbero senz’altro su eventuali previsioni contrarie degli AEC. Ha suscitato in dottrina minori discussioni il filtro di compatibilità con la normativa di settore, in quanto quest’ultima è stata ritenuta generalmente sintonica con gli artt. 1742 ss., c.c. [34]. Concludendo su questi aspetti, si può osservare come l’ordinamento italiano abbia recepito la direttiva 86/653/CEE [35] senza differenziare tra agenti del commercio di beni e agenti di servizi: l’art. 1742, c.c. definisce [continua ..]
Il diritto alla provvigione non si estingue e, conseguentemente, non vi è obbligo di restituzione di quanto eventualmente già percepito (per la parte ineseguita, qualora si tratti di contratti di durata), quando la mancata esecuzione, totale o parziale, dipenda da «cause […] imputabili al preponente» (art. 1748, comma 6, c.c.). Quest’ultimo concetto, a differenza dell’espressione esaminata nel paragrafo precedente, è stato oggetto di una maggiore produzione giurisprudenziale, sia perché da esso dipende in concreto il pagamento delle provvigioni all’agente nel caso di patologie del contratto da lui promosso, sia perché una regola imperniata sulla medesima nozione era contenuta nella norma previgente (art. 1749, comma 1, c.c., vecchio testo). I giudici ritengono causa imputabile al preponente qualunque comportamento doloso o colposo che ha determinato la mancata esecuzione del contratto [44], cosicché vi fuoriescono pacificamente le ipotesi riconducibili al caso fortuito e alla forza maggiore (impossibilità della prestazione ex artt. 1256 e 1463, c.c.), ma anche lo storno dell’affare dovuto a eccessiva onerosità sopravvenuta (art. 1467, c.c.) o all’inadempimento del terzo di non scarsa importanza (art. 1455, c.c.) [45]. La dottrina, compresa quella più risalente formatasi sul testo previgente dell’art. 1749, c.c., condivide nel complesso l’approccio della giurisprudenza, richiamando il rigoroso significato tecnico del concetto di causa imputabile di cui all’art. 1218, c.c. [46]. L’ordinamento nazionale appare così già in linea con il decisum della sentenza ERGO, in quanto i giudici italiani, nel verificare se la mancata esecuzione del contratto sia imputabile al preponente, non limitano la propria indagine alla causa giuridica diretta (per es.: l’inadempimento del terzo), ma si spingono sempre a monte per accertare l’eventuale dolo o colpa del preponente. Il vero punctum dolens per l’agente nell’ordinamento italiano è stato tradizionalmente costituito piuttosto dalla ripartizione dell’onere della prova. Fino al recepimento della direttiva, non vi erano dubbi che i fatti costitutivi del diritto alla provvigione dell’agente fossero, alternativamente, l’esecuzione del contratto tra preponente e terzo (cd. buon [continua ..]