Nel saggio si approfondisce il ruolo dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro in relazione alla protezione della libertà sindacale e del diritto di negoziazione collettiva. Il tema è esaminato nella prospettiva storico-funzionale, soffermando l’attenzione sulla funzione di “persuasione” svolta dall’organizzazione a cento anni dalla sua fondazione. L’importanza capitale attribuita dall’OIL all’osservanza dei principi e delle garanzie in tema di libertà sindacale è testimoniata dalla centralità delle procedure speciali per l’esame dei ricorsi contro le violazioni dei diritti sindacali. Nel saggio, infatti, il contenuto delle convenzioni internazionali è analizzato alla luce delle decisioni del Comitato OIL sulla libertà sindacale.
The essay examines the role of the International Labour Organization in relation to the protection of freedom of association and collective bargaining. The theme is addressed from an historical and functional perspective, focusing on the persuasion function carried out by the organization one hundred years after its foundation. The capital importance attributed by the ILO to the observance of freedom of association is demonstrated by the centrality of special procedures for examining appeals against the violations of these rights. In the article the content of international conventions is analysed in the light of the decisions of the ILO Committee on Freedom of Association.
Keywords: ILO – freedom of association – collective bargaining
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1. La libertà sindacale e l'ordine mondiale dopo il primo e secondo conflitto universale: il ruolo dell'OIL - 2. Le declinazioni della libertà sindacale nelle convenzioni OIL n. 87/1948 e n. 98/1949 - 3. La quasi "costituzionalizzazione" della libertà sindacale: la Dichiarazione sui principi e i diritti fondamentali nel lavoro del 1998 e la prospettiva dei Core Labour Standards - 4. La libertà sindacale alla luce delle decisioni del Comitato sulla libertà sindacale - 4.1. L'ambito soggettivo ed oggettivo della libertà sindacale e del diritto di negoziazione collettiva nella "giurisprudenza" del Comitato sulla libertà sindacale - NOTE
Il centenario della fondazione dell’OIL costituisce una preziosa occasione di approfondimento del ruolo svolto da questa istituzione per la promozione della tutela dei lavoratori [1] e del modello di protezione assicurato dall’azione di questo singolare soggetto [2]. Se si guarda al punto di approdo, la navigazione pare alquanto monotona se non proprio piatta, poiché, in una prospettiva sincronica, la narrazione deve far i conti con i numeri reali: in cento anni di attività l’OIL ha prodotto appena 189 Convenzioni, 205 Raccomandazioni e 6 Protocolli. Ma se la si osserva da un’angolazione diacronica, la storia dell’OIL appare straordinariamente ricca di spunti, rilevando, in questo racconto, il contesto storico-politico in cui si svolge l’attività di questo organismo. Se è vero che l’importanza di un evento è raramente percepita dai contemporanei, l’occasione del centenario della fondazione dell’OIL consente di riflettere sulla portata storica non solo della sua istituzione, ma anche di alcune significative tappe nella sua evoluzione. Si è anticipata l’importanza del contesto storico-politico in cui si deve valutare l’apparato normativo prodotto dall’OIL dagli anni della sua istituzione [3]. Il ravvicinamento di date in occasione della fondazione dell’organizzazione testimonia l’urgenza attribuita al problema sociale internazionale dai governi del dopoguerra: il 29 ottobre 1919 si apriva a Washington la prima sessione della Conferenza internazionale del lavoro; poche settimane dopo si riuniva nella stessa città il Consiglio di amministrazione che adottava i primi provvedimenti per il funzionamento dell’Ufficio Internazionale del Lavoro e ne designava il primo direttore, Alberto Thomas, ex ministro dell’armamento francese. L’OIL entrava in piena attività appena un anno dopo l’armistizio di pace, cinque mesi dopo la firma del Trattato di Versailles (28 giugno 1919) che conteneva la sua costituzione, dopo un anno dalla prima riunione dell’Assemblea della Società delle Nazioni cui l’OIL era collegata [4]. Per la prima volta nella storia, i trattati di pace con cui si chiuse il primo conflitto mondiale contenevano una parte dedicata alla questione sociale, sicché la regolamentazione stessa della questione sociale diveniva strumento della [continua ..]
Il primo intervento in tema di libertà sindacale fu la convenzione n. 11/1921 avente ad oggetto i diritti di associazione e di coalizione dei lavoratori agricoli con cui gli Stati si impegnavano ad assicurare a tutte le persone occupate nel settore agricolo gli stessi diritti d’associazione e di coalizione garantiti ai lavoratori nel settore dell’industria [11]. Non si definivano, tuttavia, i contenuti della libertà sindacale, ma si assicurava solo una formale parità tra i lavoratori di questi settori. Tra le due guerre mondiali diversi tentativi furono fatti per arrivare all’approvazione di una convenzione sulla liberà sindacale [12]; le divergenze maggiori tra gli Stati scaturivano dall’individuazione del contenuto di questa fondamentale garanzia, essendo discussa la circostanza di riferire la libertà sindacale anche alla libertà negativa di non associarsi ad alcuna associazione o di limitarla alla sola libertà positiva [13]. L’impasse, invero, si superò con la fine del secondo conflitto mondiale grazie anche all’iniziativa dei sindacati da cui trae origine la convenzione n. 87/1948. Nel gennaio del 1947, la Federazione Sindacale Mondiale inviò una lettera al Segretario Generale delle Nazioni Unite in cui si chiedeva di sottoporre al Consiglio Economico e Sociale dell’ONU l’esame delle questioni attinenti all’esercizio dei diritti sindacali. Alla lettera era allegato il testo di un progetto di risoluzione contenente la proposta di istituire, in modo permanente, una commissione per la tutela dei diritti sindacali. Poco tempo prima, nell’agosto del 1946, la Federazione Americana del Lavoro (che non era membro della Federazione sindacale mondiale) aveva inviato ai membri del Consiglio Economico e Sociale dell’ONU un’altra proposta in cui, a differenza di quella della Federazione sindacale mondiale, si chiedeva al Consiglio di rimettere all’OIL la propria competenza in materia sindacale. Successivamente all’accordo del 1946 raggiunto tra l’ONU e l’OIL in merito alle rispettive competenze [14], il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite si riunì nel marzo 1947 per esaminare le proposte della Federazione sindacale mondiale e della Federazione sindacale americana, decidendo in quella occasione di rimettere la questione all’OIL [15] che [continua ..]
La fine della guerra fredda e la liberalizzazione degli scambi dagli anni ’90 del secolo novecento hanno segnato profondamente le attività e le politiche dell’OIL all’alba del nuovo millennio. «Orfana della minaccia bolscevica» [22], l’Organizzazione doveva fare i conti con una scomoda realtà: in un’economia mondializzata dove le imprese multinazionali e transnazionali hanno cominciato a dettare l’agenda degli scambi economici e commerciali, le convenzioni internazionali di lavoro, che si applicano appunto agli Stati, non erano in grado governare lo spazio economico transnazionale. La globalizzazione e la conseguente interconnessione dei mercati avevano consentito ai Paesi emergenti di far valere il proprio vantaggio comparativo dato dal basso costo del lavoro a discapito dei Paesi industrializzati. In questo quadro lo strumentario del diritto internazionale del lavoro era percepito come un ostacolo a questo vantaggio comparativo [23]. Al cospetto di queste nuove sfide l’OIL ha avviato un processo di rinnovamento del suo mandato originale. L’antefatto del cambiamento risiede in due importanti vertici, il summit mondiale delle Nazioni Unite sullo sviluppo sociale che si tenne a Copenaghen nel marzo 1995 e la riunione ministeriale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) che si tenne a Singapore nel 1996. Il vertice di Copenaghen si concluse con una dichiarazione contenente le azioni da intraprendere per promuovere il progresso sociale con l’impegno degli Stati a far rispettare le norme dell’OIL in tema di contrasto al lavoro forzato e lavoro minorile, libertà sindacale, diritto di negoziazione collettiva e contrasto alle discriminazioni [24]. La preminenza del ruolo dell’OIL in materia sociale fu poco dopo riaffermata nella dichiarazione interministeriale dell’OMC del 13 dicembre 1996, ribadendo la stretta separazione tra le regole commerciali e le norme internazionali del lavoro. Da questi due eventi è derivata una svolta pragmatica da parte dell’OIL che ha agito in due direzioni: da un lato, ha riaffermato il proprio ruolo e l’importanza del governo delle materie sociali attraverso i principi fondamentali di diritto internazionale del lavoro in un clima economico molto competitivo e liberalizzato su scala mondiale; dall’altro, ha avviato una stagione normativa di soft [continua ..]
L’importanza capitale attribuita dall’OIL all’osservanza dei principi e delle garanzie in tema di libertà sindacale è testimoniata dal ruolo assunto dalla procedura speciale per l’esame dei ricorsi contro le violazioni dei diritti sindacali, procedura che è azionabile da parte di uno Stato membro e dalle associazione dei lavoratori e dei datori di lavoro a prescindere dalla ratifica da parte di uno Stato membro delle relative convenzioni, in considerazione del fatto che il principio della libertà sindacale trova la sua fonte direttamente nella Dichiarazione di Filadelfia. Come è noto, tale speciale procedura [38] si fonda sull’attività di due organi, la Commissione di investigazione e conciliazione e il Comitato sulla libertà sindacale, istituiti rispettivamente nel 1950 e nel 1951 [39]. La prima consiste in sorta di commissione di inchiesta che per essere costituita necessita del consenso del Paese in cui si verificano le presunte violazioni dei diritti sindacali, rappresentando ciò, con tutta evidenza, un grave limite alla sua effettiva utilizzabilità come strumento deterrente. I membri della Commissione sono designati dal Consiglio di amministrazione dell’Ufficio Internazionale del Lavoro tra personalità indipendenti ed altamente qualificate. Pur essendo una commissione di inchiesta, questo organismo può discutere i problemi allo scopo di fornire una soluzione al Paese chiamato in causa. Come anticipato, tuttavia, la Commissione non può discutere di un caso senza l’assenso dello Stato interessato. Il Comitato sulla libertà sindacale, invece, è un organo tripartito, nominato dal Consiglio di Amministrazione e composto da nove membri titolari e nove membri supplenti in rappresentanza dei Governi dei Paesi membri, delle associazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro, avente la funzione di decidere sui reclami presentati dalle organizzazioni datoriali e dei lavoratori in contraddittorio con lo Stato implicato nelle vicende senza che sussista il preventivo assenso governativo [40]. In presenza di una violazione dei diritti sindacali, il Comitato pubblica una raccomandazione rivolta al Paese affinché siano adottate le misure necessarie per rimuovere le suddette violazioni; in alcuni casi, il Comitato può decidere di rimettere la controversia alla Commissione di investigazione e [continua ..]
La seconda macro area in cui possono essere raggruppate le decisioni del Comitato riguarda appunto il contenuto dei diritti di libertà sindacale e di negoziazione collettiva. Si tratta evidentemente di un’ampia gamma di decisioni che, nel corso del tempo, sono servite a puntualizzare la portata delle convenzioni sia sotto il profilo della tutela antidiscriminatoria sia per quanto concerne l’ambito soggettivo e oggettivo dei diritti ivi enunciati; di seguito, si esamineranno i profili più rilevanti desumibili dalla “giurisprudenza” del Comitato [55]. Come detto, le due convenzioni seguono il filo conduttore della doppia protezione della libertà sindacale sia rispetto all’autorità pubblica (conv. n. 87) sia nei riguardi della controparte datoriale (conv. n. 98). In entrambe convenzioni la libertà sindacale viene declinata da almeno tre prospettive, ossia il piano definitorio, la previsione di limiti e il suo contenuto. Sul piano definitorio, infatti, si chiarisce, da un lato, la nozione di organizzazione dei lavoratori e dei datori di lavoro, intesa come ogni organizzazione avente lo scopo di promuovere e difendere gli interessi dei lavoratori e dei datori di lavoro (art. 10, conv. n. 87). La norma, invero, funge anche da dispositivo che precisa la platea dei soggetti garantiti, riferendosi la libertà sindacale, in generale, alle organizzazioni (a prescindere dal loro grado di istituzionalizzazione formale in compagine associativa) dei lavoratori e dei datori di lavoro la cui difesa dalle ingerenze dello Stato viene posta sullo stesso piano. Il Comitato sulla libertà sindacale ha poi ampiamente precisato ed ampliato l’ambito soggettivo di applicazione delle convenzioni, facendo leva, in generale, sul divieto di discriminazioni affinché, ai sensi dell’art. 2 della conv. n. 87, la libertà sindacale sia garantita a chiunque sia nell’ambito del lavoro privato sia in quello del lavoro pubblico [56] e indipendentemente dal tipo di occupazione [57], dal sesso, dal colore della pelle, dalla razza, dalle convinzioni personali, dalla nazionalità, dalle opinioni politiche [58], ribadendo l’importanza di garantire tali diritti in favore dei lavoratori migranti [59]. L’universalizzazione dei diritti sindacali ha consentito di prescindere dalla tipologia del contratto di lavoro e delle mansioni, [continua ..]